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25 Gennaio 2014
DNA scritture

Giorgia Nardin

Scritture. Virginia. Primo studio: echi di un ricordo


Scritture. Virginia. Primo studio: echi di un ricordo

Giorgia Nardin – giovane coreografa veneta tra i protagonisti dell’ultima edizione di DNA con All dressed up with nowhere to go – la sua opera prima per più danzatori – torna a Romaeuropa in occasione di WAITING 4 DNA, per presentare il suo primo studio su Virginia, un lavoro che vedrà il pieno completamento nel 2015. Il solo trae spunto dalla lettura del romanzo Le Vergini suicide di Jeffrey Eugenides, ma più che rifarsi in maniera didascalica al contenuto del testo, sembra volerne riprendere la forma, il modo asciutto attraverso cui viene narrato un tema intimo e personale, come il senso di vuoto che succede alla perdita e all’abbandono. Virginia è una ricognizione intorno al ricordo di sensazioni ormai disperse nei meandri della memoria, un “lavoro sulle rovine, su un qualcosa che non c’è più” – come lo definisce la stessa coreografa – dove l’indagine viene condotta esclusivamente attraverso il movimento di un corpo fragile – o meglio, vulnerabile – che sceglie di percorrere il crinale scosceso della presenza-assenza. Nel frammento presentato, la Nardin disegna impercettibili  grovigli e minuscole contrazioni, nel tentativo di rendere tangibili tutte le tensioni inconsce che si oppongono alla messa a nudo dell’ interiorità. Il bisogno di apertura sembra farsi progressivamente più forte di qualsiasi resistenza: senza più barriere o strati protettivi, il corpo si mostra nel fluire libero del suo sentire, salvo poi tornare a chiudersi in sé stesso, in una dinamica che a volte alterna, e altre  rende compresenti, le due azioni opposte del nascondimento e dello svelamento. In questi brevi fraseggi coreografici tornano la gestualità minimale, e il ricorso appena accennato e quasi involontario ai piccoli tic quotidiani, che già avevano caratterizzato la coreografia di All dressed up with nowhere to go. La discesa nelle faglie profonde dell’ Io è descritta dalla Nardin come un movimento lento e pudico, non esente da un certo grado di disagio che va vissuto fino in fondo, e che riguarda tanto l’interprete che si espone alla visione collettiva, quanto lo spettatore esposto a quel guardare “dentro” che, rigettando la contemplazione e il voyerismo, richiede anche a chi osserva di fare dono di Sé. Sullo sfondo si avverte la vaga percezione di una dimensione infantile, lasciata aperta come una traccia che non ha bisogno di essere definita nel dettaglio per essere significante, ma che trova il suo valore proprio nel suo essere ambigua, talvolta fuorviante. La linea che sta seguendo la ricerca coreografica di Giorgia Nardin – e che risente dei percorsi che l’hanno formata in precedenza, in particolare quello con Yasmeen Godder nel 2012 all’interno di ChoreoRoamEurope, progetto di ricerca sulla coreografia sostenuto dal programma per la Cultura dell’Unione Europea – è quella del corpo, declinato nella sua accezione più privata e individuale, senza per questo correre il rischio di cadere nell’autoreferenzialità. Da qui la necessità di non valersi mai di una nudità integrale, ma di lasciare sempre un dettaglio che in qualche modo contribuisca a dare una connotazione specifica alle figure portate in scena – la gonnellina verde di Virginia, la camicia di All Dressed Up. Un corpo votato all’esposizione, costretto a focalizzarsi sul suo stato di presenza e sul proprio sentire, che ha scelto di abbandonare ogni finzione e di raschiare via la pellicola più superficiale. Un corpo che vive in un tempo dilatato, sospeso e sempre filtrato dalla soggettività che è chiamata in causa. Può il solo movimento aprire dei canali d’accesso e arrivare a raccontare ciò che è indescrivibile a parole? La volontà della giovane artista è quella di trasformare questo primo studio, ancora in una fase embrionale, in un collages di soli,eseguiti da interpreti non professionisti, e di riuscire a trasmettere loro un metodo attraverso la scoperta di un vocabolario comune del corpo. Non è tuttavia scontato che una pratica coreografica tanto personale sia in grado di conservare la sua efficacia, una volta che venga trasferita ad altri: questa è la sfida che Giorgia ha deciso di proporre a sé stessa. Waiting for Virginia…

– Elisa Biscotto –