Closing REF2024
Prima Nazionale
Alva Noto Christian Fennesz
“CONTINUUM” IN THE SPIRIT OF RYŪICHI SAKAMOTO
Nel suo percorso artistico, Ryūichi Sakamoto ha saputo spaziare tra differenti generi e linguaggi, inoltrandosi nella sperimentazione nell’ambito di più sfere disciplinari. Per la prima volta al Romaeuropa Festival esattamente vent’anni fa si esibì con Christian Fennesz in una performance in cui all’esecuzione dei suoi brani già noti si univa l’improvvisazione frutto della collaboraziona tra i due musicisti. Da quel momento il Maestro Giapponese ha attraversato più volte la storia del festival, non solo con i suoi live ma anche con le sue esplorazioni nel mondo delle arti visive e digitali. Nel 2010, per la prima edizione del progetto espositivo Digitalife presentò insieme a Shiro Takatani l’incredibile installazione “LIFE: fluid, invisible, inaudible”. L’ultimo concerto di Sakamoto al Romaeuropa lo ha visto in scena nel 2019, insieme ad Alva Noto per il closing della 34esima edizione del festival. Un evento incredibile e partecipatissimo, proprio nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Dopo “Music for film” della Brussels Philharmonics con Dirk Brossé e la proieizione di “Opus” di Neo Sora, sono proprio Alva Noto e Fennesz a chiudere la trentanovesima edizione del REF “nello spirito di Ryūichi Sakamoto”, un omaggio a uno dei più grandi artisti del nostro tempo. Le due icone della musica elettronica, hanno stretto un’inedita collaborazione in onore del grande musicista e compositore dando vita a “Continuum”: uno speciale live per rendere omaggio all’eredità del Maestro, spingendo al contempo i confini dell’innovazione musicale. La collaborazione tra Fennesz e Alva Noto è nata dalla comune ammirazione per il lavoro di Sakamoto e dal desiderio di portare avanti il suo spirito di collaborazione. Traendo ispirazione dal passato, i due artisti hanno unito le forze per creare un continuum musicale che colma il divario tra le generazioni e che pone al suo cuore la forza della collaborazione. Dai direttori tecnici ai responsabili del suono, dai progettisti del palcoscenico e delle luci agli specialisti del video, ogni membro del team si è riunito per garantire al pubblico un’esperienza memorabile e coinvolgente. «Siamo molto contenti che la squadra sia di nuovo al completo», afferma Fennesz. «Mancava Ryūichi, naturalmente, ma cercheremo di colmare questa lacuna per tenere viva la sua eredità e creare nuova musica».
Sakamoto, “spazio aperto” al futuro
di Patrizio Ruviglioni
A fine anni Settanta, in Occidente, il Giappone è dovunque: dalle automobili agli infiniti ritrovati tecnologici di un’industria che ormai ha preso il volo, dal mito dei treni ad alta velocità ai videogiochi “arcade”, fino ai cartoni animati che – perfino in Italia – riempiono le giornate di bambini e adolescenti, tra robottini e storie d’amore. Ma un filo rosso, almeno nei prodotti culturali, resiste: ispirano tutti una certa propensione al futuro ma sono anche tradizionali, nel senso che rispettano e raccontano usi e consumi del Paese, si legano al suo immaginario. Così si vedono i ciliegi in fiore, gli scorci delle città, i cibi caratteristici… Anche la musica ha il suo ambasciatore in questa grande ondata: Ryūichi Sakamoto. Le coordinate estetiche e di pensiero, d’altronde, vengono da lì: leggenda vuole che, da genio qual era, abbia cominciato a suonare il pianoforte a soli tre anni – quindi nel 1955, in piena trasformazione da dopoguerra. Conosce bene il dolore dell’olocausto nucleare che ha traumatizzato i genitori, ma è anche sicuro che modernità e tradizione debbano continuare a contaminarsi. Per farsi un’idea basta seguire i passi della sua prima creatura, la Yellow Magic Orchestra (1978-1983), un misto di Beatles e Talking Heads all’orientale, fondamentale per l’affermazione della musica giapponese nel mondo e per l’identità stessa delle band con la sua new wave (ma le contaminazioni con l’elettronica saranno tante, varie e spesso in anticipo sui tempi) capace di unire i suoni in voga in Giappone, i sintetizzatori di ultima generazione (le case produttrici, addirittura, gli forniscono i nuovi modelli in anteprima) e la musica classica. Un approccio radicale, una filosofia di vita che replicherà in futuro tanto nelle leggendarie colonne sonore per il cinema quanto nelle «camminate sul lato selvaggio» dell’elettronica sperimentale. Perché sì, di fianco al Sakamoto «maestro», all’uomo da copertina di Hollywood e alla star mondiale, ce n’è uno altrettanto audace e attuale, che si sporca le mani. A omaggiarlo ancora, in questo finale della trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival, sono Alva Noto e Christian Fennesz, decani dell’ambient rispettivamente tedesca e austriaca, che appartengono alle generazioni successive ma che negli ultimi vent’anni, singolarmente, sono stati suoi fidati collaboratori in questo campo (con Alva Noto, nel 2015, ha anche realizzato la colonna sonora del film ”Revenant”). Tra le sue varie partecipazioni al Romaeuropa, Sakamoto si era già esibito con entrambi, in più occasioni distinte. Ora, per la prima volta i «discepoli» mettono insieme le idee in “Continuum”, un concerto «nello spirito» del Maestro, in cui radunano sul palco direttori tecnici, responsabili del suono, progettisti, light designer e specialisti del video che hanno ruotato intorno alle esibizioni di Sakamoto, proponendo nuovi inediti che ne seguono lo stile e l’approccio. Del resto, quella del compositore e musicista giapponese è da sempre una musica con un finale aperto: le radici salde a terra, i rami che si spingono fino a dove si vuole… ed è lontanissimo.
La chiave, infatti, è nell’incontro tra mondi solo apparentemente opposti: Sakamoto tornato a uno dei suoi primi amori, la musica classica di Debussy che aveva studiato da adolescente, e alle composizioni per pianoforte, con il suo tocco classico, essenziale, per niente barocco, che comunica prima di tutto con le pause, dove le note cadono a grappoli; Alva Noto e Fennesz ci ricamano sopra. Tradizione e contemporaneità: Alva Noto spalanca vuoti su cui le partiture di Sakamoto restano sospese, con quella malinconia che solo i grandi spazi aperti, anche a livello architettonico, sanno trasmettere; per Fennesz, esperto di musica glitch, basata cioè sugli «errori» delle macchine, si tratta più che altro di sporcare e sommergere la purezza originale, quasi per offrirne una visione distorta. Cos’è allora: un oltraggio alla tradizione della classica o un prototipo della cosiddetta «neoclassica»? Semplicemente, Sakamoto: radici e rami, appunto; sperimentazione nei confini della grammatica di sempre, per aprirli dall’interno. Un colpo d’occhio, dal palco, lo restituiva il live ”Two” che chiudeva il Romaeuropa Festival nel 2019: da una parte lui, il Maestro, con gli occhiali, elegante e curvo sul pianoforte; dall’altra, nella stessa posizione, Noto, vestito di nero, ad armeggiare con gli strumenti digitali. Una corrispondenza fitta, un dialogo. I mezzi del futuro al servizio di quelli del passato e viceversa. E la contemporaneità di queste opere, oggi, è soprattutto di pensiero. D’altronde è la forza stessa di questo tipo di ambient, che fa in modo che tante produzioni di allora e ancora precedenti – tra cui alcune primordiali e dimenticate del Sakamoto solista degli anni Settanta, vengano riscoperte ciclicamente dalle nuove generazioni. O non passino mai veramente. Perché invece di asfissiare tempi e metriche, come nella musica leggera di oggi, cercano una via di fuga nella lentezza e nella dilatazione, lasciando spazi aperti dove far immergere l’ascoltatore, stimolandone l’immaginazione, il pensiero. C’è bisogno di rallentare, di mettere al centro l’uomo, l’introspezione, la complessità, la malinconia. Affascinano e al tempo stesso fanno paura: sono misteriose, non danno risposte ma stimolano domande. Prima ancora che la fiducia e la lotta per il progresso è questo spazio libero e accogliente il testimone che il Maestro, figlio dei migliori propositi della sua epoca, lascia alle generazioni di oggi con cui ha condiviso tante battaglie, da quelle per la pace e per l’ambiente all’idea di una Rete democratica e libera. Il resto, dal rapporto con la tradizione a quello con il futuro, è filosofia: questa musica non è un antidoto alla frenesia di quella contemporaneità che, a leggerla male, vorrebbe combattere; ma un meccanismo, questo sì, per viverla al meglio.
Carsten Nicolai aka Alva Noto è un artista e musicista residente a Berlino. Nato nel 1965 a Karl-Marx-Stadt, fa parte di una generazione di artisti che lavora intensamente in un’area in cui si incontrano musica, arte e scienza. Attraverso i suoi esperimenti sonori nel campo della musica elettronica crea un riconoscibile e personalissimo codice di segni sia acustici che visivi. Nel 1994 fonda l’etichetta NOTON e nello stesso anno inizia la collaborazione con Raster Music. Nel 1999 le due etichette si fondono nella celebre Raster-Noton, tra le etichette più importanti nell’ambito della musica elettronica. Alva Noto collabora negli anni con alcuni dei più importanti musicisti internazionali: se continuo è il suo rapporto con Ryūichi Sakamoto e Ryoji Ikeda, il musicista tedesco vanta collaborazioni con numerosi altri artisti, tra i quali Blixa Bargeld e Mika Vaino. Dopo la colonna sonora di “The Revenant“ di Alejandro Gonzàles Iñárritu scritta insieme a Sakamoto, realizza per il regista le musiche dell’installazione in realtà virtuale “Carne Y Arena“. Carsten Nicolai è anche artista visivo. Nel suo lavoro cerca di superare la separazione delle percezioni sensoriali dell’uomo visualizzando i vari fenomeni scientifici attraverso frequenze sonore e luminose, percepibili da occhi e orecchie. Le sue installazioni sono state esposte in tutto il mondo in numerose mostre personali e collettive.
Christian Fennesz tra i massimi esponenti dell’universo glitch, assieme ad altri musicisti legati all’etichetta Mego, prima della sua conversione ad un’originale ambient music, l’austriaco Fennesz è considerato l’ultimo dei romantici della musica sperimentale elettronica. Chitarra e computer sono gli strumenti utilizzati usualmente dal musicista per creare suoni elettronici scintillanti e vorticosi. Secondo la rivista americana City Newspaper, Fennesz utilizza la chitarre elettrica separandola dai cliché e da tutti i suoi limiti fisici, dando forma a un nuovo linguaggio musicale. Le sue composizioni non sono però degli sterili esperimenti informatici ma assomigliano a registrazioni microscopiche della vita degli insetti di una foresta pluviale o di eventi atmosferici naturali. Questo naturalismo sembra caratterizzare tutta la produzione dell’artista. Fennesz è pubblicato da Touch Muisc. Vive e lavora a Vienna. Il suo ultimo disco è stato nominato “Best New Album” dalla rivista americana Pitchfork.