Ersan Mondtag, NTGent
De Living
IS THERE A WORLD OUTSIDE?
Intervista con il regista Ersan Mondtag di Eva-Maria Bertschy
Eva-Maria Bertschy: Probabilmente, non si dovrebbe mai chiedere a un regista di cosa parla un suo spettacolo. Eppure sono interessata alla tua risposta.
Ersan Mondtag: Inizierei a risponderti descrivendo l’azione sul palcoscenico: vediamo un soggiorno in duplice copia. Due stanze identiche. C’è una donna seduta a tavola, che presto si toglierà la vita. Giace morta sul pavimento, sul lato destro del palco. Dopo un po’ la stessa donna torna in scena, ma dall’altra parte, nella stanza a sinistra. La scena sembra ripetersi dall’inizio. Ad un certo punto la donna a destra, quella che giace a terra, inizia a recitare tutto al contrario fino al punto in cui le linee temporali delle due stanze si incontrano e coincidono. È a questo punto che accade qualcosa che adesso non vorrei svelare. Questo è il punto di partenza. Questa è l’azione. Quanto a cosa farne, avrai bisogno di un modo particolare di guardare al palcoscenico, alla scenografia. Perchè al suo interno ci sono delle indicazioni che possono guidarti. È solo nella combinazione di azione, spazio e scenografia che il contenuto dello spettacolo può emergere.
EMB: Tuttavia, la scena dello spettacolo non si posiziona in una realtà definita o in un preciso momento storico. Le indicazioni sono molto contraddittorie e ambigue. SI trova, in un certo senso, fuori dal tempo?
EM: Gli elementi sulla scena non definiscono un mondo esterno ma danno un’idea di quale potrebbe essere la situazione al di fuori dello spazio. La stanza non ha una finestra ma possiamo vedere rami in fiore e uccellini dipinti sulla carta da parati. A poco a poco, lo spettatore nota sempre più dettagli. Vediamo un uccello in gabbia. Quando la donna apre l’armadio della cucina vediamo delle lattine disposte una sull’altra. Perché? Alcuni vestiti sono appesi nell’armadio. C’è un mondo fuori da qui?
EMB: Il mondo esterno è incerto. È vero, c’è una porta, ma non è chiaro dove conduce. Lo spettatore può solo speculare su questo. Sappiamo altrettanto poco della vita della donna che si suicida, quindi siamo liberi di immaginarla. In ogni caso, il gioco inizia a sinistra con una donna che torna a casa dal lavoro.
EM: Il soggiorno è un luogo che si suppone ancora privato. Nel suo libro Il declino dell’uomo pubblico, Richard Sennett descrive come, nel mondo moderno, la separazione tra vita privata e spazio pubblico è stata progressivamente eliminata, determinando la scomparsa sia dello spazio privato che dello spazio pubblico. I parchi sono diventati sempre più piccoli, le persone non si incontrano più nelle strade per scambiarsi informazioni, le strade sono diventati solo luoghi di transizioni, luoghi attraverso cui passare. Allo stesso modo, i teatri si sono oscurati. Gli spettatori non hanno più potuto parlare l’uno con l’altro e il palcoscenico è diventato uno spazio che lo spettatore si limita a guardare. Su di esso è stata raccontata una storia sigillata, definita e gli attori hanno dato sfogo a sentimenti precedentemente privati come la gelosia, l’odio e la lussuria. La psicologia ha occupato il centro della scena mentre la morale e la trascendenza hanno perso significato. Ecco perchè trovo che il soggiorno sia uno spazio interessate: guardiamo un luogo apparentemente privato. La scenografia, tuttavia, contiene molte indicazioni su come questo spazio sia anche pubblico.
EMB: De Living è una sorta di commedia da camera in cui un personaggio comunica solo con sé stesso, con la sua immagine speculare. La sua osservazione di sé avviene in uno spazio privato ma socialmente definito. E c’è qualcosa di inquietante in questo. Nell’accorgersi di come l’individualità sia un illusione e di come, in qualche modo, siamo stati tutti messi in riga. Tutti vorremmo fuggire, anche solo per un momento, dalla determinazione sociale della nostra esistenza.Soprattutto in tempi in cui nessuno crede più in un futuro migliore.
EM: Trovo che l’inevitabilità dell’atto violento sia uno dei punti interessanti dello spettacolo. Lo spettatore sa sin dall’inizio che alla fine la donna protagonista si toglierà la vita. Parliamo quindi anche dell’immutabilità della storia, del corso degli eventi, dell’accettazione e dell’impotenza dinanzi a tutto ciò. Le cose sono davvero inevitabili? C’è una narrazione definita che dobbiamo ripetere ancora e ancora? Alcune persone sono destinate ad essere vittime perpetuamente? O è possibile disinnescare tutto ciò? È possibile prendere qualcosa che è stato tramandato come essenziale per riferirsi all’oggi e semplicemente stravolgerlo per arrivare a una visione completamente nuova?
EMB: Non è la prima volta che in un tuo spettacolo i personaggi non parlano e restano, in un certo senso, senza parole.
EM: Ciò non significa che non sia presente un discorso nello spettacolo. Il discorso si sviluppa anche in quello che l’osservatore pensa di ciò che osserva. Pensiamo attraverso la parola. Dalla mia esperienza posso dire che la comunicazione verbale del pubblico sullo spettacolo è molto più libera e concentrata quando sul palcoscenico con si parla. La parola espressa definisce: lega molto le cose ed è anche molto restrittiva perché mira a raccontare o addirittura a spiegare in maniera specifica. Si richiede molto di più a uno spettatore che guardando una scena deve dare più spazio ai propri pensieri.
EMB: È sconcertante iniziare a creare dal nulla? Come sono per te i primi momenti delle prove?
EM: Al contrario è molto soddisfacente tradurre un’idea molto semplice sul palco e poi concentrarsi esclusivamente sul processo. Ci sono sicuramente dei film e dei video che sono stati ispirazione per creare la situazione base dello spettacolo. L’allestimento della scena che si svolge al contrario è stato possibile grazie alle riprese. Riprodurle in teatro è in realtà impossibile. Le persone non sono fatte per fare le cose al contrario. Non è qualcosa di cui sono capaci, né nel pensiero né nel corpo. Il nostro corpo non può combattere le leggi di gravità e la gravità, da parte sua, determina il momento in una direzione particolare e a un ritmo corporeo particolare. Se qualcuno cade a terra il movimento verso terra diventa più veloce. Se avessi voluto rappresentare una caduta al contrario sarei dovuto partire da un’azione molto veloce e poi sempre più lenta e questo e semplicemente fisicamente impossibile.
EMB: L’azione in questo spettacolo è molto limitata. Sul palco accadono poche cose molto semplici e quotidiane.
C’è qualcosa di liberatorio nella loro restituzione nell’arte?
EM: Di solito ho bisogno di molto tempo per far funzionare la mia “macchina pensante” in modo tale da non categorizzare più le informazioni, ma iniziare a pensare con esse. Ci sono sempre due momenti. Il primo si basa sull’osservare e il sentire, sull’assorbire qualcosa, acquisire informazioni. Quando le attività vengono ridotte e diventano più lente, allora significa che inizia a produrre pensieri. Quando le attività vengono ridotte o lente, di solito significa che comincio a produrre pensieri. Quando qualcosa accade rapidamente di solito mi preoccupo di cercare di conservare qualsiasi informazione. Non penso. Le informazioni mi sfuggono e alla fine sono insoddisfatto di come sono andate le cose. Ecco perchè trovo più interessante la lentezza.
Regia: Ersan Mondtag
Performer: Doris e Nathalie Bokongo Nkumu, hip-hop dancers known as Les Mybalés
Compositore e Sound Designer: Gerrit Netzlaff
Voce Radio: Simon Turner
Drammaturgia: Eva-Maria Bertschy
Coach per la recitazione: Oscar Van Rompay
Coach per il movimento: Stella Höttler
Consulenza scientifica: Benigna Gerisch
Scena e costumi: Ersan Mondtag
Disegno Luci: Dennis Diels
Assistente alla regia: Liesbeth Standaert
Gestione della produzione: Sebastiaan Peeters
Produzione tecnica: Oliver Houttekiet
Tecnica del suono: Bart Meeusen, Raf Willems
Tecnica luci: Eva Dermul
Pianificazione scena: Tony Morawe, Joris Soenen
Scena e props: Thierry Dhondt, Pierre Keulemans , Flup Beys Michiel Moors, Freddy Schoonackers
Pittura della scena: Luc Goedertier , Eva Devriendt , Kachiri Faes, Joris Soenen
Creazione dei costumi: Isabelle Stepman, An De Mol, Mieke Vander Cruyssen
Coproduttori: La Villette (Paris), Theaterfestival Boulevard (‘s Hertogenbosch), Kunstenfestivaldesarts (Brussels), HAU Hebbel am Ufer (Berlin)
Questa produzione è stata realizzata con il supporto di: The Belgian Tax Shelter
Con il sostegno del Goethe-Institut