Il Ballet de L’Opéra di Parigi si presenta come una delle più antiche compagnie di danza. Nasce nel 1661 quando Luigi XIV, appassionato ballerino, crea l’Accademia Reale di danza a cui affianca dal 1713, la Scuola: da qui un percorso di codificazione di passi, di appropriazione di una tecnica virtuosistica, di collaborazioni con i grandi coreografi.
Il suo repertorio, quanto mai ricco e vario, si muove dai grandi artisti del passato come Philippe Taglioni, Michel Fokine, Vaslav Nijinskij ai più contemporanei Maurice Béjart, Merce Cunningham, Roland Petit, Paul Taylor.
Per questa edizione del Festival, il Ballet de l’Opéra, sotto la direzione artistica di Patrick Dupont, ha presentato tre opere di coreografi del Novecento, ognuno con una tensione verso l’attualizzazione dell’eredità classica. Si passa infatti dal neoclassicismo di Serge Lifar, a Jérôme Robbins, in bilico tra tradizione e modernità, per concludere con la stravagante Twyla Tharp, che attraverso l’ironia spinge oltre il limite la tecnica classica.
Creato nel 1943 appositamente per il Ballet de l’Opéra, Suite en blanc di Serge Lifar – allora direttore artistico dell’ensemble – si struttura su nove sequenze di Namouna (1882), partitura musicale di Edouard Lalo. Scardinata infatti l’originaria successione drammaturgica, il coreografo costruisce una teoria di “numeri” indipendenti come fosse una sorta di esposizione-bilancio dell’evoluzione della danza.
Incluso nel repertorio del Ballet sin dal 1989, In the night di Jérôme Robbins, che ha avuto il suo battesimo di palcoscenico nel 1970 per opera del New York City Ballet, è caratterizzato da uno speciale rapporto con la musica: i Notturni di Chopin infatti esaltano ed alimentano una danza completamente inscritta nella musica, una coreografia dove “il virtuosismo diventa un mezzo superiore per esprimere in modo più acuto la sottigliezza dei rapporti sensibili tra gli esseri”.
A chiudere il programma, il divertito e libero sguardo di Twyla Tharp che nel suo Push comes to shove, con sapiente disinvoltura associa la danza classica a forme più svariate e contemporanee di movimento: la coreografia, creata nel 1976 per Mikhail Baryshnikov, è stata interpretata in questa occasione da Patrick Dupont.
SUITE EN BLANC
Coreografia Serge Lifar
Musica Edouard Lalo (estratti da Namouna)
Danzatori (18 e 19 luglio) Karin Averty, Clotilde Vayer, Fanny Gaida (La siesta), Elisabeth Platel, Wilfried Romoli, Lionel Delanoë (Pas de trois), Carole Arbo (Serenata), Marie-Claude Pietragalla, Ludovic Heiden, Bruno Camhapé, Fabien Roques, Bertrand Belen (Pas de cinq), Florence Clerc (La sigaretta), Charles Jude (Mazurka), Florence Clerc, Jean Yves Lormeali (Adagio), Elisabeth Maurin (Il flauto)
Danzatori (20 e 21 luglio) Muriel Hallé, Christine Landault, Nathalie Riqué (La siesta), Elisabeth Maurin, Wilfried Romoli, Stéphane Elizabé (Pas de trois), Elisabeth Maurin Serenata, Karin Averty, Ludovic Heiden, Bruno Cauhapé, Fabian Roques, Bertrand Belen (Pas de cinq), Elisabeth Platel (La sigaretta), Jean-Yves Lormeau Mazurka, Monique Loudieres, Charles Jude Adagio, Clotilde Vayer (Il flauto)
IN THE NIGHT
Coreografia Jérôme Robbins
Musica Fréderic Chopin (Quattro Notturni per pianoforte op. 27 n. 1, op. 55, n. 1 e 2, op. 9 n. 2)
Pianoforte Henri Barda
Costumi Anthony Dowell
Danzatori (18 e 19 luglio) Monique Loudieres, Jean-Yves Lormeau, Elisabeth Platel, Kader Belarbi, Isabelle Guérin, Wilfried Romoli
Danzatori (20 e 21 luglio) Fanny Gaïda, Mannel Legris, Carole Arbo, Kader Belarbi, Marie-Claude Pietragalla, Wilfried Romoli
PUSH COMES TO SHOVE
Coreografia Twyla Tharp
Musica Joseph Haydn (82 Sinfonia in Do maggiore detta L’orso)
Preludio di Joseph Lamb (Bohemia Raq. 1919)
Arrangiamenti David E. Bourne
Costumi Santo Loquasto
Luci Jennifer Tipton
Danzatori Patrick Dupond, Isabelle Guèrin, Carole Arbo, Fanny Gaïda, Lionel Delanoë
Ensemble Ballet de L’Opéra de Paris
Presidente Pierre Bergé
Amministratore Generale Georges Françoise Hirsch
Direttore Generale Philippe Béleval
Direttore Della Danza Patrick Dupont
Direttore Musicale Myung Wung Chung
SU PUSH COMES TO SHOVE
L’ironia è anzitutto uno strumento di “risveglio”. Spacca le abitudini.
Il mio non è un atteggiamento aggressivo nei confronti della danza classica. Non cerco di sbarazzarmi della tradizione né della cultura del balletto. Al contrario cerco di utilizzare pienamente ciò che i ballerini hanno imparato, ciò che sanno fare, per spingerli oltre e condurli al punto in cui possono giocare con le loro capacità tecniche.
Dipendiamo tutti dalla danza classica e dal suo insegnamento.
Me ne servo, ci gioco, ma la rispetto.
Twyla Tharp
L’Ouverture a tre – preludio sul Rag-Time di Joseph Lamb – è una sorta di biglietto da visita di ciascuno dei ballerini, ognuno con la sua identità, con il suo bagaglio (la ballerina moderna, il ballerino di formazione classica, la ballerina anni Venti). Questo melting pot è d’altronde il crogiuolo della danza americana.
Poi si passa alla Sinfonia di Haydn, con la sua ritmica così complessa. L’approccio di Twyla alla musica non è timido: lei assalta la partitura, battuta dopo battuta, e la scortica sapientemente. Il lavoro musicale è molto preciso. Non si può affatto fare tutto “quello che si vuole”. Le cose che più appaiono “rilassate” sono le più difficili sul piano tecnico: si tratta di rompere dei nessi organici, spezzare un movimento, mettersi in bilico, cambiare direzione nel bel mezzo di una frase musicale. Tutto ciò era molto estraneo alla mia formazione. Tanto più che con Twyla si tratta di vivere una contraddizione continua tra l’intenso lavoro imposto a gambe e piedi e l’estrema flessibilità che deve mantenere invece la parte superiore del corpo.
Vi toglie il fiato! Questa danza lascia tutti come pesci sulla sabbia.
Mikhail Baryshnikov
Rassegna stampa
“Il momento sublime della serata è stato toccato da In the night creato nel 1970 da Jérôme Robbins, senza dubbio il più grande coreografo vivente. Segue di un anno il solare Dances at a gathering ed è lunare come promette il titolo: tre coppie su Notturni di Chopin si confessano una dopo l’altra, separatamente per tornare infine ognuna alla propria solitudine. La danza è fuori e dentro la musica e colpisce ancora una volta il fraseggio sfumato di Robbins. Il clima è romantico ma lo sviluppo delle combinazioni coreografiche è straordinariamente moderno. Sono sospiri e respiri d’amore, contatti fuggitivi, discussioni senza parole di corpi che si intrecciano, si entra e si esce dalla scena del teatro come da quella della vita; contrasti che si appianano, volti che si abbuiano per poi rischiararsi in cento impercettibili sfumature, un soffio di poesia… Quanto Patrick Dupont direttore della danza al Palais Garnier, rappresenti per i ballerini non solo il maestro ma il buon compagno di lavoro, il camerata, si è visto in Push comes to shove di Twila Tharp. […] Ci è sembrato ancora più scapigliato con un Dupont in vena di humour, di spirito ludico un gestire ricco di ammiccamenti, divertito di funamboliche apparizioni”.
(Alberto Testa, Opéra di Parigi questa è la danza, la Repubblica, 21 luglio 1991)
“Dupont, che danza in quest’ultima fetta del programma romano, si ritaglia un ruolo molto pertinente al suo carattere. Quello di un ballerino simpatico e un po’ capriccioso che vuole danzare – e come danza – ma poi si interrompe. Vuole fare il verso al cabaret con il suo costume aranciognolo in ciniglia e la bombetta nera, ma poi si ricrede. Si ferma. Lascia che il resto della compagnia condisca con sale e pepe un balletto-pastone. […] In In the night, vibrante plenilunio su celebri notturni di Chopin eseguiti dal vivo al pianoforte, danzano tre coppie: sono tre emblematici stati d’animo dell’amore. Brilla lo schizofrenico “ti voglio e non ti voglio” dell’affascinante Marie-Claude Pietragalla con il suo partner, Wilfrid Romoli dal volto e corpo teso per gli altalenanti sentimenti della sua compagnia. In Suite en blanc la bellezza e la grazie di Elisabeth Platel lasciano a bocca aperta. Come i salti leggiadri di Charles Jude e l’avvenenza di Jean Uves Lormeau”.
(Marinella Guatterini, Opéra, la più bella del mondo, l’Unità, 21 luglio 1991)
“Ben altra poesia e una più approfondita ricerca vivono nel balletto In the night di Jérôme Robbins, creato su quattro Notturni chopiniani (qui evocati al pianoforte da Henri Barda) per il New York City Ballet nel 1970 e recentemente acquisito nel repertorio dell’Opéra. Sui romantici accenti chopiniani Robbins pennelleggia tre sfumati “passi a due” che scandagliano il sentimento amoroso in diversi momenti: l’innamoramento giovanile, l’amore armonioso, la passione travolgente. E li esprime in un linguaggio neoromantico aggiornato, carico di suggestioni psicologiche alla Tudor. Infine, dopo la parte “noble”, ecco il “coté” sbarazzino, con in scena anche il divino Patrick a trascinare il corpo di ballo nel gustoso ed ironico Push come to shove […]. La tradizione classica, nelle mani di una coreografa di sensibilità contemporanea come la Tharp, si colora di movimenti jazz, di accenti swing, di insospettato humour. La tradizione viene qui vista con distacco e ironia. Senza irriverenza la Tharp se ne serve per giocarci sapientemente in un gustoso gioco di accenni e distorsioni. E Dupont, di questo clima leggero e giovanile, col suo eterno volto da ragazzo, si fa mattatore da protagonista della danza quale è. Tutto in lui sembra naturale, tutto anzi sembra appositamente concepito per lui e su di lui”.
(Lorenzo Tozzi, Signori, sua maestà l’Opéra con Dupont & C., La Stampa, 20 luglio 1991)
SU SUITE EN BLANC
di Serge Lifar
La coreografia
Suite en blanc è una vera e propria parata tecnica, un bilancio dell’evoluzione della danza accademica nel corso di alcuni anni, il “conto da pagare” presentato dalla coreografia odierna alle future generazioni.
Fare il bilancio dell’evoluzione tecnica del balletto non è cosa facile; essa è spesso appena percettibile, e si rimane sorpresi nel constatare, dopo qualche anno, che un certo passo tende a scomparire (come il pas de chat, il rond de jambe in aria, la capriola su se stesso), mentre un altro passo guadagna terreno, come il tour de manège, il déboulé, il chaîné […].
É molto più facile esporre le innovazioni dei nostri tempi, e questo ho fatto nel mio nuovo balletto: vi troverete l’arabesque piegata, l’arabesque con ginocchio al suolo, l’arabesque portata, l’arabesque in seconda (intendo con questo, l’arabesque che ho inaugurata nel pas de deux del Chevalier et la Demoiselle), dei doppi giri “in aria ricaduti”, come quello che ho introdotto alla fine della variazione di Alberto in Giselle.
Vi troverete la sesta e la settima posizione con i loro sviluppi. Vi troverete infine il risultato delle mie ricerche di studio con una classe d’adagio all’Opéra, particolarmente per quanto riguarda il supporto.
Componendo Suite en blanc, non mi sono preoccupato che della danza pura, indipendentemente da tutte le altre considerazioni. Ho voluto creare delle belle visioni, delle visioni che non hanno niente d’artificiale, di cerebrale. Ne e risultato una successione autentica di piccoli studi tecnici, di concentrati coreografici indipendenti gli uni dagli altri, ma apparentati tra di loro da uno stesso stile neo-classico”.
Serge Lifar
(in Le livre de la danse, 1954)
La musica
Alcuni mi hanno rimproverato di avere inesorabilmente tagliato la partitura scritta da Edouard Lalo per Namouna, o di avere concepito delle “danze pure” su una musica “orientale”. Ad esclusione di qualche numero – che d’altronde non figura in questa versione – il carattere orientale della musica di Lalo è perlomeno discutibile, mentre è fuori dubbio il suo aspetto fondamentalmente danzante. È una bella, bellissima musica, una musica nettamente “coreografica”.
Inizialmente nel 1882 (la prima rappresentazione ebbe luogo il 6 marzo), Namouna era un grande balletto in due atti e tre quadri su libretto di Nuitter, il “ballettomane” bibliotecario dell’Opéra, e di Lucien Petipa.
L’azione del balletto, molto rocambolesca – tratta dalle Memorie di Casanova – si svolgeva a Corfù, in un’ambiente di spadaccini. Namouna era la schiava esitante tra due padroni, Adiani e Ottavio, che optava poi per quest’ultimo (interpretato da Merante, che accettava ancora ruoli da attore giovane, malgrado l’eta, la pinguedine e i folti baffi). La grande attrattiva della coreografia, era il famoso passo della “sigaretta” voluttuosamente danzato da Rita Sangalli, la creatrice di Sylvia, che all’epoca creò un certo scalpore. Anzitutto tra le signorine del corpo di ballo, che, dopo l’incidente mortale di Emma Livry, avevano una paura terribile del fuoco sulla scena e temevano che un movimento brusco della ballerina solista potesse incendiare il loro tutù.
Namouna non ebbe un gran successo e la sua carriera si arrestò a 16 rappresentazioni. Il balletto fu poi ripreso nel 1908 in una bella interpretazione, con i protagonisti Carlotta Zambelli e Leo Staats. Malgrado il successo della Zambelli, principalmente nel passo della “sigaretta” in cui la ballerina imitava le volute del fumo (dopo la protesta del corpo di ballo, nel 1882, Namouna danzava con una sigaretta spenta), il balletto non fu più eseguito.
La musica di Edouard Lalo fu ridotta una prima volta quando nel 1935 Leo Staats approntò un divertissement che il balletto dell’Opéra avrebbe portato a Firenze.
È in questa versione semplificata che la partitura mi fu affidata per costruirvi una nuova coreografia. Solo i frammenti piu belli sono conservati, generalmente senza transizioni, e costituiscono un’autentica suite di numeri danzati, assoli, pas de deux, pas de trois… Non mi sono minimamente posto il problema di creare qualche trama narrativa.
(in Comoedia, luglio 1943)