Il secondo appuntamento di DNA Movement porta la firma di Grazia Grosso. Dopo aver fatto sdraiare a terra i partecipanti al laboratorio e chiesto loro di connettere il proprio respiro alla luce proveniente dal tetto trasparente dell’Opificio Telecom Italia, fa sperimentare dapprima la dimensione della scomodità e poi quella dell’apertura all’altro ripensando a Moto perpetuo_prima deviazione di Anna Basti. Ogni partecipante compie con le braccia e con le mani, fino a coinvolgere tutto il corpo, l’azione di raccogliere e spargere ciò che è all’interno e all’esterno di sé verso il basso e l’alto, in orizzontale e in verticale, cioè su più livelli spaziali. Poi si passa ad indagare l’ambiguità della visione al centro di Lo sguardo del cane di Elena Giannotti attraverso l’esecuzione di alcuni gesti semplici e concreti via via sempre più stratificati. La Gross oinvita a esplorare la possibilità di uno sguardo sparso, che deve misurarsi con la densità di quello che ha intorno. Così parallelamente ad una serie di camminate, in avanti, all’indietro, di lato e di stop repentini, l’insegnante assegna a ciascun partecipante il compito di rimirare in un primo momento un oggetto, una persona o una traiettoria nello spazio, di concentrasi poi su un secondo e terzo obiettivo. Facendo praticare questi gesti in maniera alternata e inaspettata si viene a screditare l’unidirezionalità della visione, a contraddirla e sparpagliarla in continuazione. La Grosso correda questi esercizi con una serie di immagini di arte moderna tra cui la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci che presenta uno sguardo indiretto, definitore dello spazio e creatore di interesse per l’osservatore e una Natività del Bronzino in cui si assiste al movimento nello spazio di più sguardi, quelli dei vari personaggi. Nella seconda ora del laboratorio si indaga invece il motivo della costrizione su cui si impernia 40.000 centimetri quadrati di Claudia Catarzi. La pedana quadrangolare su cui la performer agisce viene realizzata con del nastro adesivo sul pavimento e all’interno di essa ogni partecipante sperimenta le possibilità di cui dispone il proprio corpo in uno spazio circoscritto. C’è chi si sofferma sui bordi, chi li misura con le mani, chi prova a sentirli in altezza, chi inizia a saltare sempre più forte in quel riquadro prima di trovare una deviazione, la sua.
– Andrea Scappa –