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25 Gennaio 2014
DNA scritture

Marina Giovannini

Scritture. Meditation on beauty n. 1


Scritture. Meditation on beauty n. 1

L’interdiscorsività del lavoro della coreografa e danzatrice Marina Giovannini le conferisce la definizione di autrice. Padroneggiare il senso di una performance, definire i propri parametri di ricerca e consentire una riflessione eterogenea e aperta su uno o più temi – questi alcuni dei molteplici compiti dell’autore – sono qualità riscontrabili nella persona della Giovannini, artista operante una ricerca nell’ambito della danza e delle arti performative, tesa a indagare alcuni nodi precisi e alquanto personali. Le due performance presentate all’Opificio Telecom, nell’ambito della rassegna W4DNA curata dalla fondazione Romaeuropa, costituiscono due frammenti complementari di una medesima riflessione, estremamente personale e necessaria, effettuata nel corso di anni e tuttora in itinere; uno squarcio sull’estetica e sulla progettualità di una danzatrice e coreografa, membro dell’associazione culturale indipendente CAB008, la quale effettua una ricerca costante e vitale sull’essenza del proprio lavoro, alternando  collaborazioni proficue come quelle con Letizia Renzini (con la quale partecipa a lavori come Bambola di carne nel 2009 e  Misura nel 2012) a una sua personale riflessione nella quale però collimano suggestioni dei lavori passati. La Giovannini in Meditation on Beauty n. 1 e Meditation on Beauty n. 2 trasfigura e sublima il fascino che su di lei esercita la geometria, come misurazione dello spazio e rigore logico/progettuale, accostando un immaginario di figure, simmetrie e richiami scultorei e pittorici alla sua ammirazione per figure femminili peculiari come Nina Simone e Maya Deren. La musica della Simone fa da colonna sonora alle due performance ma non invade l’atto coreografico, configurandosi come una suggestione biografica e intima; una voce registrata dal passato e catapultata in un qui ed ora qualsiasi, straniante interazione paradossale tra una bellezza struggente al di là del tempo e una sportività motoria costretta in uno spazio circoscritto. Regista ucraina naturalizzata statunitense, autrice di capolavori del cinema sperimentale anni 40 come Meshes of the afternoon, e vicinissima al mondo della danza, Maya Deren è invece omaggiata dalla Giovannini sia nel titolo (derivante da Meditation on violence, 1948 ) sia nella modalità di concepire il tempo – un tempo a ralenti, trasfigurato, “femminile” ossia sempre in divenire. Dall’ultimo lavoro della coreografa, Misura, provengono invece alcuni oggetti scenici – i tre plinti o parallelepipedi – figure geometriche ‘feticcio’ che vengono poste al centro dello spazio scenico, immobili eppure pregnanti di significati archetipici; sono di legno e cavi, emettono un suono sordo, costituiscono una base immobile per il dinamismo dei corpi; contrasto costante di significati, dunque: nel lavoro della Giovannini nulla è lasciato al caso. In Meditation n.1, Marina Giovannini è l’unica performer in scena. Posizionata  sui tre plinti , tra ardui esercizi di equilibrio, movimenti tesi, plastiche pose neoclassiche , la performer instancabile e ipnotica si destreggia tra i tre parallelepipedi, metafore del rimanere ancorati alla materia – alla base –  ma con dinamismo , con incessante messa in discussione della propria posizione in questo fraseggio.  Tra rivisitazioni del canone, tensioni, spinte e contro-spinte, si delinea una figura corporea solida ed elastica; Il corpo della performer sembra vincere il disequilibrio e la precarietà; bellezza sinonimo di tensione muscolare e articolazioni armoniche, sinuose, inquiete nella loro estrema esattezza. La coreografa padroneggia non solo lo spazio – in una dialettica costante con gli oggetti di scena e l’ambiente circostante – ma anche il tempo della performance;  alternando fasi dinamiche a fasi statiche – ad un tratto il corpo si arresta immobile e lo sguardo fissa dritto in avanti, quasi a voler restituire lo sguardo dello spettatore, nell’affermare la presenza della performer nel qui ed ora dell’atto coreografico. Dal piano inferiore dell’Opificio proviene la colonna sonora di un brano di Nina Simone: musica da un’altra stanza  che conferisce all’atmosfera una tonalità tenue, lirica, meditativa; espediente che ritroviamo in Meditation n.2 , dove Marta Capaccioli, Veronica Cornacchini, Lucrezia Palandri – molto simili d’aspetto – interagiscono con più libertà con lo spazio scenico, non sono quasi sempre fisse sui plinti come la Giovannini della Meditation n.1. Le tre perfomers utilizzano tre palloni da basket per delicati giochi di equilibrio; i tre corpi si fondono con gli oggetti scenici in composizioni plastiche e aggraziate, alternando fasi dinamiche a fasi di immobilità simili a fotogrammi. Bloccare il tempo, rallentarlo e giocare con la gravità, questo accade nella ‘prima parte’ di Meditation on Beauty 2. La performance muta quando simultaneamente i tre palloni cadono a terra, andandosi a posizionare simmetricamente ai tre angoli dello spazio scenico, quasi come mossi da un colpo di biliardo. Il tempo si ferma, la musica si parte e le danzatrici si posizionano sui tre parallelepipedi dando vita a una danza matissiana, un continuo girotondo dove i corpi si aggrappano e si incastrano l’un l’altro, in precario equilibrio. L’uso accentuato della ripetizione, l’evocazione della figura del cerchio lasciano considerare che  nella seconda parte della Meditation n. 2 è la vita che pulsa dalla geometria. L’origine della simmetria è  vita, incrocio tra spazio e tempo, vettore che dà tensione e restituisce equilibrio. Non c’è una sola ed assertoria risposta a cosa sia la bellezza. Misurare le parole e farsi molte domande  –  meditare appunto – è indispensabile quando si ragiona sulla motivazione della propria identità di danzatore.

– Angela Bozzaotra –