C.#11 Cesena
Teatro Comandini, 16-22 dicembre 2004
Anche C.#11 è diviso in due parti, ma l’azzeramento teatrale della seconda parte dell’Episodio precedente fa spazio ora a un massiccio ritorno della rappresentazione mimetica e naturalistica.
La prima parte, ambientata in una scena degli anni ’40 di sapore domestico, precipita in un incubo che risucchia la tranquillità quotidiana, tramutandola in tragedia. Un bambino, dopo aver ricevuto il bacio della buona notte dalla mamma e aver salutato il proprio gatto, si mette a dormire. Ma quando la luce si riaccende il bambino non c’è più. Un gruppo di uomini discorre facendo intendere che è accaduto il peggio. Ma i criminali cominciano ad assumere pose che ricordano i santi delle pale da altare; quello che pareva essere il capo, si spoglia dei suoi abiti e, rivolgendosi al letto vuoto del bambino, si inginocchia e prega. Anche l’entrata di un cavallo bianco che viene ad occupare lo spazio esistente tra l’inginocchiato e il muro, aumenta la confusione. Confusione tra empietà e redenzione; tra due nudità animali; e tra due mutismi: quello dell’uomo che non dice nulla, e quello dell’animale che non può parlare. Confusione tra uomo, animale e dio.
La seconda parte si svolge in un altro spazio, dove gli spettatori sono invitati a recarsi. Qui l’ambientazione è un bosco notturno e gelato, i cui confini si perdono nella vastità della lontananza. I fari delle automobili che sciabolano tra i rovi, illuminano a tratti il vapore che sale dal terreno scosceso e la pioggia. In un tempo sospeso, ritmato dal solo sgocciolare, avviene la lenta operazione del destino, rappresentata dal ritrovamento della testa mozzata del gatto da parte di una squadra di uomini incappucciati di tela cerata. I cani sguinzagliati rovistano tra i cespugli e infine le torce dei cacciatori scovano tra i rami il bambino.