L’installazione è esempio della capacità di Tayou di lavorare sulla simbologia contemporanea posizionandosi in una zona di frontiera tra l’Africa e l’Europa. A un albero, simbolo della natura e della vita, sono appesi feticci di plastica, residui e tracce di un’umanità che produce rifiuti ma anche storie e miti. Ogni ramo è una riflessione sulla sostenibilità ambientale, sulla globalizzazione e sull’immigrazione.
Bio
Fin dagli inizi degli anni ’90 e poi con la sua partecipazione a Documenta 11 (2002) a Kassel e alla Biennale di Venezia (2005 e 2009) Pascale Marthine Tayou ha conquistato il pubblico internazionale. Il suo lavoro si caratterizza per una fortissima versatilità. I temi trattati dal suo lavoro sono dei più vari. Sin dall’inizio della sua carriera, Pascale Marthine Tayou ha aggiunto una “e” al suo primo e secondo nome per declinarli al femminile, allontanandosi così ironicamente dall’importanza della paternità artistica e delle attribuzioni maschili / femminili. Ugualmente ha cercato di contrastare ogni possibile identificazione di provenienza geografica o culturale. Le sue opere, proprio per questo, mediano tra differenti culture o mettono in confronto uomo e natura, costruzioni sociali, culturali o politiche. Il suo lavoro è volutamente mobile, elusivo di schemi prestabiliti, eterogeneo. Gli oggetti, le sculture, le installazioni, i disegni e i video prodotti da Tayou hanno una caratteristica ricorrente in comune: si soffermano su un individuo che si muove attraverso il mondo ed esplora la questione del villaggio globale. Ed è in questo contesto che Tayou negozia le sue origini africane e le relative aspettative.
Crediti
Foto © Romaeuropa / Cosimo Trimboli