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Villa Medici
11, 12 luglio 1987
25romaeuropa.net

Compagnia Jan Fabre

Das Glas Im Kopf Wird Vom Glas


Photo © Piero Tauro
Das Glas Im Kopf Wird Vom Glas

Quello di Jan Fabre, giovanissimo e provocatorio regista belga, è l’unico nome non francese nel cartellone della danza di questa edizione del Festival e si accompagna ad uno spettacolo in anteprima assoluta. Il suo Das glas im kopf wird vom glas è infatti il prologo di una fluviale opera-balletto a cui Fabre stava ancora lavorando, The Minds of Helena Troubleyn, la cui prima parte sarebbe stata allestita a Bruxelles l’ottobre successivo (1986). Una scena essenziale ed un corpo ridotto di undici danzatori (che sarebbero saliti a venti nella coreografia definitiva, oltre un coro di trenta elementi per l’esecuzione della partitura di Henryk Mikolaj Gorecki) sono sufficienti a Fabre per articolare quello che per lui è l’interrogativo fondamentale dello spettacolo: l’individuo provoca da sé la propria caduta o questa è la conseguenza di un più ampio e perverso destino universale? La scena è nuda, ornata di un semplice fondale blu, l’azione è puntellata da una serie di oggetti feticcio altamente simbolici (come armature, forbici, spazzole) e scorre con una lentezza lucida e inquietante, in una straniante contaminazione di teatro e arti visive, opera e danza – caratteristica fondamentale dell’intera opera di Fabre, come dimostrano le sue successive creazioni.

Rassegna stampa

Das Glas, per il coreografo belga, è un omaggio all’invisibile, al bello che in quanto tale è sconosciuto, una concessione al suo personalissimo modo di intendere l’arte e la danza, dove più che il movimento conta il sovrapporsi ricorrente delle cose, dei materiali: come le mille forbici dalle lame lucenti che spuntano dall’alto minacciose e fredde; come le corazze di metallo nelle quali sono sigillati due ballerini per tutto il tempo dello spettacolo; o i lacci delle scarpine che legano le mani delle donne, dello stesso colore e materiale del fondale e dei costumi. I quali, a un certo punto, cadono per lasciare tutte in reggiseno e mutandine nere, a danzare sulle punte movimenti lentissimi e uguali, come in un rito macabro e sinistro.
Fabre, che era già stato a Roma con Il potere della Follia teatrale, […] ha lasciato vagamente attonito il pubblico di Villa Medici. Al quale, per invitarlo ad alzarsi, una voce al microfono ha dovuto annunciare che lo spettacolo era terminato”.
(Valeria Fortini, Usa i lacci da scarpe per le mani femminili, Corriere della Sera, 14 luglio 1987)

“Fabre aveva già debuttato a Roma due anni fa con Il potere della Follia teatrale, una lunghissima catena di materiali danzati, recitati, messi in scena, con innumerevoli citazioni da tutto il teatro d’avanguardia da Bob Wilson a Pina Bausch. Lo spettacolo durava oltre cinque ore e l’impatto sul pubblico era notevole. Questo Das Glas è assai più breve – un’ora e venti circa – ma è solo il frammento di una più ampia trilogia.
Quanto era denso e pregno di intenzioni il primo spettacolo tanto è limpido e rarefatto questo, con una tensione bassa ma ininterrotta che si tende come un filo elettrico dalla prima all’ultima immagine. […] L’impressione è che Fabre abbia costruito un bersaglio perfetto e l’abbia poi perfettamente centrato servendosi di un’unica freccia. La maestria nel tendere l’arco è indiscussa, così come indiscussa è la compiuta espressione dell’idea. Resta da vedere se il principio ispiratore di quell’idea può essere condiviso. Per ora spira dal quadro un’aria di inquietante efferatezza che sconcerta”.
(Donatella Bertozzi, Su il sipario, vola il barbagianni, Il Messaggero, 17 luglio 1987)

“Se volessimo indire una palma per lo spettacolo più inutile, più punitivo e più noioso dell’estate, il premio toccherebbe senz’altro a Das glas im kopf wird vom glas, “balletto” del regista belga Jan Fabre presentato in prima assoluta a Roma per il Festival di Villa Medici. […] Gli spettatori ridono, sospirano, tossiscono imbarazzati, sbadigliano, fischiano, battono i piedi per protesta e s’allontanano guardandosi l’uno con l’altro tra il divertito e il costernato.
Non c’è stimolo alcuno: solo tedio. Solo il colore dello zero, del nulla. Qual è il senso, il significato o il fine di tutto questo? Forse un sadismo male espresso dell’autore, un furore buio che non sa descriversi. Neppure come passione distruttiva, o come provocazione. Soltanto come malessere vano e pesante, definizione estrema di un complesso di castrazione che nell’esasperata simbologia delle forbici e dei capelli cerca la sua rappresentazione”.
(Leonetta Bentivoglio, Fabre, la noia e troppe forbici, la Repubblica, 15 luglio 1987)

Crediti

Ensemble Compagnia Jan Fabre
Musica Henryk Mikolaj Gorecki
Coreografia Jan Fabre
Produzione La Monnaie – Opéra de Bruxelles e Festival de Bruxelles et de Hollande in collaborazione con E lucean le stelle e il Centro Ricerche Spettacolo Il Labirinto