Forsythe e la “cosa-danza”
FIRSTEXT (1995)
Coreografia Dana Caspersen, William Forsythe, Antony Rizzi
Musica Thom Willems
Scenografia William Forsythe
Luci William Forsythe
Costumi Naoki Takizawa (Miyake Design Studio), Raymond Dragon (Design Inc.)
APPROXIMATE SONATA (1996)
Coreografia William Forsythe
Musica Thom Willems, Tricky Pumpkin
Scenografia William Forsythe
Luci William Forsythe
Costumi Stephen Galloway
Pianoforte Margot Kazimirska
FOUR POINT COUNTER (1996)
Coreografia William Forsythe
Musica Thom Willems
Scenografia William Forsythe
Luci William Forsythe
Costumi Stephen Galloway
THE VERTIGINOUS THRILL OF EXACTITUDE (1996)
Coreografia William Forsythe
Musica Franz Schubert (Allegro Vivace dalla Sinfonia n. 9 in Do maggiore D944)
Scenografia William Forsythe
Luci William Forsythe
Costumi Stephen Galloway
Ensemble Ballet Frankfurt
Direzione artistica William Forsythe
Direzione esecutiva Martin Steinhoff
Interpreti Stefanie Arndt, Regina van Berkel, Berta Bermudez, Maria Brown, Christine Bürkle, Francesca Caroti, Dana Caspersen, April Daly, Veronique Gaillard, Laura Graham, Francesca Harper, Jill Johnson, Nora Kimball, Irene Klein, Victoria Mazzarelli, Emily Molnar, Agnès Noltenius, Helen Pickett, Ana Catalina Roman, Jone San Martin, Andrea Talli. Alan Barnes, Maurice Causey, Ramon Flowers, Stephen Galloway, Ion Garnika, Noah Gelber, Jacopo Godani, Thierry Guiderdoni, Nik Haffner, Demond Hart, Anders Hellström, Thomas McManus, Tamàs Moritz, Desmond Richardson, Antony Rizzi, Marc Spradling, Pascal Touzeau, Ander Cabala
L’inaugurazione dell’undicesima edizione del Romaeuropa Festival spetta a William Forsythe ed al suo Ballet Frankfurt, che il coreografo newyorkese (ma ormai stabilmente adottato dalla Germania) dirige dal 1984. Firstext, Approximate Sonata, Four Point Counter, The Vertiginous Thrill of Exactitude: questi i brani presentati, tutti inediti in Italia (nel 1996) e, a parte il primo (creato originariamente per Silvie Guillem al Royal Ballet), tra i più recenti lavori di Forsythe, perfettamente esemplari di quell’equilibrio tra classicismo e modernità che gli ha guadagnato la fama di uno tra i massimi esponenti della danza mondiale.
Le coreografie sono costruite sulle partiture elettroniche del compositore olandese Thom Willems, con l’esclusione di The Vertiginous Thrill of Exactitude, lavoro per cinque ballerini che si snoda sulle note di Schubert trasformandosi in una sorta di aggiornamento parodistico ed ipercinetico della danza accademica, la cui concitazione mescola in egual misura virtuosismo ed ironia.
FORSYTHE E LA “COSA-DANZA”
di Elisa Vaccarino
Non se lo è proposto di certo come programma – non sarebbe nel suo carattere di adepto della contraddizione come antidoto socratico a tutto ciò che scorre facile e banale – ma è un fatto che William Forsythe sia riuscito, se lo si potesse dire senza timore di inquietarlo, a quadrare il cerchio, a fondere gli opposti, a gettarsi oltre un ostacolo che pareva altissimo, insormontabile: trovare qualcosa di davvero nuovo alla fine di un secolo che pareva aver consumato tutte le evoluzioni/rivoluzioni artistico-estetiche nel suo primo trentennio. Lui, americano colto e curioso, ha immesso nei codici dell’antica danza accademica europea l’adrenalina newyorkese, ha riscritto il copione di un dialogo tra balletto e danza contemporanea che molti credevano liquidato con una più o meno blanda giustapposizione, arrivando tutt’al più alla contaminazione, tra i due antichi “nemici”, ha inventato un suo modo di pensare e fare coreografia ad alta definizione con piena presenza al suo tempo, che è anche il nostro.
Del resto, come sarebbe possibile danzare oggi come si danzava prima che la rete elettronica mondiale scardinasse, portando tutto al presente qui e ora, la percezione quotidiana del tempo e dello spazio, componenti basiche del movimento e del suo esplicarsi scenico? E poi, anche gli studi odierni sui meccanismi della percezione hanno modificato a livello fisico e mentale sia il modo di porsi di chi sta in scena sia il modo di guardare e sentire di chi osserva ciò che accade in palcoscenico. Come non tenerne conto? Il pensiero dubbioso e frammentario, le neuroscienze, la decostruzione architettonica (Limb’s Theorem), la società multietnica (ALIE/N A(C)TION), la meditazione sul tema della morte (As a Garden in This Setting), le nuove tecnologie e la classicità (Eidos Telos, costruito con le improvvisazioni dei danzatori in risposta agli stimoli di un software apposito, nascosto agli occhi del pubblico): a guardare in trasparenza le ultime creazioni di Forsythe per e con il Ballett Frankfurt, si può trovare una traccia trasversale di tutto questo e di altro ancora dentro a una danza estremamente consapevole di sé e padroneggiata con assoluta precisione, che non riposa mai sulle certezze, che in qualche modo tenta perennemente di uscire da se stessa, di superarsi, tutta tesa verso territori di ricerca ulteriori.
L’intento di William Forsythe, in questa fase, pare quello di misurarsi con la liberazione della “trasparenza” del corpo, interrogandolo nei suoi meccanismi interni, per permettere ai ballerini, forme disossate e sguscianti, di lavorare su come uscire dal movimento, anziché su come entrarci, in una mutazione plastica ininterrotta, che si genera da se stessa, come la catena del DNA. Dalla quiete al parossismo, Forsythe conduce le danze, rinnegando il già fatto e il già trovato, seguendo invece una propria traiettoria di riflessione, su un asse di bilanciamento tra ieri e oggi, che si sposta continuamente. Lavorando per accumulazione, assemblando quei cubetti lego, con cui monta e smonta ciò che una volta ha chiamato “la cosa-danza”, il coreografo francofortese porta a Romaeuropa un programma che assortisce un mazzetto di brani, che ci aggiornano sullo stato delle cose nell’universo forsythiano.
Primo pezzo è Firstext, creato per il Royal Ballet a partire da Steptext, un titolo dell’85, in cui l’arte di scrivere i passi, di articolarne la punteggiatura, di individuarne il ritmo, senza bisogno di raccontare nulla, vive da sé e di sé, meravigliosamente. Seguono alcune fasi dei suoi recentissimi Six Counter Points, cioè Four Point Counter su musica di Thom Willems, originariamente creato per il Nederlands Dance Theater 1, e Due balletti al modo del tardo ventesimo secolo: Approximate Sonata su musica ancora di Willems per quattro coppie e The Vertiginous Thrill of Exactitude su musica di Schubert, per cinque interpreti: titoli, una volta tanto, di lettura univoca, almeno in superficie. Ma è bene, con Forsythe, non fidarsi mai. Più che di contrappunti, si potrebbe trattare di variazioni in piccola scala, con caratteri minimali, al modo del balletto classico e neoclassico, ma con uno sguardo che segna la presa di distanza, lo sguardo di chi sa, di chi ha metabolizzato un sapere plurisecolare, e può permettersi di “smascherare”, utilizzando e aggirando insieme ogni tipo di tecnica, questo sapere strutturato, consolidato, levigato, formalizzato, puro, astratto, con una virtuosità disincantata, esatta, lucida, rapida, eccitante. Di più sarebbe difficile dire, senza tradire la volontà dell’autore di uscire dalle trappole di ogni definizione. Non gli piace che si dica di lui e dei suoi balletti che sono geniali – con ragione, il termine è mediaticamente inflazionato – ma cosa è il genio se non quel qualcosa che obbliga a rifiutare il già noto, il già catalogato e definito, che costringe a cercare una strada diversa da quelle già percorse con le categorie e i processi logico-sensoriali abituali per tentare di spiegarlo, lasciando, però, sempre dietro di sé, alla fine, uno scarto inafferrabile?
(in Catalogo Romaeuropa Festival 1996)
Rassegna stampa
Forsythe e la “cosa-danza”
“Forsythe, si pone di fronte ai suoi danzatori conscio di poter disporre di un materiale straordinariamente agguerrito nella tecnica classico-accademica e su questo impianto conduce concretamente il suo discorso astratto. Egli usa la meccanica di questa tecnica, non lo stile.
Non c’è quasi musica nelle sue danze; essa è nei corpi dei ballerini, sono soffi, colpi, brusii, solo alla fine si concede al concertante sul tempo di una sinfonia di Schubert, ma il contributo dirompente della musica di Thom Willems è da sottolineare. Nella tecnica classica le punte significano elevazione, distacco da terra; in Forsythe sono aderenza al suolo, la base sulla quale appoggiare e modulare il movimento del corpo. Questa meccanica si fonde con la dinamica della danza contemporanea (in seno alla compagnia di Francoforte non si danno lezioni di tecnica moderna). Solo a tratti la preparazione indica attimi di stasi, di citazioni e se le quinte e le quarte posizioni si modellano perfettamente piazzate, non sono mai in funzione esibizionistica, tanto meno estetizzante. Le braccia si lanciano nello spazio provocando dinamismi che si risolvono in formule accademiche, energia non forza, slancio non violenza, morbidezza non grazia; equilibri mozzafiato si alternano a posizioni fuori equilibrio, ardite e a rischio”.
(Alberto Testa, La battaglia degli ultracorpi, la Repubblica, 6 luglio 1996)
“Se il movimento, come ci testimoniano le scienze esatte, è l’essenza di ogni forma di vita e perfino della materia inanimata, la sua è la danza più vitale che sia possibile vedere oggi sulla faccia della terra. Stilisticamente inconfondibile anche quando – come in Firstext – è realizzata in collaborazione con altri. Molte delle sue danze andrebbero guardate lasciando scorrere la messa a fuoco oltre la superficie visibile, come viventi ologrammi: si vedrebbero alloro i ballerini animare di un’inesauribile serie di onde vibranti l’impalpabile sfera dinamica che circonda ognuno di noi, la stessa che sostanzia le sacre danze rotanti dei Dervisci e contiene l’universo codice dei mudra.
In Approximate Sonata, seduto in platea, Forsythe inventa “in presa diretta” la caleidoscopica danza del nostro presente, parla con i ballerini e li guida utilizzando un microfono e un telefono. In Four Point Counter sembra voler tentare una ricombinazione all’infinito dei mille luoghi comuni del dinamismo sportivo. Ma forse non è affatto così: forse è ancora una volta soltanto un gioco, una magnifica agonistica gara a inventare ancora qualcosa di più, a scoprire un nuovo punto nello spazio mai raggiunto prima.
Solo alla fine Bill delude un po’: in The Vertiginous Thrill of Exactitude non resiste alla tentazione di misurarsi con l’ennesima parodia ballettistica e scivola sulla classica buccia di banana: perché persino i suoi ballerini non sono poi così ferrati in materia di balletto classico. A parte Dana Caspersen e Stephen Galloway, magnifici”.
(Donatella Bertozzi, Con Billy Forsythe la danza raggiunge i volteggi estremi, Il Messaggero, 5 luglio 1996)
“Finalmente è arrivato: il celebre, pluricitato, ormai mitico William Forsythe e la sua prestigiosa compagnia, il Ballet Frankfurt, sono approdati a Roma, caput mundi ma non della mappa geografica della danza internazionale, dove la città resta un avamposto sperduto e spesso distratto. Ci voleva l’impegno tenace e caparbio di un festival come Romaeuropa per avere un sì dal coreografo più corteggiato d’Europa […]. Per gli spettatori giunti per farsi vedere alla “prima” e con poca dimestichezza per le “cose di danza” non c’è stato scampo: falciati subito dalla prima mezz’ora di Firstext, eseguito in un silenzio di piombo, interrotto solo dal rumore di brusche saracinesche abbassate e accompagnato in sordina da una remotissima musica.
La scrittura di Forsythe brucia come il ghiaccio, sono staffilate di movimenti che si frammentano nello spazio. Particelle di senso sparate per il palcoscenico. […] Tutto sommato la platea regge bene. Le prime defezioni arrivano dopo il secondo pezzo, Approximate Sonata, sebbene sia più “morbido” del primo. Continuano nel terzo, Four Point Counter, nonostante la coreografia torni a un disegno più regolare e si arginano per l’ultimo The Vertiginous Thrill of Exactitude, con gli spettatori ristorati dalle note familiari di Schubert che rimpiazzano i rumorini aspri e cattivelli di Thom Willems, nonché dal ritorno in scena di qualcosa più vicino al “già visto”. The Vertiginous Thrill of Exactitude ricalca, infatti, riscrivendoli e parafrasandoli, movimenti classici, ma senza l’ironia spensierata che un Kylián avrebbe utilizzato: Forsythe resta astratto anche quando si diverte”.
(Rossella Battisti, Romaeuropa: Forsythe gela la platea vip, l’Unità, 5 luglio 1996)
“Rimasticando la tradizione, Forsythe si libera di archetipi e mitologie, fastidiosa zavorra, retaggio ingombrante. E fabbrica un laboratorio di passi vertiginosi, lancinanti, freddi come il cristallo, esaurendo l’eredità del balletto classico in una decina di minuti, senza il brivido della giocosità. La rivoluzione di Forsythe si perde nella propria vertigine e i ballerini sembrano paradossalmente proiettare un’immagine statuaria, composta, immobile. E come diceva René Clair, tutto cambia tranne l’avanguardia. […]
Slegato da una dimensione sociale della danza, Forsythe annega l’ossessione del nuovo e dell’originale a ogni costo in una ricerca formale circoscritta alla mera astrazione, nella penombra dell’ermetismo, accogliendo qui e là parole dette o recitate”.
(Valerio Cappelli, Quando la “stella” è fredda, Corriere della Sera, 5 luglio 1996)