The Great War, ovvero la Grande Guerra, ha tutte le caratteristiche di un film d’animazione, solo che è “dal vivo”. Attraverso un interessante impasto di musica, burattini e video, gli Hotel Modern riescono a creare effetti di assoluta realtà. Per mezzo di microcamere essi traducono a dimensione gigante – su uno schermo bianco – il mondo lillipuziano preparato in scena come fosse un vero e proprio set: un mazzetto di prezzemolo si trasforma in albero, bombolette spray simulano esplosioni, lo zucchero diventa neve, un nebulizzatore per piante crea la pioggia ed il paesaggio distrutto rinasce grazie all’ausilio di modellini.
La guerra che raccontano gli Hotel Modern non è però quella di sovrani, generali e tavoli di trattative strategiche, bensì quella che investe i soldati, le cui esistenze sono sospese tra la vita e la morte, ed il cui unico sollievo sono quelle lettere che li legano alla realtà quotidiana ed affettiva: la lettura di alcune di esse, realmente scritte in trincea, diventa infatti un materiale particolarmente vivo nella strutturazione dello spettacolo.
Il pubblico è catapultato all’interno di bunker, acquitrini, boschi in un coinvolgimento che interessa tutti i sensi: l’odore di corpi che marciscono (utilizzando plastica bruciata), la visione di ferite cruente, l’ascolto dei rumori assordanti (attraverso una colonna di rumori e suoni amplificati).
Una visione della guerra dal di dentro, ma senza mai cedere alla retorica, operazione non facile eppure perfettamente riuscita.
Ideazione Herman Helle
Regia Pauline Kalker
Drammatizzazione Arlène Hoornweg
Creazione sonora Arthur Sauer
Tecnica Joris van Oosterhout
In collaborazione con Teatro Palladium Università Roma Tre
Progetto realizzato con il contributo del Netherlands Culture Fund, il programma dei ministeri olandesi degli Affari Esteri e dell’Educazione, della Cultura e della Scienza per rafforzare le relazioni internazionali del Regno dei Paesi Bassi in occasione del Semestre di Presidenza Olandese dell’Unione Europea
Con il sostegno del Theater Instituut Nederland e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi a Roma
Rassegna stampa
“Sullo sfondo una montagna di corpi. Il passare della notte, il sorgere del sole, scandiscono il trascorrere del tempo, puoi immaginare i cadaveri che si decompongono. La guerra di trincea era molto strutturata nel paesaggio. Si vede così la natura che cresce rigogliosa mentre i corpi si fondono con la terra. Il dolore resta lì anche se la vita continua. Un discorso universale, per questo gli spettatori si commuovono”.
(Paolo Cervone, “In trincea i soldati della Grande Guerra”, Corriere della sera, 20 ottobre 2004)
“[…] i paesaggi, i modelli e le fattispecie dell’orrore e della pietà aventi per soggetto il corpo a corpo e la morte nel fango nella prima guerra mondiale diventano quadri animati di un’angoscia che commuove, si rivelano messe a fuoco di una poetica amara e struggente, promuovono la morte in trincea a pensiero del soldato senza deformazioni di conflitti tecnologici, di ideologie[…]. Un gioco di finzione e realismo con corredo di frammenti di lettere dal fronte. Con distacco da una guerra lontana, ma anche con dolore non enfatico”.
(Rodolfo Di Giammarco, Morte nel fango nella prima guerra mondiale, la Repubblica 23 ottobre 2004)
“Un amico aveva trovato un pacco di lettere in un negozio di marsiglia. Le abbiamo lette tutte, erano di un giovane soldato francese che scriveva alla madre, ogni lettera iniziava con ‘cara mamma’.. All’inizio il paesaggio di guerra è quello negli occhi di un ragazzo, col tempo e col dolore diventa adulto e devastato… Le lettere sono state il nostro punto di partenza. Inoltre abbiamo fatto un viaggio tra Francia e Belgio, volevamo vedere quei paesaggi come erano oggi, se portavano ancora i segni di quelle ferite[…].
Usiamo una telecamera, fogli con sopra chiese o altre costruzioni colpite dalle bombe che vengono attaccati su delle pietre come fossero rovine… Tutto questo e molto altro rimanda anche alle scelte di stile personale di Herman Helle), il quale costruisce per gli spettacoli dei modelli speciali, molto realistici e che al tempo stesso mostrano l’elemento di finzione. Pensiamo che in questo modo si ottenga una verità, il pubblico viene coinvolto, scopre la verità e la violenza di ogni guerra, ci crede ma non è forzato a farlo. Diciamo che è una messainscena di immaginazione che cerca un senso di realtà”.
(Cristina Piccinino, Lettere dal fronte di guerra, il manifesto, 23 ottobre 2004)