NOUS NE SOMMES PAS DES STREMONS
Coreografia David Valentine, Hakim Maïche
Musica mix di artisti vari
Luci Philippe Bouttier
Danzatori David Valentine, Hakim Maïche
Produzione Théâtre Contemporain de la Danse
Durata 10 minuti
BALLE ET POUSSIERE
Ensemble Boogi Saï
Coreografia Alex Benth, Max-Laure Bourjolly
Luci Patrick Clitus
Costumi Patricia Ascensio
Suono Frank Jamond
Danzatori Sofy Afoy, Jean-Philippe Belmat, Alex Benth, Max-Laure Bourjolly, Sandrine Douarne, René Emptor, Lollia Ketty, William Levalant, Marguerite M’Boulé, Marie-Claire Nancy, Patrick Nupert, Michel Sousa
Interpreti (musicisti) Ivo Abadi (percussioni)
Produzione Théâtre Contemporain de la Danse
Durata 45 minuti
SÉQUENCE D’UNE VIE
Ensemble MBDT
Coreografia Karim Barouche, Ibrahim Dembele, Hakim Maïche, Régis Truchy
Musica live Dj Tal
Luci Philippe Bouttier
Danzatori Jerôme Hemery, Ibrahim Dembele, Hakim Maïche, Régis Truchy
Produzione Théâtre Contemporain de la Danse
Durata 25 minuti
Nato nei ghetti neri americani e approdato in Francia dove ha incontrato la cultura araba e quella africana, l’hip-hop unisce la musica black (rap, funk, jazz), la danza (hype, smurf, break, voguing), l’arte grafica dei graffiti, in una miscela che negli anni è diventata un linguaggio condiviso dai giovani di tutto il mondo.
Evento di chiusura di questa edizione del festival, la serata offre tre brani in scaletta, a partire da un duo nato dall’incontro fra David Valentie e Hakim Maïche, Nous ne sommes pas des stremons, che si accompagna all’inquietante sottotitolo Chi sono i vampiri? Chi sono i morti viventi? Segue il più articolato Balle et Poussière, della compagnia Boogi Saï, fondata da due danzatori originari delle Antille, Alex Benth e Max-Laure Bourjolly, entrambi appartenenti a quella schiera sempre più nutrita di artisti dell’hip-hop che iniziano a concepire i propri spettacoli direttamente per il palcoscenico e per la scena frontale.
Il programma si conclude con Séquence d’une vie, sorta di antologia di vari stili messa a punto dalla formazione MBDT, acronimo per i nomi di Karim Barouche, Ibrahim Dembele, lo stesso Hakim Maïche e Régis Truchy.
Rassegna stampa
“Chiusura in allegria a Romaeuropa nel Giardino del Museo degli Strumenti musicali, ove per una ventina di giorni è sfilata la danza contemporanea più accreditata. Monique Veaute, ancora una volta con il suo entusiasmo ha fatto centro invitando da Parigi uno spettacolo Hip-Hop. Questo movimento, nato nei ghetti americani, approdato nell’ospitalissima Francia, vi ha incontrato due culture: quella araba e l’africana. Ha dieci anni di vita e una sua storia, riunisce in sé la musica black, la danza e l’arte grafica. Fondamentalmente si basa sulla danza break, ne deriva, la prolunga e l’esalta, parte dunque dalle acrobazie a terra più spericolate e riesce a diventare composizione coreografica con temi suoi propri come hanno dimostrato i tre lavori in programma […].
Dallo spettacolo nato nella strada, salito sul palcoscenico si ricava un bisogno straripante e pur controllatissimo di giovani che si esprimono liberamente (portentosi il roteare sulla testa e l’intreccio vorticoso delle gambe in verticale) dando all’esibizione un carattere di professionalità assoluta senza tuttavia perdere energia e vitalità, delle quali spesso mancano le forme coreografiche tradizionali. Nel finale, festosamente, si uniscono i nostri breakers specializzati, e allora lo spettacolo si sposta dal palcoscenico in sala in un’atmosfera di grande euforia collettiva”.
(Alberto Testa, Dalla strada al palco giochi di coppia in allegria, la Repubblica, 24 luglio 1996)
“Eccoci così dinanzi ad uno spettacolo in chiusura del Festival Romaeuropa che lascia un po’ sorpresi nonostante i calorosi applausi. Di scena tre compagnie francesi (chissà poi perché non allora americane?) costituite prevalentemente da danzatori di colore, all’insegna dell’hip-hop, nome dato ormai alle danze urbane o metropolitane, in cui si mescolano pericolosamente il jazz, il pop, la break dance, il rap, il voguing, lo smurf, il lock. Generi che spesso troviamo scimmiottati nelle nostre discoteche da baldi giovanotti in estasi dinanzi alla musica di tendenza (si dice così?).
La danza recupera la sua ancestrale valenza dionisiaca di sprigionamento naturale di energie, ma lascia ogni intento di apollineo costruttivismo, di poesia, di allusività narrativa, di architettura cinetica”.
(Lorenzo Tozzi, Scene metropolitane di ordinaria follia, Il Tempo, 24 luglio 1996)