Lo spettacolo conferma la linea poetica del coreografo-regista, ovvero il desiderio costante di scavare nel labirinto della psiche a partire da un proprio stato mentale più che da una trama vera e propria, e la scelta di comunicare, in forma di movimento, visioni piuttosto che storie.
Con una coreografia nella quale la gestualità è fisica e primordiale, Enzo Cosimi evoca sulla scena un sentimento di felicità che non può essere confuso con un banale stato euforico. Strutturato secondo un’architettura rigida, lo spettacolo raggiunge un esemplare rapporto di equilibrio sia con la scenografia astrattista, progettata dal pittore Luigi Veronesi, sia con la musica di Giacinto Scelsi, al centro della quale, più della struttura compositiva, vi è l’intuizione musicale.
L’azione si suddivide in una serie di quadri animati da ritmi altalenanti, a tratti rabbiosi a tratti severi, avvolti quasi da un’aura di sacralità. All’interno di uno spazio scenico molto ampio sono situati elementi geometrici luminosi: i sei ballerini, tra i quali lo stesso Cosimi, eseguono complessi movimenti plastici, contorsioni e contrazioni che costringono i corpi ad una azione misurata dei muscoli. Avvolto in una luce purpurea, l’ultimo quadro vede discendere i corpi dei danzatori, appesi a funi, verso la conquista della pericolosa felicità di un bacio appassionato e, sul sipario che si chiude, ognuno di essi resta intrappolato nell’infinito gioco dell’enigma, finale aperto o circolare, come nel tempo illogico delle emozioni.
Coreografia e regia Enzo Cosimi
Musica Giacinto Scelsi
Scene Luigi Veronesi
Costumi Miuccia Prada
Danzatori Corinna Anastasio, Rachele Caputo, Enzo Cosimi, Luigi Doddo, Valentina Marini, Franco Senica
Luci Luca Storari
Fonica Alessandro Discaccianti
Direzione di scena Emilio Campolunghi
Amministrazione Rosanna Marsili Libelli
Promozione Francesco Cantalupo
Foto Paolo Porto
Coproduzione Teatro Comunale A. Ponchielli, Compagnia di danza Enzo Cosimi Occhesc, nell’ambito del Progetto Neoclassico
DIONISO E L’ORIENTE SECONDO COSIMI
di Marinella Guatterini
Il pericolo della felicità, balletto per sei danzatori, con le scene di Luigi Veronesi, i costumi di Miuccia Prada e le musiche di Giacinto Scelsi, è prima di tutto un’occasione offerta ad un coreografo italiano. L’avventura creativa di Enzo Cosimi – scelto non a caso per interpretare e arricchire la terza tappa “italiana” del Progetto Neoclassico – ha avuto inizio negli anni Ottanta. L’artista ha fatto tesoro di un’esperienza di ricerca nel campo del nuovo teatro, della danza moderna e postmoderna; per poi affinare, con crescente forza persuasiva, una sua personale cifra di movimento, debitrice sia al formalismo di Merce Cunningham che all’espressività turbata dei drammi della psiche di Martha Graham.
Coreografo “ribelle”, sin dal debutto nell’opera prima intitolata profeticamente Calore, Cosimi ha sviscerato i motivi di un malessere generazionale declinando in vari modi i significati del termine “calore”: come desiderio di esternare un’energia dirompente e distruttiva e nello stesso tempo candida e innocente, come anelito verso una percezione sempre più attenta alle forze istituzionali che agitano l’essere.
Esclusa sin dall’inizio l’idea di appoggiarsi alla propria autobiografia per fare danza, Cosimi ha preferito coltivare conflitti interiori e visioni lungo una via che poco alla volta lo ha condotto alla filosofia e al mito come luogo privilegiato ove aggressività e struggimento, dolore e nostalgia trovano la più alta sublimazione.
Dioniso, Pan e Narciso aleggiano sul Pericolo della felicità, balletto per danzatori “posseduti” da divinità che nascondono il loro volto tra le pieghe di una danza altera. Vi si potranno ancora scorgere gocce di intenso “calore”, ma rapprese; Cosimi, coreografo mediterraneo, è giunto a imprimere alla sua danza un’enfasi priva di retorica e un’asprezza arcana e pietrificata come la musica di Scelsi.
IL PERICOLO DELLA FELICITÀ
di Enzo Cosimi
“Tutto lascia presagire la progressiva ricomparsa dello spirito dionisiaco nel mondo contemporaneo”.
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Iniziare una nuova opera è per me come lanciarsi nel vuoto. Definisco Il pericolo della felicità principalmente il tentativo di comunicare visioni attraverso la coreografia, partecipando al godimento di un universo umano interiore.
Lo spettacolo penetra nel labirinto della psiche riconducendosi esteticamente alle evocazioni del mito, non come semplice rappresentazione, bensì distillando l’essenza del mito stesso e trasferendola nell’inquietudine contemporanea.
Emerge così un nuovo umanesimo che, recuperando l’impulso iniziatico-primordiale, si manifesta sotto una luce di “potenza”, “virilità”, in un senso imprevedibile dello spazio, del vuoto (dell’ignoto che circonda e isola gli uomini), che crea una visibilità inedita.
La scelta del linguaggio di questo balletto ha una caratteristica di forte fisicità legata ad una potenza espressiva, un “temperamento”, alla ricerca di una forma unificante senza avere mai la possibilità di distinguerne le individualità.
SCELSI: LA MUSICA COME PRIMO MOVIMENTO DELL’IMMOBILE
di Michele Porzio
Ancora oggi Giacinto Scelsi (1905-1988), compositore di importanza primaria nella vicenda del Novecento italiano, è vittima in Italia di un tenace ostracismo. È un boicottaggio orchestrato con zelo sistematico da settori del mondo musicale italiano che si adoperano per ostacolare la diffusione della sua opera: il caso Scelsi è quello di un musicista riconosciuto nel resto dell’Europa tra i maggiori della seconda metà del secolo, e da noi quasi ignorato. Il motivo di tale ripulsa è semplice: egli ha sempre vissuto senza la protezione di quegli apparati ideologici, burocratici e “professionali” che garantiscono il successo. Scelsi, invece, si presentava – come notava Leonardo Sciascia a proposito di Savinio – difeso soltanto dalle armi della propria intelligenza; e questo genere di uomini, questa categoria di liberi pensatori, osservava amaramente Sciascia, in Italia non hanno mai avuto e non hanno fortuna.
Scelsi, oltre ad essere stato una figura ammirevole sotto l’aspetto etico, ha avuto il merito di infrangere una barriera fondamentale, smettendo di contrapporre la tradizione europea e occidentale a quella dell’oriente, e in particolare dell’India antica. Il suo concetto di musica coincide con un ritorno alle origini stesse del fenomeno sonoro, quando esso sconfinava in un territorio comune a quello del mito e della ritualità. Per Scelsi – l’espressione è sua – la musica è il primo movimento dell’Immobile: una contemplazione estatica dell’attimo in cui l’unità dell’essere si frammenta nella molteplicità del divenire. In termini musicali, questa dialettica che oppone l’uno al molteplice si esprime nell’antitesi tra il suono singolo e il suo scomporsi in intricate figurazioni microtonali. Ogni opera di Scelsi è quindi una specie di viaggio, di ricognizione da parte del suono singolo che si “avventura” nella molteplicità: al termine del percorso, sul finire dell’arco strutturale della composizione, le “pluralità” dissonanti e microtonali si riassorbono nel suono singolo dal quale erano sorte all’inizio.
In conformità alla musica di Scelsi, anche Il pericolo della felicità non segue una trama narrativa esplicita, bensì si articola in una serie di quadri simbolici e allusivi. La mia collaborazione al lavoro coreografico è consistita, oltre alla proposta di occuparsi finalmente di Scelsi, nel suggerire una serie di sue opere che meglio avrebbero potuto prestarsi alla trasposizione sulle scene. In seguito a questa indicazione di massima, Cosimi è presto entrato in una felice simbiosi con il clima espressivo del musicista, e pertanto la selezione definitiva delle partiture e l’ordine della loro comparsa si deve unicamente al suo intuito drammaturgico.
Il gruppo di composizioni che ascoltiamo nel corso del balletto, tratto dalle maggiori del musicista, è il seguente: dai Canti del Capricorno (1962-72), venti canti per voce femminile e strumenti vari, il n. 1; il 1° e 2° movimento di Hurqualia (1960), per grande orchestra; Una danza di Shiva (1967), per violoncello; alcune parti del Terzo e del Quarto Quartetto per archi (1962 e 1964); parti di Hymnos-om-pax (1968-69), per grande orchestra; Maknongan (1976), per tuba; il quinto movimento del Quartetto per archi n. 2 (1961); parti di Pfhat (1974), per coro, organo e orchestra; parti di Hymnos (1963), per organo e due orchestre; infine il 1° episodio di Khoom (1962), per soprano, orchestra e coro.
Da questa selezione abbiamo un’immagine sintetica degli organici strumentali alla cui letteratura Scelsi ha dato il suo contributo più alto, nel corso del periodo che per lui è stato di maggiore fecondità creativa, ossia il ventennio 1960-80. La serie dei lavori per grande orchestra (per i quali, se si vogliono trovare dei precedenti in qualcosa di più noto, occorre supporre una mediazione tra le sonorità arcane del Varèse di Octandre e Integrales, potenziate e integrate alle risorse tecnico-linguistiche delle avanguardie degli ultimi decenni e alla complessità ritmico-percussiva della musica indiana), l’imponente contributo alle opere per violoncello solo, la scrittura vocale nonché il quartetto per archi, rappresentano le quattro direttrici principali che hanno animato l’inesausta coerenza della sua ricerca.
Rassegna stampa
“Ieratica, austera e al tempo stesso rabbiosa, percorsa da un’ossessione dionisiaca, pregna di citazioni mitiche o mitologiche distillate nell’anti-descrittivismo della scelta astrattista, l’azione è fusa con l’intelligenza delle scene, analisi perfetta di pittura e segno […] i sei ottimi interpreti tra cui lo stesso Cosimi, s’imprigionano in gesti bruschi e senza curve, depurati da orpelli e lirismi, ora seccamente sincronizzati ora differenziati in monologhi”.
(Leonetta Bentivoglio, Emozioni pericolose, la Repubblica, 7 luglio 1992)
“Il pericolo della felicità […] porta all’estremo il percorso del coreografo romano […] nelle sue prospettive di astrazione, nei labirinti di una narrazione che rimane sempre e comunque estranea alla “storia” vera e propria. “Un raggiunto equilibrio tra dionisiaco e apollineo”, nelle parole dello stesso Cosimi”.
(Cristina Piccino, Pericolosa felicità di un bacio, Il Manifesto, 8 luglio 1992)