Il sodalizio artistico tra Bill T. Jones e Arnie Zane, che ha portato alla creazione dell’omonima compagnia nel 1982, ha posto un solido principio di base: la fusione delle differenze. Quando si incontrano al College nel 1971, Bill T. Jones e Arnie Zane formano una coppia davvero singolare: il primo di colore, alto, con un fisico indubbiamente perfetto e dai movimenti flessuosi, il secondo bianco, bassissimo, dai movimenti rapidi e nervosi. Sarà forse per questo che la cifra della diversità diventa un principio estetico per la compagnia che conserva in ditta il nome di Zane – come memoria vivente – dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1989: Ciò che importa nelle magnifiche coreografie di Jones, non è la corrispondenza fisica ad un canone di bellezza classica, quanto la qualità, l’energia e l’espressività del movimento.
Questo principio estetico diventa radicale nelle tematiche affrontate dalle loro creazioni che da sempre, ma soprattutto in passato, hanno avuto un forte impatto sociale e politico: esse raccontano dell’omosessualità, dell’amore e dell’abbandono, del razzismo e dell’emarginazione ed i danzatori – ex atleti, magri e grassi, alti o bassi – parlano, fisicamente, la medesima lingua dell’uguaglianza e della denuncia.
Le quattro coreografie presentate raccontano il bisogno d’amore, la ricerca, l’attrazione e l’inevitabile perdita (Soon), l’abbandono quasi tragicamente inscritto negli eventi (The gift/No God logic), le storie degli uomini neri immortalati dalle fotografie di Robert Mapplerthorpe (After black room), e lo sgomento per l’improvvisa notizia che qualcuno sta morendo per l’AIDS (D-man in the waters, dedicata a Demian Acquavilla, danzatore morto di Aids).
Compagnia Bill T. Jones / Arnie Zane Dance Company
Una presentazione The Foundation for Dance Promotion
PROGRAMMA
Soon (1988)
Coreografia Bill T. Jones
Musica Kurt Weill e Maxwell Anderdon (September Song, cantata da Lotte Lenya), Kurt Weill e Bertolt Brecht (Nanna’s Lied, cantata da Teresa Stratas), S. Williams (Blue Spirit Blues, cantata da Bessie Smith), Fred Longshaw (Reckless Blues, cantata da Lotte Lenya)
Costumi Joseph/Jones e Valerie Williams
Disegno luci Robert Wierzel
Interpreti Maya Saffrin e Rosalynde Leblanc
The gift/No God logic (1987)
Coreografia Arnie Zane
Rimessa in scena Bill T. Jones
Musica Giuseppe Verdi (La forza del destino)
After black room (1993)
Coreografia Bill T. Jones
Musica canti libanesi cantati da Marie Keyrouz
Costumi la Compagnia
Disegno luci Robert Wierzel
Interpreti Arthur Aviles, Josie Coyoc, Torrin Cummings, Eric Geiger, Lawrence Golhub
Er, Rosalynde Leblanc, Odile Reine-Adelaide, Daniel Russel, Maya Saffrin
D-Man in the waters (1989)
“In un sogno tu cercavi di continuare a vivere ed eri molto felice” (Jenny Holzer)
Coreografia Bill T. Jones
Musica Felix Mendelssohn
Costumi la Compagnia
Disegno luci Robert Wierzel
Interpreti Arthur Aviles, Josie Coyoc, Torrin Cummings, Eric Geiger, Lawrence Golhub
Er, Rosalynde Leblanc, Odile Reine-Adelaide, Daniel Russel, Maya Saffrin
Dedicato a Demian Acquavilla
Bill T. Jones & Arnie Zane Dance Company
Danzatori Bill T. Jones, Arthur Aviles, Josie Coyoc, Torrin Cummings, Eric Geiger, Lawrence Golhumber, Rosalynde Leblanc, Daniel Russel, Odile Reine-Adelaide, Maya Suffrin, Andrea E. Woods
Direttore artistico Bill T. Jones
Direttore organizzativo Jodi Pam Krizer
Direttore promozione Shawn Stewert Ruff
Amministrazione Quynh Mai
Direttore di produzione Gregory Bain
Disegno luci Robert Wierzel
Direttore di scena Elizabeth Gardner
Direzione prove Arthur Aviles
Produttore esecutivo per l’Italia Latifa Daoui
Lo spettacolo è stato realizzato in collaborazione con Andres Neumann International
IL “MESSAGGIO” DI BILL T. JONES
di Elsa Airoldi
Il biglietto da visita, oggi, 1994, a sei anni dalla scomparsa per AIDS del compagno d’arte e di vita Arnie Zane e a manciate di mesi dalla morte di troppi di coloro che ne condivisero il viaggio, è l’annuncio di uno spettacolo che si chiamerà Still/Here, “Ancora Qui”. Ma soprattutto del workshop che l’ha preceduto e si ripeterà: Talking and Moving about Life and Death, che sarebbe un “Parlando e Muovendosi sospesi tra la vita e la morte”. Un laboratorio che vede protagonisti quelli, tra i malati terminali interpellati, che accettino di parlare di sé e di abbandonarsi ad un movimento-danza liberatorio. Insomma una sorta di psicodramma. Frammenti filmati del workshop diverranno parte integrante di Still/Here. Attivismo o arte? Se lo chiede anche Bill T. Jones, sperando nella fusione degli assunti ma optando in ogni caso per la funzione sociale dell’iniziativa. I fogli di Bill sono pieni di “I know”, “io so”. Io so la sofferenza, la discriminazione, l’angoscia dei diversi, lo smarrimento della scelta subire-aggredire, l’impotenza all’idea che il lavoro iniziato forse non potrà essere terminato.
Chi scrive, appunto Bill T. Jones oggi quarantaseienne, è lo stesso che negli anni Settanta, fasciato dai costumi sexy e chic del graffitista Keith Haring e avvolto dalla musica rock di Peter Gordon danzava nero e possente in duo con il bianco e minuto Arnie Zane. Erano una coppia divertente, dissacrante, provocatoria, strepitosa per la felice assurdità dei corpi tanto diversi attorcigliati con ostentazione, tra il fuoco di flash maliziosi e censure arroventate.
Bill era un nero nato in Florida: famiglia contadina, dodici figli, padre sedotto dal sogno americano e madre mai stanca di ricordare i soprusi e le prevaricazioni, degli “altri”. E Bill era un “altro”. Unico bambino nero della scuola, adolescente assalito dall’omosessualità, uomo attratto dal teatro, ateo. Ora sieropositivo. Frequentò l’Università Statale di Binghamton e lì, nel 1971, conobbe Arnie Zane. Arnie era un ebreo del Bronx, un pallido intellettuale alla Woody Allen. Si occupava di fotografia e arti visive. Con Lois Welk i due fondarono il Dance Asylum di Binghamton. Si misero a danzare. Eseguivano duetti spesso su copioni poetico-sociali parlati. All’inizio la danza non la conoscevano nemmeno, ma non persero tempo. Bill passò in rassegna tutto lo scibile degli States, dalla Graham, al Modern, al Post-modern. Con digressioni nelle danze di società dei negri (Cakewalk incluso), nel Rock, nel jazz. Arnie esplorò ogni minima possibilità del suo corpo.
Supportata da una Foundation, nel 1982 nasceva la Bill T. Jones/Arnie Zane & Company. Una decina di elementi tra danzatori, designers, tecnici. Il debutto avvenne nell’ambito del primo Next Wave Festival, presso la Brooklyn Academy of Music. Il titolo è Intuitive Momentum, con la partecipazione del leggendario batterista Max Roach e la scena di Robert Longo. Partiti dalla tecnica della contact-improvisation, Bill e Arnie, che spesso firmano a due mani, propongono adesso una danza che ha assimilato ogni stile, un po’ come avviene per Twyla Tharp, ma Bill guarda anche all’Afro. In proposito gira un fotomontaggio con i suoi occhi moltiplicati e posti in modo da simulare delle maschere. Una didascalia dice: “ciò che mi contraddistingue come ballerino di colore è la propensione istintiva verso la tradizione africana”, che, tradotto in pratica, significa violenza, ritmo, scatti fulminei, voli, cadute. Ma anche compiacimento plastico e “pose”, di quelle che reclamizzano il culturismo. I contenuti, quando si individuano tra le maglie del moto senza tregua, sono una denuncia contro tutto ciò che provoca sofferenza: ceto, razza, colore della pelle, povertà, incompatibilità, malattia.
Ospite dei teatri americani ed europei oltre che dei più paludati festival, Bill crea anche per Alvin Ailey e il Lyon. La Company è osannata, premiata, ripresa dalla TV. Nella ricca produzione si impongono il duo Rotary Action che apre il Festival di Vienna del 1982; o Secret Pastures del 1984; o Last Supper at Uncle Tom’s Cabin/The Promised Land del 1990, ancora nell’ambito del Next Wave Festival presso la Brooklyn Academy. Una creazione che ha avuto grande fortuna e che, aperta su un discorso di Abramo Lincoln e chiusa su “I had a dream” di Martin Luther King, indica la via del crescente impegno e dell’insistita aggressività: nel finale tutti in scena e tutti nudi, belli e brutti, grassi e magri, giovani e vecchi, bianchi e neri: “se non scandalizza, questa è la terra promessa dove non esiste diversità, né paura, né pudore”.
Ma intanto era morto Arnie, e Bill era diventato sieropositivo: “una condizione umana con le zanne”. Poco prima di andarsene Arnie aveva accettato di raccontare il suo calvario ad una serie di reti televisive americane. Era divenuto un eroe capace di consegnare alla sua compagnia un interesse assai maggiore di quanto questa, con la fatica di anni, non fosse mai riuscita ad ottenere. Bill a sua volta, tre giorni prima del debutto di Uncle Tom’s Cabin, aveva meritato la prima pagina dell’inserto domenicale del “New York Times”. E, parlando di Zane aveva detto il “messaggio”, cioè la scelta di vita per raccontarsi; e soprattutto per gridare ai deboli del mondo che se lui, Bill T. Jones, c’era, ci dovevano essere anche loro. Still/Here, che si vedrà nella stagione 1994-95, trae spunto da quel distaccato “sono ancora qui” con il quale Nureyev, gli ultimi tempi, soleva rispondere a chi gli domandasse come stava.
L’attuale programma include Soon, un Arnie Zane dell’88, danzato indifferentemente da una coppia di uomini o di donne; Another history of Collage, ancora a firma Bill T. Jones e Arnie Zane, che vede sfilare una quantità impressionante di personaggi, gli stessi diseredati descritti da Chester Himes all’inizio della novella Un Déjeuner au Ritzmore [questa coreografia è stata sostituita con The Gift/No God Logic di Arnie Zane, n.d.r.]; After Black Room, un Bill T. Jones del 1993 che parte da Black Room di Zane, esaltazione di due vigorosi danzatori di colore alle prese con un piedistallo di marmo nero e D -Man in the Waters dove Bill T. Jones, nel 1989, rappresenta in riva al mare una comunità la cui happiness è turbata dalla notizia che qualcuno, uno di loro, sta lottando contro l’AIDS.
Rassegna stampa
“Si potrà appuntare che Jones (come già Zane qui in The gift) sembra essere più attento e fertile nella creazione di movimenti per corpi maschili, ma è indubbio che non intenda bloccare la sua poetica alla ricezione di un pubblico particolare. Del resto la sua fortuna e quella del suo gruppo sta proprio nella libertà emotiva e non descrittiva delle danze e nella percepibile sincerità. Si danza credendo fermamente in quello che si fa, come fosse una missione spirituale o persino religiosa”.
(Marinella Guatterini, In scena contro l’Aids Bill danza l’orgoglio gay, l’Unità, 12 luglio 1994)
“Così Jones, assente dalla scena, costruisce coreografie di assoluta perfezione, meccanismi precisi, ineluttabili quasi assoluti. E al tempo stesso ne svela la natura di esasperata finzione, ne rovescia il senso gettando in un’armonia (ormai impossibile) gli elementi dissonanti della realtà. Tra i corpi compare allora un ciccione (effetto spiazzante) sproporzionato accanto alle danzatrici e ai danzatori che sembrano non avere peso, ma soprattutto pietra lanciata a piena forza contra la vetrina che racchiude tutto l’immaginario (convenzionale) legato alla danza, lievità del corpo, magrezza ai limiti dell’anoressia”.
(Cristina Piccino, Bill T. Jones, danzare con tenerezza ricordando gli amori perduti, Il Manifesto, 14 luglio 1994)
“Così oggi Jones sceglie di comunicare il suo calvario con coreografie di disperata bellezza e commovente sincerità, pervase da una buia esaltazione del corpo, dove il culto di una consolatoria armonia cede il passo ad un gusto del “diverso”. Basta guardare i ballerini del gruppo, […] per comprendere come Jones, senza più alcuna compiacenza, abbia scelto di far scendere nell’eterogeneità e nel dolore della vita ogni paradisiaco sogno del balletto”.
(Leonetta Bentivoglio, Passi di danza al nero, la Repubblica, 13 luglio 1994)