La mostra videofotografica Il tempo danzato, un omaggio alla danza nazionale e internazionale, è stata organizzata dall’ Ente di Promozione Danza della Fondazione Romaeuropa, all’allora Opificio Telecom Italia, dal 21 dicembre 2011 al 31 gennaio 2012.
La mostra fotografica a cura di Piero Tauro s’intrecciava con una selezione a cura di Anna Lea Antolini, di estratti video e documenti integrali provenienti dall’Archivio della Fondazione Romaeuropa, dall’Archivio Cro.me cronaca e memoria dello spettacolo di Milano e dall’Archivio del Canale Classica Sky.
Le sezioni della mostra erano cinque, suddivise per tematiche:
1. Il tempo danzato. Nella memoria della danza italiana di ricerca (Sosta Palmizi, Abbondanza Bertoni, Virgilio Sieni, Enzo Cosimi, Adriana Borriello, Silavana Barbarini….).
2. Il tempo danzato. I grandi americani (Martha Graham, Merce Cunningham, Alwin Nikolais, Trisha Brown, Bill T. Jones).
3. Il tempo danzato. InBetween # 1 (William Forsythe, Marina Abramovic, Jan Fabre).
4. Il tempo danzato. Il meticciato pluralista (Akham Khan, Saburo Teshigawara, Sidi Larbi Cherkaoui…).
5. Il tempo danzato. InBetween #2 (Santasangre, Muta Imago, Francesca Pennini, mk, Masbedo).
• Testi delle cinque sezioni della mostra Il Tempo danzato:
Il Tempo danzato, sezione prima: nella memoria della danza italiana di ricerca.
Gli anni ’80 del XX secolo sono, nel bilancio di uno sguardo che penetra il making dance europeo, un pullulare di energie creative, estetiche telluriche e pubblici dinamici. La Francia capofila con la nouvelle danse, seguita dalla new dance inglese, la nueva dansa spagnola e l’esplosiva vague belga, disegna un panorama fatto di coreografi concepteurs per i quali la drammaturgia affidata al movimento è sinergia di concetti. L’Italia accoglie la nozione di danse d’auteur che si sviluppa in quel milieu europeo, per indicare le prime esperienze di ricerca nell’ambito della danza contemporanea italiana. La danza d’autore pone al centro della sua ricerca il corpo. Il corpo è scrittura, luogo di esplorazione dei linguaggi, della contaminazione e delle possibilità espressive. La danza d’autore italiana è segnata da una forte personalità quella di Carolyn Carlson che forgia negli anni veneziani il gruppo Sosta Palmizi. Nel 1985, Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi firmano Il Cortile lavoro icona dei Sosta Palmizi e dell’esperienza italiana in seno a un teatrodanza autoriale. La composizione scaturisce da improvvisazioni e montaggi di frammenti che derivano dal vissuto e dall’identità mediterranea, la loro. Il patrimonio culturale italiano segna in maniera incisiva il lavoro di Virgilio Sieni che dagli anni ’80 a oggi rappresenta l’intelligenza creativa made in Italy più programmata nell’area internazionale e una guida per le nuove generazioni. La capacità di costruzione spaziale, la sensibilità letteraria, l’ammirazione per il Massaccio, Piero della Francesca, i grandi pittori del ‘400 italiano, le tradizioni della sua terra e l’attenzione per la natura delle cose, si sublimano nelle creazioni del maestro fiorentino con tocchi in profondità. Profondità, la stessa con cui Enzo Cosimi l’enfant terrible, instancabile ricercatore oltre ogni limite, propone uno sguardo tagliente, acuto e irriverente con una danza fatta di nervi, di movimenti acido-cerebrali. I due coreografi in maniera diversa contribuiscono con le loro scelte e le loro estetiche a spostare l’asse della danza contemporanea italiana: insieme a Giorgio Rossi, gli Efesto, Massimo Moricone, Lucia Latour, firmano nel 1992 il Manifesto di Scandicci sulla danza come arte contemporanea, un’epifania per il pensiero artistico-coreutico italiano. Negli stessi anni la contaminazione tra i diversi codici delle arti, la collaborazione con architetti, l’interesse per la bioingegneria caratterizzano il lavoro della coreografa Lucia Latour che sviluppa un linguaggio votato al pragmatismo corporeo; le nuove tecnologie orientano il lavoro della coreografa Ariella Vidach verso sperimentazioni interattive che soprattutto negli anni ’90 si avvalgono di sistemi Motion Capture e del sistema di realtà virtuale Mandala System; l’eredità della maestra futurista Giannina Censi porta la coreografa Silvana Barbarini, fondatrice della compagnia Vera Stasi con Ian Sutton, ad aprire una riflessione sul binomio danza/ismo, traducendola in intelligenti visioni, tra danze aeree e ritmi scanditi da pratiche di movimento sonoro. Il making dance italiano anni ’80 – ’90 è segnato anche dalla nascita di compagnie innovative, come Corte Sconta (1990) e da alcune personalità che in maniera incisiva legano in quel ventennio la loro ricerca di movimento a scelte precise, non solo tematiche, ma di luogo. Caterina Sagna, Emio Greco trovano rispettivamente nella Francia e nell’Olanda, la terra adottiva, senza mai perdere quel legame profondo con la propria. Inversamente Adrianna Borriello dopo un importante percorso formativo in Belgio e dopo aver fondato il gruppo Rosas danst Rosas con Anne Teresa De Keersmaeker, torna in Italia e mette a fuoco una ricerca di taglio antropologico, nutrita da importanti collaborazioni in campo musicale con compositori ed etnomusicologi.
Il Tempo danzato, sezione seconda: I grandi americani.
Nel 1991 mentre in Italia Roberto Castello debutta con la serata Enciclopedia, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni presentano Terramara e la danza italiana di ricerca si avvia verso un nuovo decennio di sfide, in America muore a novantasei anni Martha Graham una delle più celebri danzatrici e coreografe del Novecento, considerata la madre della danza moderna. Nel 2011 tanti gli omaggi in tutto il mondo per il ventennale della sua morte, nel ricordo di una donna leggendaria che ha inciso in maniera determinante sul corso della storia della danza mondiale, affermando un nuovo modo di fare e di pensare la danza. “Senza di lei la danza moderna non sarebbe pensabile”, scrive Susanne Franco nel volume monografico a lei dedicato. Martha Graham conferisce alla danza “uno statuto elevato non solo nel mondo del teatro ma anche della società, la stessa che con le sue opere ha rappresentato, sfidato e messo in crisi”. Autrice di quasi duecento coreografie, affronta temi sociali, politici e religiosi, da voce “ai problemi delle donne, al confronto tra culture, al conflitto generazionale, alla ricerca delle origini etniche dell’America, a pagine famose della letteratura”. Onorata dei premi internazionali più prestigiosi, insignita dei riconoscimenti più importanti è la maestra icona che rivive nella memoria, negli sguardi di pubblici tra le generazioni e la diva a cui artisti come Richard Move dedicano intelligenti riletture sceniche. L’eccentrico artista statunitense con Martha@ rende omaggio alle folgoranti invenzioni della Graham, porta in scena la sua volontà di esprimere la condizione umana, comunicare il significato della vita, delle emozioni, delle passioni e della speranza, a quel pubblico che va guardato, affascinato e conquistato. Tornando alla storia della danza americana è opportuno ricordare che il concetto grahamiano di movimento inteso come espressione dell’inconscio, si contrappone al pensiero di Alwin Nikolais (1910-1993), coreografo e pedagogo il cui insegnamento rivoluzionario giunge in Italia attraverso Carolyn Carlson. Il suo movimento ridefinisce i rapporti tra il corpo e lo spazio in opposizione con i principi della modern dance e mette in atto una danza intesa come visual art of motion. Il corpo in metamorfosi tra stoffe, bastoni e accessori, passa da una condizione umana a una astratta, generando insieme agli altri elementi della messa in scena un teatro multimediale, profondamente metaforico. Negli stessi anni ‘50 arriva la rottura che Merce Cunningham (1919-2009) attua nei confronti della modern dance e di Martha Graham, per la quale danza dal 1939 al 1945 come solista. Considerato il padre della danza post-moderna è il fondatore della danza contemporanea intesa come a moving image of life. Sperimentatore fervido dalle idee rivoluzionarie centra la sua ricerca sul movimento puro, inaugura il montaggio casuale dei movimenti e la separazione tra danza e musica usando il change method, per il quale il sodalizio artistico con John Cage è rivelatore. Cunningham attraversa e alimenta le avanguardie americane delle arti visive, della performing arts e apre orizzonti coreografici inesplorati applicando nuove tecnologie all’arte. Usa e sperimenta il software di animazione Life Forms, oggi DanceForms, esplora con la tecnologia Motion Capture possibilità coreografiche sintetiche in Biped (1999). Prima della sua scomparsa pensa il Legacy Plan in cui definisce il futuro della Cunningham Dance Foundation e la conservazione dei suoi lavori con le Dance Capsules. In Mondays with Merce una serie di web episodi online dedicata all’esplorazione del lavoro di Merce Cunningham e degli artisti associati con la MCDC, l’ultimo sguardo innovativo di Merce. A partire dal 1954 Trisha Brown frequenta per tre anni consecutivi l’American Dance Festival al Connecticut College, dove studia tra gli altri con Cunningham e assiste a una dimostrazione-spettacolo di Cage che incide profondamente sul suo percorso coreografico. Arrivata a New York negli anni ’60 ne vive e ne alimenta il fervore culturale, partecipa agli Happenings Fluxus con sue proposte, attraversa l’esperienza della Judson Church e della Grand Union in maniera incisiva, portando avanti una ricerca tutta personale incentrata su un metodo sperimentale di esplorazione del movimento non convenzionale. Mette a punto una tecnica specifica fondata sullo studio di giochi di gravità dove il movimento fluido, continuo, oltre la forma, si fa calligrafia corporea in stretta connessione con il suo essere disegnatrice. La Brown disegna spazi in maniera democratica con grande semplicità, li incontra con corpi che scalano edifici, accumulano gesti su zattere galleggianti, danzano luoghi convenzionali e non. Nel 1995 mentre Raffaella Giordano firma il solo Fiordalisi e nasce a Firenze il collettivo Kinkaleri, Trisha Brown realizza You can see us, duo con Bill T. Jones, uno dei protagonisti delle sperimentazioni newyorkesi della fine degli anni ’70. Bill T.Jones è autore di un linguaggio unico, pragmatico e ben riconoscibile. Il suo segno è la risposta a una organica interrogazione sulle grandi questioni come l’identità. Per lui l’arte rappresenta quello che per molti rappresenta la religione, ha il compito di organizzare il caos dell’universo offrendo una risposta alternativa a domande come: qual è il senso della vita?
Il tempo danzato, sezione terza: InBetween #1
“Il limite? È un problema che Pina Bausch ha posto venticinque anni fa”… Jan Fabre lo ha trascurato durante la sua formazione poliedrica e il suo sguardo ne è andato al di là… Marina Abramovic lo ha superato camminando lungo la muraglia cinese, decidendo di portare in teatro, luogo che ha sempre ritenuto morto, il suo lavoro di artista visiva…William Forsythe andato oltre ogni limite nel linguaggio fisico, strutturale e di visualizzazione coreografica (Motion Bank) lo ha riorganizzato e oggi pensa alla danza come arte contemporanea. Nel giugno 2010 mentre Virgilio Sieni debutta alla Biennale Danza Di Venezia con Tristi Tropici spettacolo rivelatore di una percezione altra, William Forsythe riceve il Leone D’Oro alla carriera e lo ritira con un atto performativo, s’interroga e interroga i presenti:
What can we provide with dance for civilization? /What are proper ways to do things?/How do we know it?/How effectively doubt my own conviction?/Do I really believe when I believe?/What is due to know about dance or choreography?/Why is there a resistance to change?/ What are the politics of the word “appropriate” and “equivalence” in our praxis?/What is our relationship to language?/What is the function of translation in the practice of dance and choreography? (idea…sensation…event…)/What about the political organization of a dance ensemble?/What about ethics and artistic practice?/What is fair if one is in a position of power?/What is a respectful work environment?/What does “work” mean?/What do we know about how we know it?/What about categorical rigor?/ What does constitute an imperative in our work?/ What is the relationship between autonomy and dignity?
Il tempo danzato, sezione quarta: Il meticciato pluralista
Il XXI secolo non conosce confini. L’Occidente incorpora L’Oriente e l’Oriente incorpora l’Occidente, le identità nazionali si moltiplicano e si contaminano in una miscellanea pluralista che si stratifica in corpi melting pot. I dancemakers del XXI secolo non pensano per la loro ricerca coreografica a corpi da uniformare in un preciso disegno, ma al meticciato, alla diversità dei corpi-identità da rispettare. Le idee, le tematiche, le suggestioni non si comprimono, ma si incontrano in una danza di fusione. Akram Khan, indiano britannico di famiglia bangladeshi islamica, sostiene che i suoi genitori lo hanno sempre incoraggiato a non staccarsi dalle sue radici. Per lui la vita è un melting di culture. I suoi movimenti fondono la tradizione indiana della danza Kathak e l’astrazione della danza contemporanea. Coagula questo universo artistico-privato nella sua compagnia multietnica dove la confusione dei corpi al di là di ogni intellettualizzazione lo rapisce e lo porta verso una fusion dinamica di movimento istintivo fatto di gesti, sguardi e feeling. Sidi Larbi Cherkaoui che duetta con lui nello straordinario Zero Degrees (2005), impara dalla vita che non ci sono differenze tra le culture. Lui per metà arabo e per metà fiammingo, fin da piccolo si misura con il fatto che ciascuno è una frontiera. Per questo pensa che ognuno debba contribuire a formare un’unica cultura dell’umanità. L’arte è un forte collante, così come le tante discipline: non ci sono differenze tra danza, recitazione e canto popolare. Saburo Teshigawara, con la semplicità di un vapore che sgorga, racchiude nel suo corpo tutta la sapienza orientale e la spinta occidentale, generando una danza trans-culturale. Tra le culture si muove Alain Platel che ama spiazzare le aspettative, ricollocare antropologicamente l’ignoto e partire dalla diversità fisico-culturale dei suoi interpreti nella costruzione di spettacoli sociali. La diversità che Lloyd Newson con i DV8 fin dai suoi esordi porta in scena con sguardo impietoso e scioccante, è quella dell’emarginazione, delle idee scomode dove le culture faticano a relazionarsi e le società sembrano collidere in pulsanti costruzioni coreografiche. Collidono i corpi di Sasha Waltz, disegnano spazi matematici quelli di Anne Teresa De Keersmaeker, giocano identità in trasformazione quelli di Jean Claude Gallottà. Ohad Naharin con il suo Kyr (1990) produce una fusione della scienza con la storia, della matematica con la religione, della forma con il caos. Kyr che in ebraico significa muro, porta in scena attraverso movimenti animaleschi e poetici, un’atmosfera drammatica ed esplosiva che traduce le inquietudini di Israele in inquietudini universali di un mondo sempre più in-fusione.
Il tempo danzato, quinta sezione: InBetween #2
mk/Francesca Pennini |CollettivO CineticO/ Santasangre / Muta Imago e altre energie tutte made in Italy si collocano attraverso il corpo in quel luogo intermedio del dare e far percepire che si muove tra coreografia pura, movimento, arti visive, sound designer e teatro. Intrecciano rapporti e collaborazioni, aprono progetti al di là di gerarchie autoriali. In tal senso l’esperienza delle instructions series, il nuovo modulo produttivo che mk sta sviluppando con Xing, offre un campo d’indagine da osservare attentamente. Michele Di Stefano informa che la sfida è di produrre per formati compatti ma elastici, con tempi brevi, secondo una certa serialità e con intenti di natura collaborativa. Le ‘istruzioni per una performance da compiere’ sono il nodo di questo progetto coreografico a distanza, impartito per delega, via e-mail, a diverse personalità straordinarie e comuni, di volta in volta differenti, convocate come autori e non come interpreti. Le istruzioni inoltrate dal coreografo, pure informazioni d’innesco del processo, sono scritte anche per essere fraintese. Mentre giocano con i parametri del “chiunque” e dell’“ovunque”, le istruzioni chiedono una risposta tecnica, un approfondimento che non prescinde dalla ricollocazione topografica di qualunque attività generata dal corpo. Lette come un esperimento chimico, le istruzioni permettono di osservare le reazioni di diversi elementi, il loro ordine e le loro velocità.
Il tempo danzato, quinta sezione: In Between #2 Masbedo, Until The End, 2011, video, Courtesy Galleria Lorcan O’Neill Roma
Until The End, non ha un’impostazione narrativa, ma illustra, grazie ad una sola immagine in leggero movimento, un messaggio universale che gli artisti hanno definito “la condanna all’altezza”. In un limbo nero due piedi si sforzano, in una sorta di danza, di aspirare, salire, staccarsi da terra. Tale gesto primitivo è fonte da un lato di una metafora legata all’innalzamento fisico, all’elevarsi del corpo in un contesto sociale, dove “la condanna all’altezza” è traducibile in una condanna alla bellezza e al potere; dall’altro lato rappresenta il tentativo ascensionale di un corpo inscrivibile in una dimensione metafisica, dove il corpo tende alla Luce, all’Infinito, allo Spirito e a Dio. Until The End è anche una trasfigurazione contemporanea della celebre danzatrice degasiana, divenuta un’icona della storia dell’arte grazie alla potenza evocata da tre sue caratteristiche imprescindibili: il movimento rotatorio attorno ad un ideale asse universale, il nastro grazioso giovane e leggiadro che cinge i capelli e lo sguardo continuamente rivolto verso l’alto. Seppur non citati letteralmente e visivamente, nel video dei Masbedo si osservano l’ossessività ancestrale di un corpo forzato tra un movimento circolare e verticale, e un’immagine di un corpo giovane ma consumato, metafora del tempo che fugge e del tentativo di rallentarlo. Contrariamente ad una ballerina classica, il cui simbolo sono le scarpette da ballo e per la quale la fatica è sinonimo di eleganza, la danzatrice quotidiana di Until The End è invece rappresentata dalla nudità dei suoi piedi, divenuti artigli, e il cui sforzo all’ascensione la scalfisce e la ferisce. I Masbedo innescano così un processo di de-siderazione di un topos, quello della ballerina appunto, umanizzandolo e di fatto rendendolo vivo e mortale. Testo di Luca Bradamante.
• Video della mostra Il tempo danzato
Il tempo danzato, video sezione prima: Nella memoria della danza italiana di ricerca.
DVD Plasma 1: Sosta Palmizi, Il Cortile, 1985 integrale.
DVD Plasma 2_montaggio, estratti da:
Adriana Borriello, Allegro vivace mais pas trop, 1986; Virgilio Sieni, Fratello Maggiore, 1987; Giorgio Rossi, Rapsodia per una stalla, 1990; Ariella Vidach, Aiep – Avventure in elicottero prodotti, Elicon Silicon, 1993; Corte Sconta, Il guardiano dei coccodrilli, 1994; Roberto Castello, Enciclopedia, 1994; Raffaella Giordano, Fiordalisi, 1995; Lucia Latour, Altroteatro, Du vu du non vu, 1998; Virgilio Sieni, La casina dei biscotti, 2000.
DVD Plasma 3: Enzo Cosimi, Sciame, 1987 integrale.
Il tempo danzato, video sezione seconda: I grandi americani.
DVD PLASMA 1: montaggio con sonoro: Martha Graham, estratti da The Dancer revealed, 1994; Richard Move, Martha@romaeuropa, Intervista, Romaeuropa 2003.
DVD PLASMA 2_ montaggio, estratti da:
Murray Louis & Alwin Nikolais, Company profile, 1997; Merce Cunningham, Un vie de danse, 2000; Merce Cunningham, Cunningham Dance Technique, sd; Trisha Brown, Early Works, MAXXI, 2011; Trisha Brown/Bill T. Jones, Portrait Bill T. Jones, 1995; Bill T.Jones, The Breating Show – Solo,Romaeuropa Festival 1999.