Nato a Centralia (Washington), Merce Cunningham inizia la sua formazione alla Cornish School of Performing and Visual Arts di Seattle (dove conosce John Cage), diventando dal 1939 al 1945 solista nella compagnia di Martha Graham. Con la grande danzatrice non solo sviluppa le sue competenze tecniche, ma intravede anche le diverse possibilità della modern dance.
Tuttavia, pur apprezzando la tecnica della Graham – soprattutto per l’abilità con cui amplificava il peso del corpo al punto da far sì che fosse la gravità stessa a produrre una forma espressiva – egli rifiuta nel suo lavoro la forte emotività e la dipendenza dalla struttura narrativa, appassionandosi invece ai puri meccanismi del movimento, come dimostrano alcuni assoli realizzati in questo periodo (Totem ancestor, 1942 e Root of an unfocus, 1944). Nell’estate del 1953 fonda la Merce Cunningham Dance Company al Black Mountain College e da allora non ha smesso di creare le sue coreografie, scrivendo ogni volta un capitolo della storia della danza contemporanea.
Anche la musica ha una parte di rilievo nella sua crescita artistica: la collaborazione con John Cage, cominciata nel 1942 con la sua prima creazione, è durata fino alla morte del compositore, 50 anni dopo. Nel corso del loro lavoro insieme, Cunningham e Cage hanno proposto una serie di innovazioni radicali: la più famosa e controversa riguarda il rapporto fra musica e danza, che, specie nei primi balletti, partono da percorsi indipendenti per poi confluire in alcune fasi rivelatrici di sintonia. Nel corso degli anni, tuttavia, questi momenti sono scomparsi: oggi i danzatori della compagnia di Cunningham apprendono e provano ogni nuova creazione in religioso silenzio e spesso non ascoltano la musica fino al giorno dello spettacolo.
Anche altri elementi convenzionali delle strutture danzanti sono stati abbandonati da Cunningham: conflitto e risoluzione, causa ed effetto, climax ed anti climax. Cunningham non è interessato a raccontare storie o esplorare stati psicologici: ciò non significa che la drammaturgia sia assente, ma che emerge dall’intensità dell’esperienza cinetica e teatrale e in particolar modo dalle situazioni umane che si svolgono sul palcoscenico. Egli afferma: “Non devi essere necessariamente al meglio di te stesso, ma al tuo stato più umano”. Un nuovo lessico del movimento trae ispirazione dalle attività quotidiane, montato in sequenze dove il caso diventa un importante elemento del congegno. Inoltre opponendosi alle norme della prospettiva rinascimentale e alla concezione per cui il movimento deve irradiarsi dal centro del palco, localizza le azioni in diversi punti nessuno gerarchicamente più importante. Fondamentale è lo studio dell’ I Ching con i suoi esagrammi: Cunningham fa uso del “caso” per decidere come si susseguono le frasi coreografiche, quanti ballerini sono coinvolti in ogni sequenza e quando escono di scena: è la possibilità di assecondare un’energia che governa il lavoro (Suite by chance, 1953; Suite for five, 1956). Come per la musica anche le strutture scenografiche seguono un principio di indipendenza creativa: direttore artistico della compagnia dal 1954 al 1964 è Rauschenberg, cosicché scene e costumi vengono consegnati il giorno prima dello spettacolo.
Negli anni Sessanta Cunningham inizia inoltre la collaborazione con diversi film maker per la realizzazione di alcune pellicole sulla danza: ciò che lo interessa sono le possibilità creative della cinepresa, soprattutto riguardo al modificare il punto di vista consueto sul movimento, destrutturandolo. Nel 1966 realizza con Stan Van Der Beek Variations V: in uno spazio scuro dei ballerini attivano dei sensori interrompendo un raggio luminoso, ed innescando inserti musicali di Cage, mentre su alcuni schermi sono riprodotte immagini di film o di vita quotidiana. Con Charles Atlas realizza Walkaround time (1974, da uno spettacolo del 1968) su scene di Jasper Johns (successore di Rauschenberg come direttore artistico, dal 1967 al 1980) ispirate all’opera di Duchamp The large glass. Negli anni Ottanta e Novanta Cunningham continua l’esplorazione sulle possibilità di intersezione tra danza e video, creando con Elliot Caplan, Changing steps (1989, da uno spettacolo del 1975), un omaggio a una fra le prime ballerine della compagnia, Carolyn Brown, e sperimentando un software per creazioni in 3-D chiamato Life forms, unito alla tecnica del motion capture: il movimento si stacca così dal ballerino per liberarsi nello spazio virtuale.
Se Merce Cunningham è considerato il più grande coreografo vivente, lo deve alla sua prolifica e continua capacità di inventare nuovi passi: ogni nuova creazione, è solito dire, ha inizio con un passo che lo porterà a scoprire qualcosa di cui non era a conoscenza prima. Nella sua carriera ha realizzato quasi 200 coreografie interpretate dalle più grandi compagnie tra cui la New York City Ballet, American Ballet Theatre, Boston Ballet, White Oak Dance Project, Pacific Northwest Ballet, Pennsylvania Ballet, Zurich Ballet e la Rambert Dance Company.
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Merce Cunningham