Lo spettacolo presenta un’indagine sull’artigianalità della performance come forma d’arte e di comunicazione: un accumulo di oggetti, fotografie e gesti è predisposto sul palco a rappresentare un universo statico che prende vita grazie all’azione filmica e musicale degli artisti. Attraverso tale animazione saranno messi in scena il rischio e l’errore, elementi fondanti e generalmente ecclissati nell’arte e nelle relazioni, poiché considerati disturbanti e antiestetici. In La Musa arte e relazione si associano, si impastano fino a incarnarsi nelle inquadrature, negli sguardi e nel tentativo. Tema evidente in La Musa diventa l’immedesimazione tra arte e relazione.
La performance viene creata nella totale improvvisazione tra metafore visive e associazioni libere di pensieri, le quali nascono da uno scambio creativo tra i tre artisti. Affidarsi a tale a-impostazione significa paradossalmente affidarsi ai dettami dell’insicurezza e quindi concentrare la necessità della creazione artistica nel rischio di una ricerca compulsiva e ossessiva della bellezza. Il soggetto dell’azione performativa diviene il “tentativo”, cioè lo sforzo artistico teso a dare una forma e un senso a ciò che è in divenire e che, negli occhi degli altri, ancora non esiste. A sua volta la musica, seguendo il dettato inconscio delle immagini create in diretta, diventa voce. La performance, considerando che gli artisti hanno deciso di non darsi l’un l’altro alcuna informazione sullo svolgimento della stessa, può risultare ancora più estrema, pura e forse ingenua. In La Musa non esiste drammaturgia; in La Musa insiste una allargata tematica relazionale tra un dialogo visivo e uno musicale tra tre persone.
Il pubblico è vivo testimone della creazione dell’emozione, della tensione e dell’ aspirazione ad una relazionalità, ossia è testimone dell’esistenza di una musa ispiratrice che, esposta sullo schermo come una scenografia viva e avvolgente, mette in comunicazione gli artisti e gli spettatori stessi.