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Storia del Wayang Wong di Bali; La maschera, veicolo del mito; Il Ramayana e il teatro dell'Asia sudorientale
Villa Medici
16, 17 luglio 1990
25romaeuropa.net

Wayang Wong di Telepud

Bali Wayang Wong – Teatro in maschera di Bali


Photo © Piero Tauro
Bali Wayang Wong – Teatro in maschera di Bali

Il wayang wong è una delle forme più antiche del teatro-danza balinese, un veicolo espressivo che fin dal XV secolo fonde arte e religione, rito e spettacolo in un’unica, suggestiva rappresentazione: a proporlo agli spettatori del Romaeuropa Festival è una delle tre compagnie tradizionali superstiti, quella di Telepud, villaggio situato al centro dell’isola di Bali.
L’esibizione del gruppo è andata ad affiancarsi nell’esplorazione del Ramayana, poema epico indù scritto intorno al 600 a.C., a quella del Balletto Classico Tailandese e del Teatro delle Ombre della Malesia.
La contrastata e fluviale storia d’amore di Rama e Sita, la coppia regale protagonista di quello che è uno dei pilastri della cultura del sud-est asiatico, fornisce da secoli materiale per gli spettacoli teatrali, accompagnati, nel caso del teatro in maschera di Bali, da un’orchestra gamelan, che utilizza esclusivamente strumenti a percussione, soprattutto metallofoni di varia forma e natura. Le splendide maschere, che detengono un ruolo fondamentale nello spettacolo, sono copie di quelle originali le quali, essendo considerate oggetto di culto, non possono uscire dal tempio in cui sono state consacrate.

LA MASCHERA, VEICOLO DEL MITO
di Henri Bonnithon

Nel wayang wong troviamo una serie di maschere assolutamente uniche, rappresentanti l’intera storia del Ramayana. Naturalmente, come per solito accade in ogni teatro tradizionale, i personaggi non sono dei semplici caratteri umani, ma dei simboli, degli archetipi. Il talento degli abitanti di Bali ha trovato nel Ramayana un tema su cui creare maschere che non trovano raffronto in nessun altra tradizione asiatica.
Il wayang wong di Telepud ci dà l’occasione di vedere dei personaggi – Rama, Sita, Laksmana – mascherati, così com’erano nel wayang wong delle origini. In altri villaggi invece gli stessi personaggi vengono interpretati a viso scoperto, e la tradizione locale non sembra aver mai preteso l’uso di maschere.
Il wayang wong è uno spettacolo rituale; ovvero, le maschere appartengono a un tempio e vengono utilizzate in occasione dell’anniversario del tempio stesso. Maschere e spettacolo assumono allora una funzione esorcizzante (assicurare la salute della comunità, allontanare la carestia e le malattie). Le maschere sono oggetto di culto e in nessun caso possono uscire dal luogo a cui sono consacrate; tanto che per le rappresentazioni all’esterno del tempio ne vengono utilizzate delle copie, appositamente realizzate; in questi casi il wayang wong diviene uno spettacolo profano. Ogni maschera viene considerata sacra dopo essere stata adoperata in un certo numero di rappresentazioni, nell’ultima delle quali, detta Ngerehin, viene pervasa da uno spirito. Negli anni successivi le saranno poi regolarmente presentate delle offerte votive, che serviranno a caricarla di potentissima energia. La maschera allora potrà essere utilizzata nella danza solo da persone spiritualmente molto forti, dotate anch’esse di potere.
Il legno che più frequentemente viene utilizzato è il Pula (Alstonia Scholaris), bianco, leggero, resistente. A scultura terminata, viene applicata la pittura tradizionale, Warna Bali, un impasto di prodotti naturali.
Ogni maschera ha un suo proprio colore caratteristico, veicolo del simbolo e dell’archetipo. Rama, che è la settima incarnazione di Vishnu, ha un colore cupo. Ha i tratti del viso fini e delicati, è il simbolo del potere ideale. Rama viene sulla terra per ristabilire l’ordine Dharma, che è minacciato dal re dei demoni, Rawana, che rappresenta il disordine Adharma. La maschera di Rawana è marrone, ha degli occhi spaventevoli, la bocca semiaperta che lascia intravedere i denti affilati e che essendo scolpita permette alla voce dell’attore di avere un suono cavernoso.

IL RAMAYANA E IL TEATRO DELL’ASIA SUDORIENTALE
di Giovanni Giuriati

Il Ramayana è, col Mahabharata, il più importante poema epico della letteratura indiana. Attribuito al poeta Valmiki, racconta in 7 libri e 24.000 distici la storia del principe Rama, incarnazione di Vishnu, che sconfigge le forze del male rappresentate dal re dei demoni Ravana. Rama, con sua moglie Sita ed il fratello Lakhsmana, vengono esiliati per 14 anni nella foresta. Sono sul punto di far ritorno alla loro città Ayodhia quando il re dei demoni Ravana, signore della città di Lanka, invaghitosi di Sita, la rapisce. Rama, aiutato da Laksmana e dall’armata delle scimmie comandata da Hanuman, la scimmia bianca, assedia Lanka sconfiggendo ed uccidendo Ravana e ritrovando sua moglie Sita.
Questa, in estrema sintesi la trama. Ma, al di là della storia, che sembra descriva, nelle modalità narrative proprie dell’epica, una effettiva guerra avvenuta tra gli arii provenienti dal nord e le tribù autoctone del sud dell’India, il poema è pieno di episodi che rafforzano valori e codici di comportamento sociale, morale e religioso della cultura indù.

A partire dal I secolo d.C. l’espansione commerciale indiana portò alla costituzione dei cosiddetti stati induizzati del sud-est asiatico. I più conosciuti sono forse l’Impero khmer della Cambogia che ha dominato la parte continentale del sud-est asiatico dal IX al XV secolo, del quale i templi di Angkor sono la massima espressione artistica, e il regno degli Sailendra a Giava (VII-IX secolo), durante il quale fu edificato il grande monumento buddista Borobodur. Più che di un’espansione militare, si tratta di una influenza che si espresse nel campo religioso e culturale. Parte di questa influenza è consistita nell’adozione delle storie del Ramayana e del Mahabharata, utilizzate in tutto il sud-est asiatico come fonte di ispirazione per rappresentazioni teatrali. Questi poemi epici, giunti in Indonesia, Cambogia, Thailandia, Malesia e Laos nella loro versione scritta (in sanscrito) e attraverso la tradizione orale dei cantori epici, sono stati modificati e reinterpretati secondo la sensibilità delle diverse culture delle quali sono divenuti parte e costantemente rappresentati nelle corti e nei villaggi nelle forme tradizionali del teatro danzato e del teatro delle ombre.

Nel sud-est asiatico le rappresentazioni teatrali tradizionali sono fortemente ritualizzate e considerate un’offerta alle divinità. Spesso sono eseguite in occasione di festival religiosi e nel perimetro dei templi. Le religioni del sud-est asiatico sono varie: islamismo, buddismo, induismo. Il teatro, pur contenendo elementi ispirati da queste religioni, si ricollega a un substrato animistico in cui predomina il culto degli antenati e di divinità del suolo diffuso in tutta la regione sin da epoca protostorica. Le ombre (ma anche i danzatori) rappresentano simbolicamente gli spiriti degli antenati tribali e la rappresentazione teatrale costituisce un modo di comunicare ritualmente con essi rafforzando codici sociali e culturali tradizionali. Frequente è, ad esempio, l’esecuzione, prima della rappresentazione, di appositi brani offerti alle divinità protettrici della musica e della danza affinché proteggano la rappresentazione che si sta per svolgere. Funzione importante del teatro è di tramandare e rafforzare i valori tradizionali della società: pietà filiale, onestà, fedeltà, gentilezza, pietà religiosa.

Teatro, danza e musica sono strettamente connessi. Raramente il teatro è parlato. I testi sono cantati e vi è un costante accompagnamento musicale dell’orchestra. Gli attori danzano sulla scena. Forme teatrali più diffuse e significative sono il teatro delle ombre ed il teatro danzato. Nel teatro delle ombre un maestro proietta su uno schermo illuminato da una lampada le ombre di sagome finemente intagliate nel cuoio e decorate; nel teatro danzato i personaggi sono impersonati da danzatori che spesso indossano una maschera. Brandon, nel suo importante studio sul teatro del sud-est asiatico (Theatre in Southeast Asia, Harvard University Press, 1967) sottolinea alcuni aspetti principali comuni alle diverse forme teatrali della regione:
– la narratività e la presenza di numerosi episodi, tipici dell’epica e della tradizione orale, con racconti in cui divinità ed eroi si affrontano in scontri di grandi proporzioni;
– la compresenza di momenti comici (alle volte farseschi), melodrammatici e seri, mentre è sconosciuta la divisione in generi (tragedia, commedia) tipica dell’occidente;
– l’aspetto didattico della rappresentazione con l’eroe che impersona le virtù e i comportamenti positivi e, alla fine della rappresentazione, sconfigge l’eroe negativo. Anche se l’eroe positivo può avere qualche piccolo difetto, la distinzione tra buoni e cattivi, tra bene e male, è chiaramente delineata;
– la storia-tipo (che è anche quella del Ramayana) racconta di un eroe, sconfitto dal nemico, che si ritira nella foresta a meditare e, dopo aver acquisito poteri magici, ritorna per sconfiggere definitivamente il nemico;
– i personaggi sono chiaramente caratterizzati e divisi nei due campi opposti dei “buoni” e dei “cattivi”; personaggi-tipo sono: divinità, nobili, asceti, servitori-clown.

Anche sul piano musicale vi sono aspetti comuni. Innanzitutto ciò che colpisce l’ascoltatore europeo è la particolare qualità del suono. Le orchestre sono formate infatti in prevalenza da metallofoni intonati (gong-chime culture, cultura dei carillon di gong, la definisce Hood). Si tratta di strumenti prevalentemente di bronzo in cui una serie di lamine o di gong di piccole e medie dimensioni sono disposti in serie e accordati su una scala di cinque o sette suoni. Questi strumenti non hanno funzione puramente ritmica, ma prettamente melodica.
Altro elemento comune è la tradizione orale. Non esistono forme di musica scritta nella regione e la musica è tramandata oralmente da maestro ad allievo. Vi sono dei modelli melodici di riferimento sui quali i musicisti improvvisano rendendo unica ciascuna esecuzione. Ciò che colpisce l’ascoltatore-spettatore occidentale è anche la mancanza di un direttore in orchestre che arrivano a comprendere fino a più di quaranta musicisti. Specie nella musica balinese è sorprendente il grado di sincronismo e di affiatamento che i musicisti raggiungono nelle variazioni di tempo o dinamiche. Alcuni esecutori assumono il ruolo di direttore dando dei segnali che costituiscono un riferimento per gli altri musicisti. Ad esempio, nella musica balinese è il suonatore di tamburo (kendang) che con i suoi segnali indica cambiamenti ritmici e dinamici all’orchestra; nella musica thailandese è piuttosto il suonatore di xilofono (ranat ek) ad indicare cambiamenti di ciclo ritmico e la successione dei brani da eseguire.

Caratteristica peculiare è anche l’improvvisazione simultanea di più strumenti melodici. E proprio il “dialogo” intrecciato di queste improvvisazioni costituisce uno dei motivi di maggiore ricchezza e interesse delle esecuzioni musicali. Il ritmo è solitamente binario, articolato in cicli di diversa lunghezza e “stratificato”. Esistono cioè diversi livelli di densità ritmica associati a strumenti differenti. Le scale sono di cinque o sette suoni, a intonazione variabile, con intervalli differenti dal nostro sistema temperato. Nell’accompagnare le rappresentazioni teatrali i musicisti utilizzano un numero limitato di melodie, ciascuna delle quali è associata a un particolare stato d’animo (tristezza, furore) o a una funzione narrativa (melodie che accompagnano l’azione del camminare o del combattere).

Rassegna stampa

“Il Wayang Wong ha nelle maschere il suo punto di forza, maschere che sono sacre, appartengono a un tempio e hanno una funzione esorcistica. Ovale, fine e delicata, di colore chiaro, quella di Rama; marrone, coi grandi occhi sbarrati, le labbra rosse aperte su denti aguzzi, quella di Rawana, che tra l’altro gli dona voce cupa e risonanze cavernose.
La rappresentazione è naturalmente molto stilizzata e per noi sarebbe facile parlare di teatro-danza. Gli eroi positivi hanno movenze artefatte, da balletto, cui partecipano anche le mani e le dita, mobili tanto da apparire quasi slogate, o che vezzosamente e provocatoriamente muovono i nastri dell’abito ricco e colorato. Accanto a loro ci sono però i mostri fantastici, grandi e animaleschi, e i servitori, sempre in coppia, più plebei e goffi, quasi delle scimmie, buffi anche nel loro uso della lingua parlata balinese, in contrasto con quella letteraria e in versi usata da tutti gli altri.
Lo spettacolo, che si svolge in un palcoscenico delimitato da una siepe verde, accanto a un’orchestra tutta di percussioni composta da quindici elementi che ritmano e aiutano la tensione del racconto, unisce così una raffinata e antica eleganza a un gioco fantastico, che rivela ingenuità di cotone e cartone, convincendo, proprio in questa sorta di raffinato contrasto, un pubblico folto e plaudente la sera della prima”.
(Notturno indonesiano a Villa Medici: con danze di demoni e dei ecco il Ramayana, Corriere della Sera, 20 luglio 1990)

“Le magie della vicenda, la vivacità dei personaggi sono resi dagli artisti di Telepud nell’intrico meraviglioso di balletto antico, gesto evocativo, musica di timpani e tamburi. L’epicità degli eventi è sottolineata dall’uso di maschere colorate, come di sagomature che risalgono al XIV secolo. Wayang Wong vuol dire dramma con maschere e l’interpretazione balinese complica l’intreccio con l’intervento di servi mediatori, demoni minori e qualche scimmia in più: ecco che i clown divertono maggiormente il pubblico acciambellato su una radura ai limiti della giungla, spiegando in lingua “bassa” ciò che demoni importanti e eroi si scambiano in lingua letteraria.
Occorre sempre, rivedendo e ammirando questi magnifici artisti nei loro gioiosi e profondi rituali, pensare a quanto ricco di energia spirituale il teatro presso di loro fosse nelle fasi di una festa collettiva di ringraziamento agli dei. Sia pur molto dignitosamente ospitato da Villa Medici, lo spettacolo di Telepud non ritrova quel silenzio, quell’ombra, quei profumi sacri e terribili in cui Artaud scorgeva la lotta di un’anima in preda alle larve e ai draghi. Ma è anche un confronto rivelatore”.
(Ubaldo Soddu, Un soffio di magia e di saggezza da Bali, Il Messaggero, 18 luglio 1990)

RACCONTI DI VIAGGIO: L’ANTICA STORIA DEL WAYANG WONG DELL’ISOLA DI BALI
di Leonetta Bentivoglio

Assistere a una rappresentazione originale di wayang wong nella sua naturale cornice – in questo caso il gruppo arriva dal villaggio di Telepud, nel cuore di quel paradiso ineffabile che è l’isola di Bali, tra vallate a terrazze con la luminosità dello smeraldo e morbidissime montagne erbose – regala allo spettatore un’enorme emozione.
Sorprendentemente Bali possiede una cultura che è riuscita a preservare – nonostante la prepotenza dell’invasione turistica occidentale e i continui rischi d’appiattimento e di contaminazione – un rapporto con l’espressione artistica e il suo valore rituale. O almeno è questo il sentimento che emana il wayang wong, un cerimoniale forte, una forma di teatro arcaica, capace di apparire, a tutt’oggi, come il serbatoio dei grandi miti balinesi: ovvero un patrimonio dove il Ramayana, importato dall’India, rappresenta uno soltanto degli innumerevoli tasselli.
Nei costumi raffinatissimi, nelle maschere buffe, terrificanti o armoniose, belle di una fissità enigmatica, di uno sbalordimento rigido e inquietante, che sanno proiettare come su uno schermo di rarefazione e di purezza gli iperbolici tumulti raccontati dalla trama, il wayang wong ci conduce attraverso i sentieri dell’epoca di Rama, la grande fiaba del Bene che combatte contro il Male. Una parabola archetipica che può comunicarsi al pubblico con una fresca immediatezza, e che da secoli trasmette senza posa, col sortilegio di una voce incantatrice, valenze etiche profonde e inamovibili.
Teatro autenticamente “totale”, nello splendore intrecciato di danza e musica, di canto e di parola, il wayang wong ha una coreografia che muove gli attori-ballerini sul piano di uno spazio sempre bidimensionale, denunciando così la sua radice in quel teatro delle ombre che utilizza, per le sue meraviglie, fragili marionette schiacciate sull’esclusiva dimensione del disegno dei loro contorni, senza spessore, né volume.
Così ci scorrono davanti le sequenze del wayang wong come fossero fastose illustrazioni dinamiche stampate sulla pellicola di un film, o anche sulla striscia di un fumetto. Ed è un tratto che accentua ulteriormente la sensazionalità e il virtuosismo dell’insieme.

TEATRO IN MASCHERA DI BALI: LA TRAMA
di Giovanni Giuriati

1. A Mentila, palazzo del re Janataka: Rama, accompagnato dai suoi due servitori, si appresta a ritornare al regno di Ayodia perché la cerimonia delle sue nozze con la principessa Sita, figlia del re Janaka, è terminata.
2. Compare Sita che, addolorata, domanda a Rama perché l’ha lasciata sola mentre dormiva.
3. Dasarata, padre di Rama e Laksmana, suo fratello, la consolano: ella non ha alcun motivo di essere gelosa perché Rama era andato semplicemente a congedarsi dal suocero, il re Janaka.
4. Una volta rassicurata Sita, si mettono tutti e tre in cammino seguiti dai loro servitori e dopo poco giungono in una foresta dove sono fermati da un eremita, Ramaprasu. Egli sfida Rama a duello brandendo il suo arco e una freccia, dicendogli che se non riuscirà a sollevare quell’arma, egli lo ucciderà. Rama solleva facilmente l’arco e punta la freccia verso l’eremita. Ramaprasu, tremante di paura, supplica Rama di non ucciderlo.
5. Essi riprendono il cammino verso Ayodia; Dasarata annuncia a Rama che lo nominerà erede del suo trono.
6. Arrivato a Ayodia il re Dasarata, influenzato dalla sua sposa Diah Kakayi esilia Rama, Sita e Laksmana nella foresta. Il motivo è che Dasarata aveva promesso alla sua sposa di offrire il trono spettante per diritto ereditario a Rama, al loro primo figlio maschio, Bharata, fratellastro di Rama.
7. Rama, sottomettendosi alla decisione di suo padre, riparte con Sita e Laksmana alla volta della foresta di Dandaka, dove incontra un demone orrendo di nome Wirada. Egli, molto feroce, marcia sulle sue due mani e minaccia di divorarli. I due eroi riescono a sconfiggere il mostro prendendolo ciascuno per un piede e tirando fino a farlo morire.
8. Essi continuano il loro cammino fino a quando incontrano Surpanaka, sorella di Rawana. Ossessionata dalla bellezza maschile, si innamora immediatamente di Rama e Laksmana tentando di sedurli. Rama e suo fratello la scacciano e Laksmana accecato dalla collera le taglia il naso. Urlando di dolore, essa fugge e va a lamentarsi da Rawana aggiungendo, per eccitare il desiderio di Rawana, che Sita è meravigliosamente bella.
9. Rawana va a cercare il demone Marica e gli chiede di trovare un mezzo per allontanare Rama da Sita. Marica si trasforma in un cervo dalle corna d’oro e si avvicina a Sita che cerca invano di catturarlo e domanda a Rama di farlo. Rama va alla caccia del cervo e nel cuore della foresta il cervo chiede aiuto imitando la voce di Rama, per ingannare Sita.
10. Sita, angosciata, supplica Laksmana di andare in aiuto del suo sposo. Egli rifiuta perché non riconosce la voce del fratello e sospetta una trappola. Sita implora e alla fine convince Laksmana che parte a malincuore, lasciando sola Sita.
11. Rawana si trasforma allora in eremita e si avvicina a Sita, cercando di rassicurarla con una ipocrita condotta virtuosa e poi la rapisce involandosi. Ma il rapimento ha per testimone un uccello gigante, il garuda Jatayu, amico di Dasarata. Jatayu insegue Rawana, lo morde col suo becco e riprende Sita. Rawana cade a terra, ma, così facendo, riacquista le forze e si lancia nell’aria all’inseguimento di Jatayu, al quale mozza le ali. Jatayu si accascia al suolo e Rawana riprende Sita conducendola nel suo reame di Lengka.
12. Laksmana ritrova Rama nella foresta e gli spiega il motivo della sua presenza. Tutti e due ritornano al luogo dove avevano lasciato Sita e, naturalmente, non la ritrovano. Con il cuore gonfio di tristezza, Rama e Laksmana cercano disperatamente Sita fino a quando non incontrano Jatayu morente, al quale resta fiato sufficiente per raccontare il rapimento di Sita ad opera di Rawana.
13. Compare Anoman, capo dell’armata delle scimmie e prega Rama di venire in soccorso di Sugriwa, re delle scimmie che si sta battendo contro suo fratello Bali. In cambio, egli promette l’aiuto della sua armata per combattere Rawana.
14. Rama, Laksmana e Anoman giungono sul luogo dove stanno combattendo i due fratelli nemici Bali e Sugriwa. Rama uccide Bali in duello.
15. Rama chiede a Sugriwa e alla sua armata di recarsi in ricognizione a Lengka per avere notizie di Sita. L’armata si mette in marcia con Anoman al comando; Rama consegna ad Anoman la sua fede nuziale per farsi riconoscere da Sita.
16. Nella foresta Anoman vede una grotta dove, soffocando per il caldo, si ferma a rinfrescarsi con la sua armata. Là essi incontrano una bellissima donna di nome Swayampraba che offre loro della frutta e chiede loro il motivo della presenza in quel luogo. Essa offre i suoi poteri magici per aiutarli ad arrivare più velocemente a Lengka, a patto che essi chiudano gli occhi. Una volta chiusi gli occhi, le scimmie sono trasformate in demoni.
17. L’uccello Sempati, fratello di Jatayu, restituisce loro la forma di scimmie, e dà loro forza e poteri sovrannaturali.
18. L’armata delle scimmie prosegue il suo cammino e giunge sulla costa; i soldati non possono traversare il mare e raggiungere l’isola di Lengka. Il solo Anoman ha il potere di continuare librandosi nell’aria.
19. Anoman giunge a Lengka ed entra nel palazzo dove Sita è tenuta prigioniera da Rawana. Ma egli non la trova e si dirige verso il giardino, nascondendosi dietro a un albero.
20. Da lì vede Rawana nel giardino che si avvicina a Sita tentando di sedurla, ma ella lo allontana con disprezzo.
21. Rawana si allontana indispettito e Anoman ne approfitta per raggiungere Sita senza essere visto, e le mostra l’anello di Rama. Sita contenta di vederlo, lo riconosce come messaggero del suo sposo e gli consegna una missiva con la sua spilla.
22. Anoman mette a sacco il giardino e i giardinieri corrono ad avvertire Rawana che ordina a suo figlio Meganada di catturare la scimmia.
23. Meganada cattura Anoman con la sua freccia magica (chiamata Naga Pasah), lo lega stretto e lo porta dinanzi a Rawana.
24. Rawana condanna Anoman al rogo.
25. Wibisana, fratello di Rawana, lo consiglia di non uccidere Anoman perché è inconcepibile uccidere un messaggero. Rawana si rifiuta di ascoltare suo fratello, lo colpisce con forza e lo esilia dal regno.
26. Anoman è condotto al rogo e, quando il suo corpo è avvolto dalle fiamme, si libera precipitandosi nel palazzo dove appicca il fuoco con la sua coda.
27. Anoman raggiunge Rama al quale consegna la lettera e la spilla di Sita; gli racconta ciò che è accaduto e le condizioni nelle quali Sita è tenuta prigioniera.
28. Dopo la sua espulsione da Lengka, Wibisana si unisce a Rama al quale fa giuramento d’alleanza.
29. Rama ordina all’armata delle scimmie di costruire un ponte che scavalchi il mare per poter raggiungere l’isola di Lengka.
30. Terminato il ponte, Rama, Laksmana e l’armata delle scimmie si precipitano su Lengka. Infuria la battaglia contro l’armata dei demoni e Rawana è sconfitto. Rama ritrova infine Sita sana e salva.

IL WAYANG WONG DI BALI
di Giovanni Giuriati

A Bali, piccola isola dell’arcipelago indonesiano separata da Giava da uno stretto di poche miglia marine, musica, danza e teatro hanno avuto uno sviluppo unico strettamente collegato alla religione indù ancor oggi osservata dalla popolazione assieme a locali culti degli antenati. La rappresentazione è qualcosa di sacro offerto alle divinità e allo stesso tempo ha cadenza pressoché quotidiana. In ciascun villaggio operano uno o più orchestre (gamelan) che eseguono musica nei giorni di festa. Tra questi villaggi, Telepud, situato al centro dell’isola, alle pendici del vulcano Batur, è conosciuto per la sua troupe di wayang wong, una delle tre rimaste ancor oggi attive nell’isola.
Il wayang wong è una delle forme più antiche del teatro balinese che sembra risalga al quindicesimo secolo quando i re giavanesi introdussero nell’isola la corrispondente forma del wayang orang in uso nelle loro corti. Si tratta di una rappresentazione danzata con maschere che ha per soggetto principale storie tratte dal Ramayana. Nella tradizione balinese questo poema epico indù è stato adattato al gusto e alla cultura locale. Significativo elemento caratteristico autoctono è la presenza di clown che commentano comicamente gli eventi. I due servitori di Rama, Tualen e Merdah e quelli di Ravana, Delem e Sangut sono figure importanti della rappresentazione in quanto parlano la lingua popolare balinese, al contrario degli altri personaggi (principi, demoni) che usano la antica lingua letteraria, incomprensibile alla maggioranza degli spettatori. La loro parte, largamente improvvisata, ha la funzione di adattare e spiegare i contenuti tradizionali della rappresentazione e di introdurre riferimenti satirici legati all’attualità.
L’orchestra gamelan che accompagna la rappresentazione è formata da metallofoni intonati di diverse dimensioni e registri. Caratteristica della musica balinese è la vivacità ritmica e l’uso frequente di contrasti fra piani sonori. Direttore dell’orchestra è il suonatore di tamburo che, attraverso appositi segnali convenzionali, coordina l’esecuzione musicale con gli eventi danzati. Egli indica all’orchestra i cambiamenti dinamici o quando passare a un’altra melodia, seguendo e accompagnando in ciò l’azione danzata che si svolge sulla scena. Due cantanti eseguono la parte dialogata al posto dei danzatori con maschera.

Crediti

Ensemble Wayang Wong di Telepud
Musica eseguita dal vivo da un’orchestra gamelan
Produzione Festival di Avignone in collaborazione con la Caisse des Dépôts et Consignations