Il mistero di Aziza
Musica Aziza Mustafa Zadeh
Interpreti Aziza Mustafa Zadeh (pianoforte e voce)
Durata 90 minuti
Figlia di una cantante e di Vagiv Mustafa Zadeh, tra i più celebri pianisti jazz dell’ex-Unione Sovietica, Aziza Mustafa Zadeh si è imposta prepotentemente sulla scena internazionale con una personalissima miscela di jazz e mugam, la musica tradizionale del suo paese d’origine, l’Azerbaijan: il risultato, che lei stessa definisce ironicamente muezzin scat, realizza un incontro fecondo tra cultura orientale ed occidentale, in linea con lo spirito di questa edizione del festival dedicata alla contaminazione ed all’intreccio di retaggi artistici all’apparenza distanti. Il concerto, che la vede esibirsi alla voce ed al pianoforte, per la prima volta a Roma, ripercorre soprattutto i brani degli ultimi album (The Seventh Truth e Dance of Fire, quest’ultimo realizzato con musicisti del calibro di Stanley Clarke, Bill Evans, Al Di Meola), grazie ai quali, oltre ad una crescente notorietà, ha guadagnato dalla critica paragoni con mostri sacri come Keith Jarrett o Chick Corea.
IL MISTERO DI AZIZA
di Valerio Cappelli
Aziza Mustafa Zadeh appartiene alla tribù di pianisti che attraversano i generi e contaminano i linguaggi. Il capostipite è Frederich Gulda, ma mentre lui è partito da Mozart per approdare al jazz, altri hanno compiuto il cammino inverso, come Keith Jarrett, che si è spinto fino alle Variazioni Goldberg di Bach, e adesso Chick Corea che il 30 agosto [1996, n.d.r.] a Ravello suonerà un Concerto di Mozart. Ma Aziza è la prima donna che procede a zig zag sulla tastiera. Robusti studi classici alle spalle, ha 26 anni, è figlia di una cantante jazz e di Vagiv Mustafa Zadeh, uno fra i più conosciuti pianisti jazz dell’ex impero sovietico, scomparso nel ’79 quando lei aveva appena nove anni. Nel 1990 ha debuttato in Europa e subito sono scattati i paragoni con i Jarrett e i Corea.
Sì, è vero: l’arte di Aziza, come quella dei Grandi Contaminatori che l’hanno preceduta, prende le mosse da un grumo di note che si accavallano e si snodano in un pulsare ritmico “anarchico”, e si sciolgono in una cavalcata libera e selvaggia. Ma in Aziza c’è il profumo orientale della sua terra d’origine, l’Azerbaijan. C’è il brillante colorismo pittorico e il gusto cromatico di Rimskij-Korsakov. C’è il languore molle della sua regione, contesa per duecento anni, accarezzando il 1600, tra persiani e turchi, fino a quando fu ceduta ai russi. C’è una sensualità controllata, una carnalità priva di carne. Aziza sembra evocare con la sua voce che accompagna il pianoforte (altro tratto che la distingue dagli altri contaminatori) antichi canti popolari. La pianista si produce in uno scat di sapore mediorientale, quel sillabare privo di senso, scelto per gusto ritmico caro a Ella Fitzgerald. E perfino il suo nome, Aziza Mustafa Zadeh, richiama alla mente mondi lontani, fiabeschi, immaginari. Il paesaggio sonoro sorvola il massiccio armeno che lambisce le sue radici, e si apre in un lirismo elaborato. È un ritmo intermittente, che scorre alla chetichella, imbocca vie laterali e d’un tratto rallenta, si gonfia di musica e parte come una vela per l’eldorado orientale.
Il piccolo mistero di Aziza è racchiuso in una musica semplice, elementare a volte, eppure complessa. Il risultato è quello di un suono molto “cercato”, con risonanze primitive e tribali, agli antipodi della facile naturalezza, anche se lei ostenta uno spontaneismo lontano da soluzioni folk troppo scontate. Sembra insomma una semplicità conquistata. D’altra parte non poteva prescindere dall’incombente linfa artistica familiare. Ma Aziza rivela di essere stata egualmente influenzata da una schiera di santoni come Dizzy Gillespie, Miles Davis, McCoy Tyner, Wayne Shorter.
È la prima volta di Aziza Mustafa Zadeh a Roma [1996, ndr.]. Sarà interessante vedere come ha reagito alle alterne critiche ricevute al debutto nel nostro paese, a Umbria Jazz nel luglio 1995: talento sicuro, tecnica invidiabile ma non al servizio di un progetto musicale coerente. C’è stata una seconda nota falsa, seguita ai prodigi del primo compact, che suona per Romaeuropa, quando, cedendo alle lusinghe dell’industria discografica, ha circoscritto il suo talento in un esotismo di maniera. Era in buona compagnia: Al Di Meola, Paco De Lucia, Bill Evans, Stanley Clarke, vecchie volpi del jazz (o del flamenco) innovativo. Ma era un progetto costruito a tavolino, privo di ispirazione autentica, e Aziza deve guardarsi dalle seduzioni dell’Occidente…
(in Catalogo Romaeuropa Festival 1996)