Con Loungta, les chevaux de vent, ultima monumentale opera equestre, Bartabas e Zingaro concludono a Roma (Ippodromo Tor di Valle dal 30 settembre al 19 ottobre 2005) una tournée che li ha portati per tre anni in giro per il mondo.
Fondata nel 1984 da Bartabas, la compagnia Zingaro (già proposta da Romaeuropa a Villa Borghese nel 1990) ha forgiato una forma di spettacolo del tutto nuova, dove è protagonista il cavallo. Body performance, musica e filosofia si fondono e danno vita a un mondo suggestivo e fiabesco.
Ma chi è Bartabas?
Jérome Garcin risponde:Lo conosco da tempo e lo ammiro da anni, ma non so ancora chi sia. Così poco uomo, così tanto cavallo. Pellegrino e gitano, scudiero di Versailles, sciamano della Siberia, Moliére salito in sella, capo di un circo, di una truppa, di scuderie, che non finisce mai di comandare, a margine del mondo reale, l’armata pacifica dei sogni. Ha inventato qualcosa che non esisteva, crea con le sue mani una bellezza effimera, non assomiglia a nessun altro, salvo che a se stesso e resta un enigma, che solo i cavalli sanno svelare?ma loro non parlano, se non agli dei. Nel suo sangue nomade c’è un po? di Rakasthan, un po’ di Georgia, un po’ di Corea, un po’ di Africa, un po’ del Kalaripayatt oggi vive a Aubervilliers, in una roulotte che non chiede altro che di essere spostata.
Dopo la Corea di Eclipse e il Rajasthan di Chimère, l’ultima creazione di Bartabas prosegue il suo viaggio artistico attraverso l’Oriente catturando le atmosfere rarefatte del Tibet. Il ritmo del nuovo spettacolo, Loungta, les chevaux de vent, è cadenzato secondo i cerimoniali del buddismo: accompagnato dai suoni e dalla musica tibetani, il genio di Bartabas entra nel misterioso ed esoterico universo del Tibet a cavallo di venticinque destrieri e, in compagnia di creature incantate, restituisce le suggestive immagini del Tetto del mondo.
Forza e generosità di un popolo mistico ed avventuroso sono restituite anche grazie a dieci monaci provenienti dal collegio tantrico di Gyuto, che intonano le proprie musiche liturgiche. Con loro Bartabas ha costruito lo scenario sonoro e spirituale dello spettacolo: il loro canto, voix de buffles, dà vita ad un rituale magico che resuscita antichi miti e affascinanti demoni a cavallo, lanciati in acrobazie che sfidano la forza di gravità. Il soffio del Tibet, con i suoi ritmi, le sue danze, le maschere, i simboli, i canti, avvolge la scena con immagini ora lievi, ora oniriche e meditative, morbide visioni impreviste, sfilate ultraterrene, che hanno il potere di portare alla luce anche l’invisibile.
E una carrellata di cavalcate sfrenate è l’apoteosi di uno spettacolo intenso e ricco di emozioni che affascina e rapisce il pubblico in ogni istante con la magia di un viaggio fuori dal tempo.
Loungta si svolge all?interno di un ampio tendone, dove il pubblico entra nella semioscurità percependo nella penombra forme in movimento. L’aria è satura d’incenso. Due gruppi di monaci buddisti, raccolti sulle gradinate, emettono le cosiddette voix de buffles con la tecnica del canto di fonico che permette di esprimere simultaneamente due suoni distinti.
Al centro della pista, ricoperta di terra color ocra, un emisfero trasparente gira intorno ad un asse invisibile lasciando intravedere un gruppo di cavalli bianchi. Un cavaliere solitario, con passo solenne, si muove attorno.
Questo l’inizio di Loungta, les chevaux de vent, ottava avventura della compagnia Zingaro. Lo spettacolo evoca la nascita, la morte e la reincarnazione secondo il Bardo Todol, il libro dei morti tibetano, al suono degli straordinari monaci cantori di Gyuto, allontanati dalla loro terra ma garanti delle tradizioni. I loro suggestivi strumenti aprono le porte al sogno, mentre i corpi agili dei cavalieri danzano sui cavalli. E così, in una successione di magnifici tableaux, si incrociano sciamani in trance, scheletri al galoppo, creature mascherate e una cavallerizza seguita da un corteo di oche, liberando nel finale una cavalcata sfrenata che è il più intenso omaggio che Bartabas potesse rendere al Tibet.
La musica ha un ruolo fondamentale ed è il vero centro di gravità dello spettacolo: una vibrazione profonda che conduce alla meditazione coinvolgendo il pubblico, i cavalli, e di ritorno i monaci.
Così si compie l’incanto: uomo e animale, spirito e corpo, sacro e profano, oriente e occidente si fondono.
Foto © Piero Tauro