La frontière racconta il viaggio di Anne, che attraversa una terra di confine devastata dalla guerra alla ricerca di un uomo misterioso. È il medesimo spirito che percorre Light in August, il romanzo di William Faulkner: La frontière è un crudo e amaro viaggio immerso nella follia della guerra, una discesa al cuore di tenebre del passato per sopravvivere al presente, andare oltre e scoprire chi siamo e dove siamo diretti.
Messa in musica da Philippe Manoury per i musicisti dall’Ensemble Ictus (fra le formazioni più prestigiose d’Europa) e diretta da Yoshi Oïda, La frontière canta la sua malinconia ed un irriducibile bisogno di vivere al di là di tutto, è una preghiera fra le stelle e un orizzonte nascosto dall’odio e l’egoismo, una sinfonia d’umanità e redivivo amore.
“PER PARLARE DI PACE HO ELABORATO IL SUONO DELLA GUERRA”
a cura di Leonetta Bentivoglio
Le lacerazioni di una guerra per parlare di pace. Storie di ferite interne e esterne. Solchi che minano culture e esistenze. La ricerca di un suono che definisca la guerra come realtà musicale. Da questi spunti nasce La frontiére, l’opera di Philippe Manoury […]. Creatore molto eseguito nel mondo, didatta illustre e ricercatore accanito delle possibilità elettroniche, il cinquantunenne Manoury è il massimo compositore francese della sua generazione. “La frontiére narra il viaggio di Anne, che cerca la propria identità traversando una terra di confine devastata dalla guerra”, spiega il musicista. “L’ispirazione giunge dal libro di Faulkner Luce d’agosto, embrione su cui si è sviluppato il testo grazie a un lavoro molto particolare”.
Può raccontarlo?
Col regista Yoshi Oïda, che ha collaborato con Peter Brook, abbiamo proposto agli attori di Brook d’improvvisare monologhi liberi a partire dal tema centrale, la frontiera. Dal workshop è nato il libretto scritto da Daniela Langer. Quegli attori non partecipano però allo spettacolo: ci hanno solo aiutato a tessere la trama
Che musica ha composto per l’opera?
Lo spirito del progetto è barocco. Non nel senso di stile musicale, ma in quello di meccanismo. Non c’è direttore d’orchestra, come in Monteverdi. Alain Planès, che firma la direzione musicale, suonerà il pianoforte, guidando gli strumentisti dell’Ensemble Ictus e sei cantanti, tutti in scena. Sonorità elettroniche, in tempo reale, sono scatenate dal pianoforte connesso a un ordinatore. Circondato da altoparlanti, il pubblico è immerso nei suoni. La presenza della guerra è concreta in partitura: colpi di fucile, camion, cannoni…
La regia di Oïda?
Tende all’astrazione, senza elementi naturalistici né pesantezze scenografiche. La nostra è una produzione indipendente, concepita per viaggiare, sul modello dell’Histoire du soldat di Stravinskij: dunque agile, essenziale.
In che anni è ambientata La frontiére?
Ad inizio Novecento o a fine Ottocento. Lo segnalano echi di motori e altri suoni tipici di un’era industriale.
Qual è lo stato della creazione musicale in Francia?
C’è una forte tendenza al conservatorismo, mentre canali radiofonici come France Musique e France Culture diventano sempre più commerciali.
Si assiste a un declino della sperimentazione?
Nella storia si oscilla tra momenti radicali, come quello di Darmstadt per la musica, o del nuovo romanzo in letteratura, e altri di reazione estrema. Ora siamo nel secondo guado, assediati da neoromantici e neotonali, mentre la tradizione classica è pericolosamente assimilata alla musica di varietà.
Niente di positivo sotto il sole?
Ci sono giovani compositori interessanti. Ma il loro background non è istituzionale. Arrivano da formazioni “altre”, come il rock e la musica elettronica, e i loro orizzonti sono individuali e selvaggi, molto meno strutturati rispetto a quelli della mia generazione.
(Leonetta Bentivoglio, Manoury: “Per parlare di pace ho elaborato il suono della guerra”, la Repubblica, 10 ottobre 2003)
LA FRONTIÈRE
Teatro Palladium, 15 ottobre 2003 LA FRONTIÈRE IN SINTESI
di Francesco Di Giovanni
Una giovane donna avanza nella sua marcia dignitosa, con un piccolo sacco sulla spalla: non sappiamo da dove sia partita né dove sia diretta, mentre il suo viso è lambito da un vento estraneo ed ostile.
Stanca, arriva davanti ad una casa in rovina: lì una vecchia, energica e sgradevole, sta osservando con diffidenza due uomini che le riparano svogliatamente dei muri, scambiandosi battute e risate volgari.
La ragazza entra, a disagio ma determinata. Chiede all’anziana notizie di un uomo, l’uomo che lei sta cercando: la donna le risponde amara che lui adesso è lontano, oltre la frontiera. E le confida, in disparte da due invadenti carpentieri, che quell’uomo è suo figlio, fuggito per motivi che lei non conosce. E che di lui non ha più notizie.
La ragazza s’incammina in un bosco, verso la frontiera, mentre intorno le s’addensano suoni inquietanti: e si ritrova in piena zona di guerra, fra scoppi e grida lancinanti.
Nella foresta incontra un giovane che sta fuggendo, un disertore probabilmente. Mentre lei ha abbandonato la città per immergersi nella foresta alla ricerca del suo uomo misterioso, quel ragazzo è fuggito dall’altra parte del confine per perdersi nella folla della città. I due ragazzi si attraggono, in un gioco di seduzione che li spinge l’uno nelle braccia dell’altra: ma lei, colta da un oscuro presentimento, non cede alla passione e si addormenta al fianco del suo nuovo amico.
Il mattino seguente si sveglia, sola. Si rimette in marcia, turbata dal ricordo del giovane e dalla foresta che l’avvolge sempre più minacciosa ed angosciante.
Ad un tratto la ragazza s’avvede della presenza di due uomini, poco distanti. Li riconosce: sono gli stessi che ha visto nella casa dell’anziana donna. Parlano di ritrovare le tracce di un giovane in fuga, per ucciderlo. Lei intuisce che si riferiscono al ragazzo con cui ha trascorso la notte e le sfugge un grido di terrore. I due banditi la scoprono, mentre una tempesta si abbatte su di loro: vogliono abusare di lei, ma la ragazza riesce a fuggire e raggiunge una vecchia capanna nel cuore della foresta.
Al suo interno c’è solo una brace ancora ardente: lei si lascia andare sul letto, spossata, mentre il suo sonno è turbato dalle immagini del giovane fuggitivo massacrato dai due criminali. Ma è soltanto un sogno?
Un uomo, stanco e logoro, entra nella sua capanna, stupito dalla vista della ragazza distesa nel suo giaciglio. L’uomo rovista diffidente nella sacca della giovane donna e vi trova una lettera: è rivolta proprio a lui…
Crediti
Musica Philippe Manoury
Libretto Daniela Langer
Regia Yoshi Oïda
Pianoforte e direzione musicale Alain Planès
Ensemble Ictus: Romain Bischoff (Baritono), Doris Lamprecht (Contralto), Vincent Le Texier (Basso), Virginie Pochon (Soprano), Nigel Smith (Baritono), Robert Expert (Controtenore)
Live electronics IRCAM-Parigi
Assistente alla regia Lorna Marshall
Scenografia Thomas Schenk
Luci Jean Kalman
Costumi Ysabel De Maisonneuve
Assistente musicale Serge Lemouton
Direzione vocale Jean-François Ballévre
Ingegnere del suono Alexandre Fostier
Creazione Automne 2003 à Orléans
Commissionato da Scène Nationale d’Orléans nell’ambito dell’attività di Philippe Manoury al Carré Saint-Vincent nel 2002/3/4
Produzione Carré Saint-Vincent-Scène Nationale d’Orléans
Co-produzione Festival Musica de Strasbourg, Festival d’Ile de France/Instant Pluriel – Théâtre des Bouffes du Nord, Comédie de Clermont-Ferrand/Centre Lyrique d’Auvergne, Arsenal de Metz, Ircam/Centre Pompidou
Con il sostegno di Fondation France Télécom, Fonds de Création Lyrique, Adami, Spedidam
Realizzazione a Roma Accademia di Francia, Romaeuropa Festival 2003 con il sostegno del Réseau Varèse nell’ambito di Culture 2000 per le rappresentazioni a Strasbourg (Festival Musica) e a Roma (Festival Romaeuropa).
Produzione esecutiva Instant Pluriel