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Opera-balletto basata su Fedra di Jean Racine
Villa Medici - Piazzale
14 giugno 1986
25romaeuropa.net

Sylvano Bussotti

Le Racine qu’un corps défiguré


Photo © Piero Tauro
Le Racine qu’un corps défiguré

Realizzata inizialmente per la Piccola Scala di Milano nel 1981, l’opera di Sylvano Bussotti è riproposta in una nuova veste e con l’aggiunta, alla sola partitura per pianoforte, di una nuova orchestrazione per cinque strumenti, affidata ai solisti dell’Ensemble Itinéraire.
Lo spettacolo, che ha inaugurato l’edizione 1986 del Festival, trova nel mito di Fedra un perfetto anello di congiunzione tra passato e presente, capace di saldare antichità classica e ascendenze barocche, fino alla sperimentazione contemporanea. Bussotti ed il regista Pierre Barrat hanno infatti trasformato l’eroina tragica, che si uccide per amore (non corrisposto) del figliastro Ippolito, in un’attrice della Comédie Française che abita in un vecchio albergo dai muri cadenti in compagnia del direttore e dell’impresario della compagnia. In questa ambientazione, l’arrivo di una troupe di ballerini, tra cui un algido e bellissimo Ippolito, innesca nuovamente il dramma dell’innamoramento e del rifiuto, fino al suicidio per avvelenamento che la protagonista compie recitando proprio i versi della scena della morte di Fedra. Ma poiché il passato classico è rivisitato dallo spirito barocco, per un intricato gioco di specchi, il direttore della compagnia non solo ha nome Racine, ma, è egli stesso invaghito del ballerino, fino al punto di arrivare a travestirsi da Fedra per esprimergli la sua passione.
Di grande modernità, nella ricerca drammatica e musicale e nella pratica di una vitale contaminazione, l’opera di Bussotti si conferma uno degli omaggi più coerenti della scena contemporanea allo spirito del barocco, dove travestimenti, ribaltamenti, perdita di saldi punti di riferimento aprono la strada alle più sperticate sperimentazioni tendenti ad arginare, con l’acume dell’intelligenza, l’inquietudine dell’uomo seicentesco.

Rassegna stampa

“La scelta del lavoro bussottiano era in qualche modo pertinente ad ambedue i contenuti del Festival, dedicato alla musica dell'”epoca del basso continuo” (Barocchi) e a quella, soprattutto la più recente, del Novecento (Tendenze). Infatti, in Le Racine, Bussotti riveste di suoni organizzati secondo le tecniche moderne (a partire da quella dodecafonica) una vicenda che si ispira liberamente alla figura di Racine e alla sua tragedia, Fedra: e si sa che i versi del poeta francese del Seicento furono presi come punto di riferimento dai suoi connazionali per la creazione del melodramma nazionale francese, la tragédie-lyrique”.
(Alfredo Gasponi, Tra finzione e realtà, Il Messaggero, 16 giugno 1986)

“Per Barrat, e anche per Bussotti, i momenti nevralgici di Le Racine sono scene di confessione di desideri erotici negati, che possono trovare soluzione soltanto nella morte. L’itinerario drammaturgico di Le Racine gioca sui travestimenti e sui significati simbolici rapportati alla tragedia raciniana, rivissuta secondo un codice di lettura che riannette a sé l’essenza stessa della tragedia della tradizione classica francese e dei suoi atteggiamenti, mentre scatena tutta la fantasia teatrale di Bussotti, raffinata e narcisistica”.
(Luigi Bellingardi, Fedra al Grand Hotel, Corriere della Sera, 17 giugno 1986)

“C’è in questa opera-balletto qualcosa che corrode l’antico mito e lo sgretola, così come il tempo va mandando in rovina il vecchio hotel. Il grosso dell’opera, per quanto riguarda la musica, sta nella presenza del pianoforte nel salone dell’albergo, il cui suono è quasi sempre spavaldo, aggressivo, estroverso (solo per un momento indugia in climi più assorti, quando la morte stende la sua mano), riluttante, diremmo, a qualsiasi scivolata melodrammatica Il canto si aggrappa a linee spezzate, nervose, oscillanti tra intervalli “impossibili”. All’edizione del 1981 con solo pianoforte, Bussotti ha ora aggiunto alcune altre fonti sonore: viola, oboe, fagotto, trombone, percussioni, che accentuano, però, il distacco dei suoni dal pathos della vicenda che risulta estranea, così come estraneo è il tempo che consuma le cose o il mare che sfigura un corpo”.
(Erasmo Valente, Fedra è scesa al Grand Hotel, l’unità, 17 giugno 1986)

“Il regista dello spettacolo di Villa Medici, Pierre Barrat, ha ingentilito e nobilitato tutta la vicenda. Niente piano bar, niente marchette, niente dannazioni alla Genet, ma un lussuoso albergo della Riviera in disuso, nei cui saloni, come fantasmi, si aggirano un’attrice tragica, un coreografo (Fedra e Racine) e altri personaggi. Lo spettacolo acquista pulizia visiva, classicità di gesti, ma perde proprio quello sporco di scena ingombra, confusa, e in realtà calcolatissima, che era il fascino della regia di Bussotti”.
(Dino Villatico, Pur di amare Ippolito Racine diventa Fedra, la Repubblica 17 giugno 1986)

Crediti

Musica e libretto Sylvano Bussotti
Direzione Massimo De Bernart
Studi musicali Dominique My
Regia Pierre Barrat
Coreografia Michel Hallet Eghayan
Assistente Thierry Roisin
Scenografia Jean Bauer
Costumi Dominique Borg, assistita da Calude Mabele e Etienne Couleon
Luci Hervé Gary
Interpreti (cantanti) Irène Jarsky, André Battedou, Giancarlo Luccardi, Jacques Bona, Jay Gottlieb
Interpreti (danzatori) Stéphane Boyenval, Jean Christophe Bacconnier, Antoine Raulin, Jocelyn Castry
Ensemble Itinéraire Jay Gottlieb (pianoforte), Florent Haladjian (percussioni), Philippe Monnier (fagotto), Philippe Roy (oboe), Patrick Sabaton (trombone), Gérard Wilgowicz (alto)
Produzione Atelier Lyrique du Rhin