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d'Annunzio su Cabiria
Orto Botanico
4, 5 luglio 1988
25romaeuropa.net

Giovanni Pastrone

Cabiria


In occasione del cinquantenario della morte di d’Annunzio, Romaeuropa ha proposto la proiezione di Cabiria, capolavoro di Giovanni Pastrone e primo, vero kolossal italiano, che fece il giro del mondo e contribuì a suo modo a sdoganare il cinema come forma espressiva autonoma e intellettualmente degna. Il reale apporto del Vate, malgrado il grande battage pubblicitario dell’epoca legasse il suo nome all’opera come se ne fosse l’autore tout court, si limitò alla nuova stesura delle didascalie in un impareggiabile stile magniloquente ed al coinvolgimento del compositore Ildebrando Pizzetti: porta infatti la firma di quest’ultimo la Sinfonia del fuoco, che accompagna la memorabile sequenza dei sacrifici umani al dio Moloch, mentre il resto della partitura fu completata da Manlio Mazza, suo allievo che diresse anche l’orchestra nella prima del film al Teatro Vittorio Emanuele di Torino, il 18 aprile del 1914.
Ad eseguire la musica originale del film, presentato in una copia restaurata con i viraggi originali a partire da quella donata da Pastrone al Museo del Cinema di Torino, è l’Orchestre National d’Île-de-France diretta da Jacques Mercier, che già nella precedente edizione del festival (1987) aveva accompagnato un’altra pietra miliare del cinema, Intolerance di D.W. Griffith.

GABRIELE D’ANNUNZIO SU CABIRIA

Il terzo secolo A.C., l’epoca storica di cui qui sono raccolte e collegate in una finzione avventurosa alcune grandi immagini, reca forse il più tragico spettacolo che la lotta delle stirpi abbia dato al mondo. Gli eventi e gli eroi sembrano operare secondo la virtù del fuoco infaticabile. Il soffio della guerra converte i popoli in una specie di materia infiammata, che Roma si sforza di foggiare a sua simiglianza. La fortuna avversa – come si vede nell’irruzione di Annibale “nato in tutt’arme” – sembra non cancellare ma sì approfondire l’impronta tremenda. La pace che sarà romana su l’intero Mediterraneo è ancora un vanissimo nome nella bocca stessa di Quinto Fabio. Simile a quella sua toga rude, l’anima di Roma non è gonfia se non di volontà ostile e intrepida. Nessuna energia naturale eguaglia in ritmo irresistibile la possanza e la costanza dell’urbe fondata dall’eroe selvaggio in cui lo spirito violento del marte italico si congiunge all’afflato misterioso della vesta orientale.

Qui è il conflitto supremo di due stirpi avverse, condotte veramente dal genio del fuoco “che tutto doma, che tutto divora. Sire possente di tutto, artefice sempiterno”. Per ciò la creatura inconsapevole, che passa incolume a traverso l’ardore dei fati, è nomata Cabiria, con un nome evocatore dei demoni vulcanici, degli operai ignoti e occulti i quali travagliano senza tregua la materia dura e durevole. Per ciò è qui la visione dell’isola ardente che la mano erculea della gente dorica sembra aver foggiato nel tipo della compiuta grandezza. La montagna, che fu mistico sepolcro di Empedocle, segna qui il ritmo iniziale: di vita e di morte, di creazione e di distruzione, di splendore e d’oscuramento.

Casi prodigiosi, straordinarie fortune, fulminee ruine. La virtù dell’uomo pare senza limiti, da che il Macedone ha superato Ercole e Bacco, il Semidio e il Dio. La forza procede per salti formidabili, belluina e divina; non toccando la terra se non a moltiplicare il suo impeto. La sentenza di Pirro dall’elmetto ornato di corna d’ariete non è se non una parola d’oracolo sospesa sul mondo. “A chi il retaggio? Al ferro che meglio trapasserà, che meglio taglierà”. Dunque alla corta larga e aguzzata spada romana.

Ed ecco, si compie ciò che non mai fu veduto in terra, che non mai fu scritto negli annali: una grande civiltà umana crolla intieramente, d’un tratto, con i suoi idoli mostruosi, con i suoi valori antichi e nuovi, con la sua tristezza e con la sua cupidigia, con la sua volontà di dominio senza pazienza, con la sua smania d’avventura senza eroismo, crolla d’un tratto come una falsa stella che precipiti non lasciando se non un poco di fumo e di scoria. Il periplo di Annone, qualche medaglia corrosa, alcuni versi di Plauto: non altro resta del vasto e atroce mondo cartaginese.
Le ceneri dei fanciulli arsi nel bronzo insaziato di Moloch furono forse meno labili.
“Or chi canta le guerre puniche?” dice il finale epigramma di sapore anacreontico, accompagnato dal flauto di Pan. E sole le faville della fiaccola di Eros indomito ora crepitano nella scia della nave felice.

Rassegna stampa

“Com’è abbastanza noto, Pastrone aveva scritto e girato tutto, quando gli parve che nell’opinione di allora un film sarebbe sempre rimasto un film, cioè una cosa vile e trascurabile, senza l’avallo di una grande firma. Forte di una sua naturale intraprendenza e di molto denaro, il torinese osò presentarsi da Gabriele per chiedergli la “traduzione in dannunziano” di nomi e didascalie. D’Annunzio, che in seguito coinvolse nell’operazione Pizzetti, aveva sempre bisogno di quattrini e quindi accettò di fingersi padre di una creatura non sua. Si concesse anche per amore dell’arte veloce delle immagini, alla quale presagiva, contro la maggior parte degli intellettuali, uno stupendo avvenire.
Con il trionfo di Cabiria, grazie allo sponsoraggio del Comandante, il cinema fece un enorme balzo avanti e si affermò come linguaggio del mondo moderno. È giusto riconoscere all’esiliato di Arcachon questo coraggio della novità, nato dalla sfrontatezza del suo lato mercenario; ma anche dalla spregiudicatezza di un intellettuale-guida che non sdegnò il gemellaggio artistico con un ragioniere. Tra tutti gli omaggi, spesso acidi e ingenerosi, rivolti a Gabriele d’Annunzio mezzo secolo dopo la morte, la proiezione di Cabiria nell’Estate Romana è il più schietto e oggettivo riconoscimento che si poteva immaginare. Aiuta a scoprire, dietro le mille trasformazioni del Mascheraio, il volto di un artista attento alla realtà disponibile e (sorpresa! Ma la scoperta di questo profilo dannunziano è destinata ad allargarsi) irresistibilmente simpatico”.
(Tullio Kezich, D’Annunzio cineasta, la Repubblica, 7 luglio 1988)

“Il contratto con d’Annunzio fu firmato il 30 giugno 1912 e la sola modifica autografa del poeta al soggetto fu il titolo La vittima eterna, che sostituì Il romanzo delle fiamme. D’Annunzio scrisse le didascalie e diede il nome ai personaggi: Cabiria, Maciste, Croessa, Badastoret, Kartale. Fu dalla “prima” avvenuta a Torino il 18 aprile 1914 che Cabiria iniziò il suo viaggio in Italia e nel mondo. Nella notte della “prima” romana fu scelto l’aviatore triestino Giovanni Vidner per lanciare dall’alto i volantini pubblicitari. Si favoleggiò in seguito (ma in parte è vero perché il “Moving Picture World” scrisse: “Questo è il giorno dei nuovi maestri. Siamo testimoni di un nuovo stile nella drammaturgia cinematografica”) che anche De Mille e tanti altri “moguls” hollywoodiani si fossero ispirati a Cabiria per i loro kolossal. In realtà, Giovanni Pastrone, il grande “ragioniere, artigiano e artista” di Asti era convinto che il cinema fosse anche un’industria e in questa direzione si muoveva da anni anche per battere il suo “avversario” Enrico Guazzoni, il regista di Quo Vadis? (1912), un film che avrebbe influenzato Griffith e che spinse Pastrone a fare di più e meglio”.
(Giovanna Grassi, Cabiria, “regina” del muto, Corriere della Sera, 4 luglio 1988)

“L’atmosfera era quella giusta. Una calda notte romana con un pezzetto di luna in cielo, un’insolita arena, e tanto pubblico raffinato che, nel secentesco giardino dell’Orto Botanico sulle pendici del Gianicolo, ha applaudito lunedì sera il kolossal Cabiria.
Una rappresentazione straordinaria, tra la vegetazione secolare, con colonna sonora dal vivo dell’orchestra sinfonica Île-de-France diretta da Jacques Mercier, per il film muto che, realizzato da Giovanni Pastrone e datato 1914, ha come fiore all’occhiello le didascalie di Gabriele d’Annunzio. Poetici commenti “griffati” a sottotitolare scene epiche con folle oceaniche e fantasiose, mastodontiche scenografie in stile terzo secolo avanti Cristo rese più suggestive da un recente make-up.
Ma proprio lui, il vate per eccellenza, è stato l’invisibile ospite d’onore della serata, organizzata, nell’ambito del Festival Roma Europa ’88, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, dall’Associazione Amici di Villa Medici e dalla Regione Lazio.
Infatti tra i cinefili raccolti nell’anfiteatro, allestito per l’occasione e “senza rovinare neanche una foglia” dall’architetto Enrico Mastrangeli, (con 23 chilometri di tubi Innocenti, 16 mila giunti e 2 mila metri quadrati di Pino Russo) il parere era unanime: lode al poeta immortale, anche se con il sorriso sulle labbra”.
(Anna Maria Salviati, Le notti di Cabiria: ultimo venne il Vate, Paese Sera, 6 luglio 1988)

Crediti

Regia Giovanni Pastrone
Didascalie Gabriele d’Annunzio
Musica Ildebrando Pizzetti, Manlio Mazza
Ensemble Orchestre National d’Île-de-France
Direzione Jacques Mercier
Interpreti Lydia Quaranta (Cabiria), Umberto Mozzato (Fulvio), Bartolomeo Pagano (Maciste), Italia Almirante Manzini (Sofonisba), Gina Marangon (Croessa), Luigi Chellini (Scipione), Vitale De Stefano (Massinissa), Emilio Vardannes (Annibale), Alex Bernard (Siface), Ignazio Lupi (Albace), Enrico Gemelli (Archimede)
Realizzazione Festival Romaeuropa, Museo Nazionale del Cinema di Torino, Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, Dinamo Produzioni, Assessorato Turismo e Sport della Regione Lazio, Festival La Versiliana, Centro Culturale Francese di Palermo, Théâtre National de Chaillot