Un concerto inusuale, che recupera la tradizione dei Vespri Solenni con cui le basiliche romane rendevano omaggio ogni anno al loro santo patrono. Poiché gran parte delle partiture scritte per San Luigi dei Francesi, che festeggiava il 25 agosto, è andata perduta, il musicologo francese Jean Lionnet ha setacciato le biblioteche della capitale rinvenendo composizioni di diversa provenienza, opera di vari maestri di cappella della chiesa. Una volta riportate alla luce, il lavoro successivo è stato quello di tessere i diversi brani per ricreare un programma organico e completo dei Vespri originari, con la corretta alternanza di antifone, cantici e salmi. Le opere di Orazio Benevolo, Angelo Berardi, Stefano Fabri, Giovanbattista Ferrini, Francesco Foggia, Giuseppe Giamberti, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Luigi Rossi, tutti attivi nel XVII secolo, compongono dunque un grande affresco musicale barocco, reso ancora più suggestivo dalla cornice di San Luigi dei Francesi, dove due complessi vocali e due orchestre hanno ricondotto alla vita le complesse polifonie che contraddistinsero gli esiti migliori della musica liturgica secentesca.
VESPRI SOLENNI A S. LUIGI DEI FRANCESI
di Jean Lionnet
Durante il corso del XVI secolo l’applicazione del linguaggio musicale polifonico ai testi della liturgia cattolica era divenuto pratica corrente, almeno per le messe e gli uffici della domenica e dei giorni di festa. Le numerose composizioni di Palestrina e dei suoi contemporanei lo mostrano in maniera evidente.
Questa nuova esigenza, dunque, indusse ad una trasformazione generale delle “scuole di canto” o “cappelle musicali”, che avevano il compito di cantare regolarmente gli uffici nelle chiese e nelle basiliche romane.
Alla fine del XVI secolo si sviluppò inoltre la pratica della policoralità: nelle occasioni solenni, non ci si contentava più della polifonia tradizionale a quattro, cinque o sei voci, ma si disponevano due o tre cori a quattro o cinque voci su tribune separate, ciascuno con il suo piccolo organo che accompagnava i cantori realizzando il basso continuo.
Dal momento che l’organico delle cappelle “regolari” non permetteva tali dispiegamenti, si stabilì assai rapidamente l’uso di far ricorso a musicisti e a cantori di altre chiese, allo scopo di rinforzarlo nelle grandi occasioni.
Queste grandi occasioni potevano essere regolari, annuali ad esempio, e questo è il caso di tutte le feste dei santi patroni delle chiese di Roma, o della festa della loro consacrazione, o eccezionali, come ad esempio la vestizione religiosa di una signorina di buona famiglia in un monastero o la celebrazione di un avvenimento dinastico in una delle chiese nazionali.
Sia che fossero regolari sia eccezionali, queste grandi musiche, per le quali si doveva fare appello a musicisti “esterni” erano chiamate “musiche straordinarie”.
Il XVII secolo porterà alle estreme conseguenze il linguaggio policorale, arrivando al punto di giustapporre fino ad otto cori supplementari, ma introducendovi anche la novità della voce solista, accompagnata soltanto dal basso continuo e dallo stile “concertato”, con tutti gli effetti di contrasto e di eco che ne derivavano.
Lo svolgimento della “festa” comprendeva in generale tre “servizi” liturgici: i primi vespri, cantati il pomeriggio della vigilia, la messa solenne, cantata la mattina, ed i secondi vespri, il pomeriggio. Il maestro di cappella di S. Luigi dei Francesi sapeva bene che ogni anno, il 24 ed il 25 agosto, aveva l’incarico di organizzare questa musica “straordinaria”; aveva dunque tutto il tempo necessario per preparare le partiture che erano perlopiù dovute a lui. Ma, dal momento che doveva invitare una ventina di cantori, tre o quattro organisti, qualche strumentista, liutisti, violinisti, ecc., ed anche uno o due maestri di cappella, che battessero il tempo sulle tribune supplementari, i cui occupanti avrebbero avuto difficoltà a seguire le indicazioni del maestro principale, si era soliti domandare a questi illustri collaboratori di portare qualche salmo od antifona di loro composizione adatta alla cerimonia.
Il fatto stesso che la musica straordinaria comprendesse due vespri spiega l’importanza che questo ufficio stava acquisendo da un punto di vista musicale, dal momento che inoltre la sua organizzazione liturgica si prestava particolarmente bene ad una interpretazione musicale completa; tutti i testi previsti dal breviario, eccezion fatta per il capitolo e per l’orazione finale, dovevano esser cantati. I vespri solenni della Roma barocca, pur mantenendosi nel quadro della liturgia, tendevano a trasformarsi in grandi concerti spirituali. Il carattere straordinario di queste grandi musiche era peraltro assai relativo: se si considera che la maggior parte delle chiese e delle basiliche di Roma, compresi i monasteri, celebravano la loro festa patronale in questa maniera, si può calcolare che vi fossero almeno una quarantina di queste grandi musiche, ogni anno, nella città eterna. La banalizzazione del fenomeno, unita anche al gusto per la novità proprio dell’età barocca, ha dunque provocato la scomparsa quasi totale delle partiture che i maestri di cappella ogni anno preparavano per le loro musiche straordinarie.
Paradossalmente, inoltre, proprio nel momento in cui Roma vide una straordinaria fioritura musicale, l’editoria attraversò un momento di grave crisi che ovviamente favorì ulteriormente la scomparsa di questo patrimonio negli Stati Pontifici, e nel resto d’Italia.
Non esiste dunque alcuna edizione pubblicata di queste grandi musiche, ed i pochi pezzi superstiti in copie manoscritte ci sono giunti esclusivamente grazie a circostanze fortuite. Gli archivi della comunità francese di Roma hanno conservato tutti i documenti contabili di quest’epoca, e si sa, grazie alle ricevute di pagamento, che il maestro di cappella Antonio Maria Abbatini aveva fatto venire a S. Luigi, per la musica del 25 agosto 1660, trentasei cantori (oltre ai dieci “regolari”), tre organisti e tre organi, tre “violoni”, più quattro violini e tre liuti o arciliuti. Ma nell’elenco delle composizioni liturgiche dell’Abbatini a noi pervenute, non si trova alcun pezzo che abbia potuto servire a questa occasione.
Ciò che oggi a noi sembra incredibile, soprattutto se si tiene conto della consistenza di un tale organico, è il fatto che tali musiche non venissero mai provate prima del giorno dell’esecuzione; i documenti d’archivio e le testimonianze dei contemporanei sono concordi nell’affermarlo. Questa abilità eccezionale dei musicisti romani non mancò di suscitare l’ammirazione di Andrè Laugars, un musicista francese che si trovava a Roma tra il 1638 ed il 1639.
Il maestro di cappella responsabile della musica era teoricamente libero di chiamare chiunque desiderasse per partecipare alle musiche che aveva l’incarico di allestire, ovviamente nei limiti del budget che le autorità mettevano a sua disposizione. Questa libertà infatti si esercitava in una complessa rete di relazioni sociali, che avevano un’importanza rilevante.
In primo luogo, bisognava invitare un certo numero di cantori della cappella pontificia, dal momento che l’uditorio, in particolare i cardinali che venivano a S. Luigi, si aspettavano di trovarveli. Inoltre, era di regola far cantare un assolo al castrato di qualcuno di questi cardinali. In secondo luogo, il maestro di cappella poteva approfittare re di questa occasione per lanciare uno dei suoi allievi che riteneva degno di far carriera. Per il resto, in occasione del 25 agosto, si potevano vedere, a S. Luigi, i migliori cantori delle grandi chiese romane. Evidentemente, per delle semplici ragioni pratiche, il maestro di cappella tendeva a riunire ogni anno la stessa formazione, con gli stessi cantori, avendo trovato quella che a lui sembrava la più appropriata.
La collezione musicale della chiesa di S. Luigi dei Francesi è andata dispersa purtroppo all’epoca della Rivoluzione e dell’Impero. Anche se non ritengo che contenesse molte copie delle musiche eseguite il 25 agosto nel periodo in questione. Le sole composizioni scritte espressamente per la festa di S. Luigi che si sa aver fatto parte della collezione, sono quelle che Alessandro Melani aveva lasciato alla chiesa per disposizione testamentaria nel 1703. Sfortunatamente, tutti questi manoscritti sono scomparsi.
Per comporre il programma di questi vespri occorreva dunque trovare delle opere scritte dai maestri di cappella che avevano lavorato a San Luigi e che erano ancora attivi a Roma negli anni che ci interessano. I vespri del 25 agosto sono quelli di un santo confessore non pontefice. I cinque Salmi previsti dal breviario erano dunque i seguenti: Dixit Dominus, Confitebor tibi, Beatus vir, Laudate pueri Dominum, Laudate Dominum. Ogni salmo era ovviamente accompagnato dalla sua antifona, nell’ordine: Domine quinque talenta, Euge serve bone, Fidelis servus, Beatus ille, Serve bone.
Per i vespri solenni la liturgia prevedeva che l’antifona fosse ripetuta dopo il salmo; questa esigenza liturgica offriva l’occasione ai maestri di cappella di mettere in evidenza il valore degli strumentisti che avevano invitato per queste musiche straordinarie. Infatti, alfine di evitare una pura e semplice ripetizione, che inoltre andava contro il gusto corrente per la novità, l’antifona veniva ripetuta dagli strumenti. E proprio in questa pratica risiede la causa dell’evoluzione del linguaggio musicale utilizzato dai musicisti nella composizione delle antifone.
L’inno dei vespri era l’Iste confessor, l’antifona per il Magnificat l’Hic vir, ma sembra che in generale i musicisti preferissero utilizzare, anche per i secondi vespri, l’antifona Similabo eum, che il breviario indica per il Magnificat dei primi vespri.
Per cominciare la cerimonia, abbiamo scelto dei pezzi d’organo di Giovanbattista Ferrini, che aveva cominciato la sua carriera d’organista proprio in S. Luigi, dove fu attivo tra il 1619 ed il 1623. Fu poi spesso invitato come organista di rinforzo per il 25 agosto, e lo si trova indicato nelle liste di S. Luigi con il soprannome di “Giobatta della spinetta”. Ferrini morì a Roma nell’ottobre del 1674. Luigi Rossi, anch’egli organista di S. Luigi, dal 1633 sino alla sua morte nel febbraio del 1653, ha scritto una antifona, Domine quinque talenta, che è l’unico pezzo liturgico pervenutoci della sua produzione. È probabile che esso sia stato composto per S. Luigi e ci è dunque sembrato naturale eseguirlo in questa occasione.
Il salmo Dixit Dominus, per sei cori a quattro voci, è opera di Orazio Benevolo (Roma 1605-1672), maestro di cappella a S. Luigi dal 1638 al 1644. Figlio di un pasticciere francese di Chatillon-sur-Seine, certo Robert Venevot, che era emigrato a Roma verso la fine del XVI secolo, Benevolo vi si era affermato come uno dei maestri della policoralità, terminando infine la sua carriera come maestro di cappella della basilica di S. Pietro. Alcune delle sue grandi composizioni sono state salvate grazie all’interesse che suscitarono in certi teorici della musica delle generazioni successive, come Ottavio Pitoni e Girolamo Chiti, che le fecero copiare per poterle studiare e recare come esempio ai loro allievi.
Stefano Fabri (1606?-1657) seguì Benevolo a S. Luigi, dove rimase fino al giugno del 1650, al momento in cui la cappella della chiesa fu licenziata a causa della peste che colpì la città. Il salmo Confitebor per due cori, a cinque e quattro voci, ed il Magnificat, per quattro cori, sono due sue composizioni che provengono dalla collezione di manoscritti musicali della chiesa di S. Spirito in Sassia. Questa collezione è oggi smembrata tra diverse biblioteche romane. Tre anni dopo la morte di Fabri, suo cognato pubblicò a Roma un volume di salmi a cinque voci, di cui esiste un esemplare completo nella biblioteca di S. Luigi.
Per il salmo Laudate pueri Dominum, abbiamo scelto una partitura anonima conservata nella collezione musicale di S. Maria in Trastevere. Questa partitura, che risale certamente agli anni 1650-1660, è uno dei troppo rari esempi ancora esistenti di salmi con strumenti scritti durante questo periodo. Questa Partitura, per tenore solo, due violini, coro a quattro voci e basso continuo, è un esempio eccellente d’un genere che si svilupperà a Roma fino al XVIII secolo, ma di cui non ci è giunta quasi nessuna testimonianza.
La versione dell’inno Iste confessor che abbiamo scelto è quella di Palestrina, presa dalla nuova edizione di inni per i vespri fatta da Baldassarre Moretti ad Anversa, nel 1644. Essa corrisponde alla nuova edizione del breviario promossa da Urbano VIII. Questa edizione consacra, per così dire, la musica di Palestrina, almeno per ciò che concerne gli inni dei vespri, come musica ufficiale della Chiesa Cattolica Romana.
Per completare la collezione di antifone, abbiamo fatto, poi, una scelta tra quelle pubblicate da Giuseppe Giamberti a Roma nel 1650 e le copie manoscritte di Angelo Berardi. Quest’ultimo aveva completato la sua formazione musicale verso la fine degli anni cinquanta, e lo stile della maggior parte delle sue composizioni liturgiche, anche di quelle datate agli anni settanta, si accorda bene con quello delle altre opere. La sua collezione di manoscritti musicali liturgici ci è pervenuta pressoché intatta dal momento che egli stesso l’aveva legata, attraverso testamento, alla basilica di S. Maria in Trastevere, dove era maestro di cappella quando, nel 1696, morì.
Rassegna stampa
“Dopo secoli di silenzio i Vespri hanno risuonato nelle navate barocche di San Luigi dei Francesi. E sono stati proprio i pezzi composti nel ‘600 dai maestri di cappella della chiesa a riempirla nuovamente di note. I versetti di Orazio Benevolo o i salmi di Stefano Fabri hanno rivissuto i tempi d’oro cantati in latino e gorgheggiati in un gioco di rimandi tra soprani, contralti, tenori e bassi.
Un’ora e mezzo di spettacolo senza un attimo di sosta con due direttori d’orchestra: il primo davanti all’abside e il secondo abbarbicato sul pulpito a metà navata. Non un guizzo della scenografia già spettacolare, ma un’esigenza tecnica visto che solo così tutti i musicisti potevano seguire le direttive dei maestri.
Una ricostruzione perfetta dove si sono susseguiti salmi, antifone, orazioni e cantici. Sono state rispettate persino le parti non cantate, salmodiate da un prete. C’è stata solo qualche piccola “discrepanza”. I Vespri solenni a San Luigi dei Francesi erano celebrati il 25 agosto, in occasione della festa del santo. Inoltre la chiesa veniva tutta decorata da un artigiano chiamato il “festarolo”, venivano montate le tribune per accogliere i cori e il parroco faceva un grande bucato della biancheria della chiesa e preparava una colazione per i musicisti. Anche l’applauso scrosciante e prolungato di giovedì sera, nella speranza vana di riuscire a strappare un bis, probabilmente non c’era nella tradizione seicentesca”.
(Rosa Maria Attanasio, Il sortilegio dei Vespri, Il Messaggero, 23 luglio 1988)
“Il frutto delle scrupolose ricerche documentarie e delle scelte artistiche del musicologo francese Jean Lionnet si è tradotto l’altra sera nella riesumazione di un ideale concerto spirituale barocco di grande fascino, specialmente nella dimensione esecutiva che ha coinvolto quattro complessi specialistici (il Sagittarius, il Capriccio Stravagante, il Teatro Armonico e l’Orchestra Barocca Italiana) per un organico di poco superiore alla trentina di artisti, giovani e giovanissimi, disposti per lo più sul fondo e ai lati della navata centrale. Tutti, in realtà, solisti ma fusi perfettamente assieme da una preparazione eccellente e dalla musicalissima guida di Miles Morgan e dei suoi stretti collaboratori, Michel Laplénie, Skip Sempé e Alessandro De Marchi. […]
Tra i momenti di più viva suggestione, si ricordano l’Iste Confessor in gregoriano con versi alternati di Palestrina, il Dixit Dominus di Benevolo”.
(Luigi Bellingardi, Spirituale barocco, Corriere della Sera, 24 luglio 1988)
Crediti
Musica Orazio Benevolo (Salmo 109, Dixit Dominus), Angelo Berardi (Antifona, Euge serve bono; Antifona, Beatus ille servus), Stefano Fabri (Salmo 110, Confitebor; Cantico, Magnificat), Giovanbattista Ferrini (Preludio, Toccata), Francesco Foggia (Antifona, Salve Regina), Giuseppe Giamberti (Antifona, Simulabo eum), Giovanni Pierluigi da Palestrina (Inno, Iste Confessor, Canto Gregoriano con versi alternati), Luigi Rossi (Antifona, Domine quinque talenta), Francesco Severi (Introito, Deus in adjutorium), Anonimo romano (Salmo 112, Laudate pueri)
Ricerche e preparazione del testo musicale Jean Lionnet
Direzione musicale Miles Morgan, Michel Laplénie, Skip Sempé, Alessandro De Marchi
Ensemble Sagittarius, Capriccio Stravagante, Il Teatro Armonico, Orchestra Barocca Italiana
Solisti Patrick Aubailly, Laurent Bajou, Eric Belloc, Richard Berkeley-Dennis, Jay Bernfeld, Bruno Boterf, Jerôme Corréas, Eduard Denoyelle, Brian Feehan, Emmanuelle Gal, Andreana Galante, Myriam Gevers, Bettina Hoffman, Anne Lavandier, Cécile Le Bihan, Anne Lelong, Thierry Lepeltier, Marco Valerio Marletta, Riccardo Martinini, Ann Monoiyos, Philippe Pignon, Jean-Luc Rayon, Bruno Renhold, Noémi Rime, Rossana Rossoni, Jean-Claude Sarragosse, Corinne Sertillanges, Antoine Sicot, Perry Stone, David Simpson, Ryo Terakado, Michel Van Goethem, Kenneth Weiss, Furio Zanasi