Il Khon Tailandese è una forma di teatro-danza con maschere che vanta oltre 500 anni di tradizione e che rimane l’unica testimonianza tramandata dell’arte siamo-khmer. La fisionomia attuale degli spettacoli nasce dalla fusione, avvenuta negli anni trenta, di due stili diversi: quello femminile, eseguito dalle concubine del sovrano esclusivamente all’interno del palazzo reale, e quello maschile, eseguito in pubblico durante le grandi feste civili e religiose.
Settanta sono gli artisti del Balletto Classico Thai di Bangkok che nell’ambito del più ampio progetto incentrato sul Ramayana – il monumentale poema epico indiano protagonista anche delle rappresentazioni del Bali Wayang Wong e del Teatro delle Ombre della Malesia – fanno rivivere l’antica tradizione. La storia del principe Rama, declinata in diversi modi dalle varie culture del sud-est asiatico che se ne sono appropriate, è presentata dal Balletto Thai nella versione siamese del “Ramakien” che ne attenua gli aspetti mistici e filosofici a favore invece di quelli più spettacolari.
IL KHON THAILANDESE
di Giovanni Giuriati
Le origini del khon, teatro danzato con maschere, risalgono con tutta probabilità al XVI secolo, quando i Thai, discesi dalla Cina meridionale verso il sudest asiatico sconfissero il grande impero khmer e ne occuparono la capitale Angkor. Lo stile odierno adottato dal Balletto Classico Thailandese è il risultato di una fusione di due stili avvenuta negli anni Trenta: lo stile femminile eseguito esclusivamente nel perimetro del palazzo reale e lo stile maschile eseguito in pubblico.
Il khon è un teatro danzato nel quale alcuni personaggi (demoni e scimmie) indossano maschere. Ciascun personaggio è caratterizzato da un diverso colore: Hanuman, il bianco, Ravana giallo ocra. I costumi sono finemente ricamati, con fili d’oro e di argento intessuti su del velluto. Lo stile di danza thailandese ha sviluppato la tecnica delle articolazioni degli arti, particolarmente snodati, con un linguaggio simbolico delle braccia e della mani, simile alle mudras indiane, in cui a diverse posture corrispondono determinati sentimenti, emozioni, stati d’animo. Lo stile varia anche a seconda dei personaggi: raffinato ed elegante per i principi; forte e marziale per i demoni; stilizzazione di movimenti naturali per le scimmie.
La versione del Ramayana diffusa in Thailandia privilegia l’aspetto epico del mito, attenuando le componenti mistiche e filosofiche e adattando il testo a modi di sentire tipici della cultura siamese. Vi sono più versioni del Ramakien (Ramayana in thai), ma la più classica, che serve da riferimento al Balletto Classico Thailandese, è quella del Re Rama I, redatta nel 1807.
Nel khon si possono distinguere tre momenti differenti: narrazione cantata del testo del Ramayana con funzione simile al recitativo della nostra opera lirica; dialoghi cantati dal coro; scene di danza energica (battaglie, duelli) accompagnate dall’orchestra pi phat.
Strumenti principali dell’orchestra sono lo xilofono dal registro acuto (ranat ek), e di registro grave (ranat thum), due carillon di gong (mong) di registro grave ed acuto, uno o due oboi (pi nai), un tamburo a due membrane (taphon), due grandi tamburi (klong that) e i cimbali ching.
IL RAMAYANA E IL TEATRO DELL’ASIA SUDORIENTALE
di Giovanni Giuriati
Il Ramayana è, col Mahabharata, il più importante poema epico della letteratura indiana. Attribuito al poeta Valmiki, racconta in 7 libri e 24.000 distici la storia del principe Rama, incarnazione di Vishnu, che sconfigge le forze del male rappresentate dal re dei demoni Ravana. Rama, con sua moglie Sita ed il fratello Lakhsmana, vengono esiliati per 14 anni nella foresta. Sono sul punto di far ritorno alla loro città Ayodhia quando il re dei demoni Ravana, signore della città di Lanka, invaghitosi di Sita, la rapisce. Rama, aiutato da Laksmana e dall’armata delle scimmie comandata da Hanuman, la scimmia bianca, assedia Lanka sconfiggendo ed uccidendo Ravana e ritrovando sua moglie Sita.
Questa, in estrema sintesi la trama. Ma, al di là della storia, che sembra descriva, nelle modalità narrative proprie dell’epica, una effettiva guerra avvenuta tra gli arii provenienti dal nord e le tribù autoctone del sud dell’India, il poema è pieno di episodi che rafforzano valori e codici di comportamento sociale, morale e religioso della cultura indù.
A partire dal I secolo d.C. l’espansione commerciale indiana portò alla costituzione dei cosiddetti stati induizzati del sud-est asiatico. I più conosciuti sono forse l’Impero khmer della Cambogia che ha dominato la parte continentale del sud-est asiatico dal IX al XV secolo, del quale i templi di Angkor sono la massima espressione artistica, e il regno degli Sailendra a Giava (VII-IX secolo), durante il quale fu edificato il grande monumento buddista Borobodur. Più che di un’espansione militare, si tratta di una influenza che si espresse nel campo religioso e culturale. Parte di questa influenza è consistita nell’adozione delle storie del Ramayana e del Mahabharata, utilizzate in tutto il sud-est asiatico come fonte di ispirazione per rappresentazioni teatrali. Questi poemi epici, giunti in Indonesia, Cambogia, Thailandia, Malesia e Laos nella loro versione scritta (in sanscrito) e attraverso la tradizione orale dei cantori epici, sono stati modificati e reinterpretati secondo la sensibilità delle diverse culture delle quali sono divenuti parte e costantemente rappresentati nelle corti e nei villaggi nelle forme tradizionali del teatro danzato e del teatro delle ombre.
Nel sud-est asiatico le rappresentazioni teatrali tradizionali sono fortemente ritualizzate e considerate un’offerta alle divinità. Spesso sono eseguite in occasione di festival religiosi e nel perimetro dei templi. Le religioni del sud-est asiatico sono varie: islamismo, buddismo, induismo. Il teatro, pur contenendo elementi ispirati da queste religioni, si ricollega a un substrato animistico in cui predomina il culto degli antenati e di divinità del suolo diffuso in tutta la regione sin da epoca protostorica. Le ombre (ma anche i danzatori) rappresentano simbolicamente gli spiriti degli antenati tribali e la rappresentazione teatrale costituisce un modo di comunicare ritualmente con essi rafforzando codici sociali e culturali tradizionali. Frequente è, ad esempio, l’esecuzione, prima della rappresentazione, di appositi brani offerti alle divinità protettrici della musica e della danza affinché proteggano la rappresentazione che si sta per svolgere. Funzione importante del teatro è di tramandare e rafforzare i valori tradizionali della società: pietà filiale, onestà, fedeltà, gentilezza, pietà religiosa.
Teatro, danza e musica sono strettamente connessi. Raramente il teatro è parlato. I testi sono cantati e vi è un costante accompagnamento musicale dell’orchestra. Gli attori danzano sulla scena. Forme teatrali più diffuse e significative sono il teatro delle ombre ed il teatro danzato. Nel teatro delle ombre un maestro proietta su uno schermo illuminato da una lampada le ombre di sagome finemente intagliate nel cuoio e decorate; nel teatro danzato i personaggi sono impersonati da danzatori che spesso indossano una maschera. Brandon, nel suo importante studio sul teatro del sud-est asiatico (Theatre in Southeast Asia, Harvard University Press, 1967) sottolinea alcuni aspetti principali comuni alle diverse forme teatrali della regione:
– la narratività e la presenza di numerosi episodi, tipici dell’epica e della tradizione orale, con racconti in cui divinità ed eroi si affrontano in scontri di grandi proporzioni;
– la compresenza di momenti comici (alle volte farseschi), melodrammatici e seri, mentre è sconosciuta la divisione in generi (tragedia, commedia) tipica dell’occidente;
– l’aspetto didattico della rappresentazione con l’eroe che impersona le virtù e i comportamenti positivi e, alla fine della rappresentazione, sconfigge l’eroe negativo. Anche se l’eroe positivo può avere qualche piccolo difetto, la distinzione tra buoni e cattivi, tra bene e male, è chiaramente delineata;
– la storia-tipo (che è anche quella del Ramayana) racconta di un eroe, sconfitto dal nemico, che si ritira nella foresta a meditare e, dopo aver acquisito poteri magici, ritorna per sconfiggere definitivamente il nemico;
– i personaggi sono chiaramente caratterizzati e divisi nei due campi opposti dei “buoni” e dei “cattivi”; personaggi-tipo sono: divinità, nobili, asceti, servitori-clown.
Anche sul piano musicale vi sono aspetti comuni. Innanzitutto ciò che colpisce l’ascoltatore europeo è la particolare qualità del suono. Le orchestre sono formate infatti in prevalenza da metallofoni intonati (gong-chime culture, cultura dei carillon di gong, la definisce Hood). Si tratta di strumenti prevalentemente di bronzo in cui una serie di lamine o di gong di piccole e medie dimensioni sono disposti in serie e accordati su una scala di cinque o sette suoni. Questi strumenti non hanno funzione puramente ritmica, ma prettamente melodica.
Altro elemento comune è la tradizione orale. Non esistono forme di musica scritta nella regione e la musica è tramandata oralmente da maestro ad allievo. Vi sono dei modelli melodici di riferimento sui quali i musicisti improvvisano rendendo unica ciascuna esecuzione. Ciò che colpisce l’ascoltatore-spettatore occidentale è anche la mancanza di un direttore in orchestre che arrivano a comprendere fino a più di quaranta musicisti. Specie nella musica balinese è sorprendente il grado di sincronismo e di affiatamento che i musicisti raggiungono nelle variazioni di tempo o dinamiche. Alcuni esecutori assumono il ruolo di direttore dando dei segnali che costituiscono un riferimento per gli altri musicisti. Ad esempio, nella musica balinese è il suonatore di tamburo (kendang) che con i suoi segnali indica cambiamenti ritmici e dinamici all’orchestra; nella musica thailandese è piuttosto il suonatore di xilofono (ranat ek) ad indicare cambiamenti di ciclo ritmico e la successione dei brani da eseguire.
Caratteristica peculiare è anche l’improvvisazione simultanea di più strumenti melodici. E proprio il “dialogo” intrecciato di queste improvvisazioni costituisce uno dei motivi di maggiore ricchezza e interesse delle esecuzioni musicali. Il ritmo è solitamente binario, articolato in cicli di diversa lunghezza e “stratificato”. Esistono cioè diversi livelli di densità ritmica associati a strumenti differenti. Le scale sono di cinque o sette suoni, a intonazione variabile, con intervalli differenti dal nostro sistema temperato. Nell’accompagnare le rappresentazioni teatrali i musicisti utilizzano un numero limitato di melodie, ciascuna delle quali è associata a un particolare stato d’animo (tristezza, furore) o a una funzione narrativa (melodie che accompagnano l’azione del camminare o del combattere).
Rassegna stampa
“Questa storia, che ha perso nel tempo ogni elemento religioso e si svolge ormai su un piano puramente spettacolare, è tornata a rivivere a Villa Medici in due ore di spettacolo senza interruzione. I danzatori ballano a piedi nudi, con le ginocchia sempre flesse, e si muovono con gesti fortemente stilizzati che caratterizzano, come avviene per i costumi, i diversi personaggi.
Rama è un eroe bello e nobile: i suoi movimenti contenuti e pacati esaltano la divinità e si oppongono a quelli forti e possenti dei demoni e alle acrobazie burlesche delle scimmie. Come il fratello Laksmana e la sua sposa Sita, Rama ha il volto scoperto, anche se pesantemente truccato, in contrasto con gli altri personaggi che portano tutti le maschere.
La bellezza del Khon è anche nei costumi riccamente elaborati: copricapo appuntiti e abiti di pesante broccato ornato da ricami e da pietre scintillanti, che fanno somigliare i danzatori a meravigliose bambole di porcellana. I gesti, con un complesso sistema di segni, simile al mudra indiano, indicano sentimenti precisi. Alcuni movimenti corrispondono a codici di comportamento sociale. Ad esempio, per i tailandesi i piedi sono la parte più immonda del corpo e di conseguenza è un insulto puntarli verso qualcuno. Per questo Sita e gli orchestrali siedono a terra ripiegando le gambe indietro e nascondendo le estremità. Al contrario le scimmie, durante lo spettacolare duello finale, più che agitare le spede mettono i piedi sul corpo dell’avversario, compiendo così un gravissimo atto di offesa”.
(Francesca Bernabini, Più minacciosi i piedi delle spade, Corriere della Sera, 24 luglio 1990)
“Su musiche pentatoniche evocate da inusuali gong, xilofoni ricurvi, pifferi e percussioni, i danzatori tailandesi hanno raccontato la lotta tra il bene e il male in un mondo popolato da dei, eroi, demoni ed amori. Lo spettacolo si sviluppa con lentezza rituale all’interno di un particolare “teatro totale” che accomuna la danza e la gestualità religiosa alla melodia, al canto, alla recitazione.
È curioso osservare i protagonisti sulla scena: il loro incedere è aristocratico (un tempo queste rappresentazioni erano appannaggio esclusivo della corte), quasi sacrale, come un rito che si ripete da oltre quattrocento anni. La coreografia può sembrare elementare, di segni impercettibili, ridotta ad un simbolismo leggero, sfumato. Una danza che non ammette esibizionismi eccessivi, che elimina la violenza per concentrarsi in un gioco di mani e di piedi fortemente stilizzato.
Sembrano bassorilievi danzanti, figurine di un’immaginaria scultura della memoria; eppure quelle maschere che nascondono i volti, quell’immobilità apparente che pare voler sfidare lo spettatore, ricorda il fascino sottile e misterioso delle nostre danze rinascimentali”.
(Carmela Piccione, Ramayana dal passo aristocratico, Il Tempo, 22 luglio 1990)
KHON THAI CLASSICAL BALLET: LA TRAMA
di Giovanni Giuriati
Il rapimento di Sita
Un giorno Thotsakan (Rawana) scorge da lontano Sita in compagnia del suo sposo Rama e del fratello di lui Laksmana. Profondamente turbato dalla bellezza della principessa, Thotsakan si innamora follemente e vuole rapirla. Egli domanda al demone Marit di trasformarsi in un cervo d’oro. Sita desidera avere quel cervo così bello e chiede a Rama di catturarlo. Cedendo alle sue lusinghe, Rama si lancia all’inseguimento dell’animale e riesce ad abbatterlo. Al momento di morire, il cervo imita la voce di Rama e chiede aiuto a Laksmana. Sentendo il richiamo e credendo il suo sposo in pericolo, Sita invia Laksmana in suo aiuto. Approfittando del fatto che Sita è rimasta sola, Thotsakan, travestito da eremita, tenta di convincerla a partire con lui. Sita lo respinge e lo invita ad andarsene. Furioso, Thotsakan riprende la sua vera forma e rapisce Sita portandola verso la sua cittadella di Langka.
Il combattimento con Sdayu
L’uccello Sdayu incontra il rapitore che trascina la sua vittima attraverso la foresta. Il potente uccello attacca Thotsakan, che gli risponde con il suo arco, ma senza fortuna. Con arroganza, Sdayu si vanta di essere invincibile e insensibile a tutte le ferite, tranne che se dovute all’anello che Sita porta al dito. Subito Thotsakan si impadronisce dell’anello e lo getta su Sdayu che si abbatte al suolo con le ali spezzate. Sita fa cadere la sua sciarpa per lasciare una traccia del suo passaggio. Rama e Laksmana, lanciati all’inseguimento di Sita, incontrano Sdayu che racconta loro ciò che è avvenuto. In quel momento una piccola scimmia sbuca dalla foresta e porge a Rama la sciarpa di Sita. Ritornato a casa. Rama si mette a piangere; Laksmana tenta di calmarlo e di farlo riposare.
Hanuman offre la sua armata
Mentre Lakhsmana veglia suo fratello, Hanuman entra cercando di rubare il suo arco. Rama, svegliandosi, è sorpreso della presenza di questa scimmia bianca alla quale chiede di avvicinarsi. Hanuman offre allora i suoi servigi a Rama assicurandogli che tutta l’armata delle scimmie è a sua disposizione. Poco dopo si uniscono a lui principi e comandanti dell’armata delle scimmie, fra i quali Sukhrip e Onghot.
Il grande scontro
Sono passati numerosi anni. Rama, assecondato da Sukhrip, divenuto nel frattempo il re delle scimmie, ha riunito un’armata per assediare la città di Langka. Thotsakan ha già inviato a combattere tutti i suoi alleati che uno a uno, sono stati sconfitti. L’armata di Thotsakan si appresta al combattimento. Dopo aver passato in rivista i soldati, le truppe avanzano sul campo di battaglia. Di fronte a loro, l’armata di Rama lustra le sue armi. Anche Rama, accompagnato da Laksmana, passa in rivista l’armata delle scimmie conducendola verso il nemico. La battaglia inizia con violenza. Rama e Thotsakan combattono tra loro. Rama scocca le sue frecce contro il demone, tagliando le sue dieci teste e le sue membra, ma grazie alla sua magia, le teste rispuntano subito. La battaglia si arresta al cadere della notte. Thotsakan promette a Rama di tornare l’indomani per il duello finale. Le due armate si ritirano nei rispettivi accampamenti.
Crediti
Ensemble Teatro di Bangkok
Musica eseguita dal vivo
Produzione Festival di Avignone in collaborazione con la Caisse des Dépôts et Consignations