“Kyr” in ebraico significa “muro”, ed è un muro inteso dal coreografo nella doppia accezione di divisione (fra i popoli) e di sostegno (interiore). La danza non racconta una storia, quanto piuttosto la violenza e lo smarrimento che nasce dalla Storia, ed il muro presente sul palcoscenico, più che rappresentare l’ostacolo materiale, allude invece all’inquietudine del popolo di Israele ed a quel muro interiore, di sostegno, necessario per far fronte alle minacce esterne. La danza evoca questi moti interiori secondo un andamento ritmico che si muove fra momenti di energia quasi feroce (nei quali i danzatori costruiscono l’immagine di un mondo violento e caotico) e momenti di grande equilibrio (nei quali la tensione sembra dileguarsi e l’anima trovare pace). In entrambi i casi, la coreografia ha la sua anima nella musica, creata da Naharin insieme al The Tractor’s Revenge (che la esegue anche dal vivo sulla scena). Lo spettacolo si chiude sulle note ed i versi di Ehàd Mi Jodea’ (Io so), una canzone della Pasqua ebraica in cui l’ignoto autore enuncia, in forma di domanda e risposta, aiutando la memoria con i numeri da uno a tredici, le nozioni fondamentali per gli Ebrei (dall’Unita di Dio ai suoi tredici attributi); i danzatori, seduti in semicerchio, seguendo la struttura cadenzata del testo, eseguono una successione di movimenti, ogni volta ripetuta con l’aggiunta di un’altra, e trasformano così la canzone, da filastrocca destinata ai bambini, in un frenetico movimento di spoliazione.
La seconda coreografia, Arbos, è un lavoro ambientato in una terra lontana dove la realtà ed il tempo hanno perso le caratteristiche familiari. In questa terra compaiono immaginari personaggi latori di storie fantastiche. La coreografia nasce sulla musica di Arvo Pärt che suggerisce a Naharin l’atmosfera dal sapore asiatico, intrisa di astratta religiosità in cui armonia e bellezza si fondono e dove il movimento, intrinsecamente legato a chi lo esegue, diventa unico e personale. “Dio ha toccato Arvo Pärt. Il suo lavoro è eterno”, dice Naharin, “non limitato ad alcuno stile o ad un luogo particolare. Trovo nella sua musica la bellezza e l’ordine, la quiete e il respiro”.
KYR
Coreografia Ohad Naharin
Musica The Tractor’s Revenge e Ohad Naharin
Disegno luci Bambi
Suono Frankie Lievaart
Interpreti Pim Boonprakov, Sandra Brown, Sonia D’Orleans Juste, Dylan Elmore, Sharon Eyal, Mari Kajiwara, Einat Niv, Zahi Patish, Yuval Pick, David Titchnell, Johan Silverhult, Schlomi Tuizer, Tami Vinig, Hanna Waisman, Yossi Yungmann, Ronit Zlatin, Arnon Zlotnik
The Tractor’s Revenge Avraham Belleli, Ilan Grinberg, Ophir Leibovitch
Creazione originale commissionata nel 1990 dall’Israel Festival di Gerusalemme
ARBOS
Coreografia Ohad Naharin
Musica Arvo Pärt
Disegno luci Bambi
Costumi Rakefet Levy
Interpreti Johan Silverhult, Yossi Yungman, Sonia D’Orleans Juste, Dylan Elmore, Sharon Eyal, Mari Kaijwara, Yuval Pick, Tami Vinig, Arnon Zlotnik
Creazione originale commissionata dalla Sydney Dance Company bel 1989.
Prima Israeliana giugno 1991 nell’ambito della serata dedicata ad Arvo Pärt commissionata dall’Israel Festival di Gerusalemme
Batsheva Dance Company
Direttore Mira Eidels
Direttore artistico Ohad Naharin
Assistente direzione artistica Naomi Bloch Fortis
Direzione prove Mari Kajiwara e Melanie Berson
Maître de ballet Jay Augen
Direttore tecnico Riva Goldberg
Performance director Iris Bovshover
Tour manager Gabi Moshewitz
Elettricista Gadi Glik
Tecnico del suono Frankie Lievaart
Direttore di scena Moti Katsav
Capo sartoria Dalia Lider
Foto Gadi Dagon
Distribuzione internazionale Paula Karelic – Multi Media Ltd.
La Compagnia Batsheva gode del sostegno del Ministero Israeliano della Scienza e delle Arti, dell’America – Israel Cultural Foundation e della Municipalità di Tel-Aviv Jaffa. Batsheva è la Compagnia residente al Suzanne Dellal Center for Dance and Theatre di Neve Tzedek, Tel Aviv. Gli spettacoli della Compagnia Batsheva al Festival Romaeuropa 94 sono stati resi possibili grazie al sostegno del Ministero Israeliano della Scienza e delle Arti e il Ministero degli Affari Esteri.
LA MUSICA DI KYR
di Ohad Naharin.
La musica rock esprimeva bene le energie che stavo cercando. Era chiaro ai miei occhi che Kyr avrebbe dovuto avvalersi di musica originale che avesse impulso ed energia. Non esattamente della musica rock ma di un tipo di musica che provenisse dall’energia e dall’impronta del rock.
Mi sono unito ai membri dei Tractor’s Revenge in qualità di collaboratore al processo creativo. L’idea alla base di questa scelta era che la musica e la danza venissero create attraverso un’interazione simultanea, avendo così una comune origine sia nel tempo che nello spazio. Abbiamo lavorato insieme come un gruppo di quattro elementi. I rapporti sono stati complessi perché io sono stato, di fatto, il padre di questo lavoro. Avevo una chiara idea della natura e del peso drammatico che avrebbe dovuto avere e avevo l’idea principale di ogni parte; ma non avevo la corporalità di tutto questo. È stato proprio il fatto che essi abbiano creato nuovi suoni a tirare fuori da me delle cose che, come coreografo, non avrei potuto scoprire altrimenti.
Io apprezzo l’economia della musica e del movimento. Ammiro la quiete e lo spazio che sussistono fra i suoni, un’attesa che porta verso note sibilanti.
Il mio scopo nell’usare degli elementi polari è che il lavoro abbia una varietà quanto più possibile ampia. Tra i poli vi è un maggiore spazio per trasmettere emozioni, sensazioni ed esperienze.
La danza nasce quasi necessariamente dalla struttura della canzone, la quale sviluppa una progressione aritmetica. Questo è per me un’esempio perfetto di cosa mi piace provare nei confronti di un lavoro: una fusione della scienza con la storia, della matematica con la religione, della forma con il “caos”.
NAHARIN E L’IMPULSO ALLA SOPRAVVIVENZA
di Ine Rietstap
Fin dalla sua prima rappresentazione, Kyr affascinò pubblico e critica per la sua atmosfera drammatica ed esplosiva, per l’insieme di movimenti rozzi, animaleschi e estremamente dinamici e per le quiete sequenze poetiche. Questo spiega le grandi aspettative che accompagnano sempre le esibizioni della compagnia di Naharin. Come spettatori non si può fare a meno di essere ancora una volta coinvolti dall’irresistibile espressività dello stile del movimento del coreografo. I suoi ballerini, attraverso la loro eccezionale preparazione tecnica e artistica, riescono a rendere con notevole efficacia la minaccia, la solidarietà e l’impulso alla sopravvivenza del popolo di Israele che Kyr vuole comunicarci.
“Kyr” è la parola ebraica che indica un muro interiore o di sostegno. L’opera di Naharin può essere interpretata come una sua presa di posizione sulla condizione in cui si trova il popolo israeliano. Un tipo di vita in cui le minacce ostili rappresentano un elemento costante, in cui lo spirito combattivo, il potere e la perseveranza sono condizioni essenziali per sopravvivere senza mai perdere di vista gli aspetti gentili dell’animo umano. Perchè questo avvenga, però, è necessario innalzare un muro interiore di sostegno, il Kyr appunto.
La feroce, quasi caotica esplosione di movimento e di salti selvaggi, nella quale si vedono membra umane slanciarsi con impeto in tutte le direzioni, corpi che si contraggono spasmodicamente, teste che tentennano e azioni quasi coercitive suggeriscono momenti di ingannevole disperazione. Ingannevole, poiché a queste sequenze selvagge si frappongono continuamente momenti di controllo estremo, secondo un’armonia perfettamente concepita, una linea disegnata con precisione nello spazio.
Grazie alla loro finezza, sobrietà e modestia gli assolo e i passi a due che spezzano le sequenze violente contribuiscono a dare una ulteriore forza di espressione, al contempo penetrante e commovente. La musica rock composta dal gruppo Tractor’s Revenge e da Naharin stesso – ed eseguita dal vivo – si sposa meravigliosamente con il disegno coreografico. A tratti aggressiva e assordante, si svolge poi in melodie struggenti e misteriose che ricordano gli antichi canti di lamentazione.
Rassegna stampa
“Kyr, in ebraico muro interno, è il simbolo delle difficoltà quotidiane con le quali si confronta la gioventù israeliana. La libertà, la guerra, le tensioni familiari, la religione, l’esercito, l’incertezza, la paura. Naharin si chiede se basterà la fede, o l’amore per trovare la salvezza; ci mostra tutte le ansie e le violenze di un vivere insoddisfatti, rinchiusi in un mondo dove c’è chi dà ordini e dove c’è il rischio continuo di essere schiacciati da un destino implacabile. […] É una creazione ambigua, sottolineata dalla musica dell’estone Arvo Pärt, divisa tra il senso del divino e la tenera consapevolezza dei semplici sentimenti dell’uomo. Arbos resta un abbozzo di proposta con immagini forti ma non compatte”.
(Mario Pasi, Gioventù israeliana al muro della rabbia, Corriere della Sera, 6 luglio 1994)
“Non basta allora la pacatezza degli “assoli” a spezzare la corale insofferenza: la scena finale, nella quale si canta un brano tratto dal Seder, la cena tradizionale della Pasqua ebraica, è visivamente intessuta nella figura di un’onda di corpi che non trovano requie, e la seminudità che conclude il numero, rimanda ai mucchi di scarpe e vestiti dei campi di concentramento nazisti”.
(Francesco Bernardini, L’energia e l’armonia nelle danze corali firmate da Naharin, La Voce Repubblicana, 5 luglio 1994)
“Sotto gli impulsi sonori, aggressivi ed assordanti, delle note rock del complesso The Tractor’s Revenge, che allora sembra quasi evocare antiche melopee, il balletto scandaglia la difficoltà dei rapporti umani tra popoli, tradizioni e culture diverse, ma in fondo,anche tra diversi sessi, magari all’interno del muro domestico, tra marito e moglie. Una riflessione dunque sulla necessità di valori a regolare l’esistenza della collettività, ma pur sempre una riflessione che lascia adito alla speranza in merito all’umana convivenza”.
(Lorenzo Tozzi, Al di qua del muro, Il Tempo, 6 luglio 1994)
ROMAEUROPA E LA DANZA
di Monique Veaute
La danza contemporanea internazionale che presentiamo a Romaeuropa con coreografi come Ohan Naharin, Bill T. Jones, Angelin Preljocaj e Jean-Claude Gallotta è la danza del XX secolo. Questi coreografi – filiazioni estetiche a parte – sono, per varie ragioni, gli eredi di Nijinski, Balanchine, Béjart, Petit, Forsythe, Bausch.
La loro fama è internazionale: Ohad Naharin e Bill T. Jones creano lavori per il Ballet dell’Opéra di Lione, Angelin Preljocaj firma coreografie per l’Opéra di Parigi e per l’Opera di Monaco. La loro trasgressività, la loro impertinenza, l’uso della musica rock non fanno più paura alle grandi istituzioni pubbliche e competono senza difficoltà con i “classici”. È il segno di un cambiamento, di un’evoluzione, di una maturità acquisita da quella danza che fino a qualche tempo fa chiamavamo contemporanea ma che possiamo considerare come il repertorio classico di domani, con grandi stelle del calibro di Laurent Hilaire al servizio di un nuovo linguaggio.
Jean-Claude Gallotta sfugge un po’ a queste considerazioni: ha rifiutato la capitale ed è rimasto legato al suo Groupe Emile Dubois. Con Ulysse ritorna sul suo repertorio e cerca di sottrarsi all’effimero di creazioni che durano lo spazio di una sera o, nel migliore dei casi, il tempo di una ripresa televisiva.
I ragazzi terribili della danza sono forse invecchiati? Penso piuttosto che le “fortezze” dei teatri d’Opera abbiano capitolato e che ne siano uscite ringiovanite con grande gioia di tutti.