Prima italiana
Se le tradizioni popolari e classiche dell’Egitto si stanno sgretolando sotto la spinta esterna ed occidentale, i Munshid dell’Alto Egitto continuano a conservare la funzione di guardiani dell’Inshad, il canto religioso di ispirazione sufi che consente la comunione con la divinità. Il Munshid egiziano è un personaggio misterioso, diverso dal cantante arabo tradizionale: egli dirige, di villaggio in villaggio, secondo un rituale personale, tra la poesia sufi antica ed espressioni che vengono chiamate sa’idi nel linguaggio popolare dell’Alto Egitto, il dhkir, ovvero il rituale sufi aperto a tutti.
Protagonista dunque della prima parte di questa straordinaria serata “spirituale”, tra religione e mistero, Sheikh Ahmad Al-Tûni, uno dei maggiori munshid egiziani, ed ambasciatore della millenaria cultura con le sue incisioni e le sue apparizioni in pellicole cinematografiche quali Vengo di Tony Gatlif: la sua voce intona l’habibi e lo trasforma in un incantesimo ripetitivo, racconta poesie e voci dell’Islam, con suoni e parole che continuamente plasma e ripete nella creazione di un rituale che ha il sapore di una storia e di un’opera complessa.
A completare la serata, i versi di Shah Abdul Latif, poeta venerato dagli abitanti del Sind e cantore della incessante ricerca dell’amore eterno, evocati dal cantante Sohrab Fakir (uno dei maggiori interpreti Kafi contemporanei) accompagnato da Mohammed Urs Bhatti, uno dei migliori interpreti attuali dell’algozha, flauto doppio tipico della musica Sind che consentendo di suonare simultaneamente la melodia (flauto femmina madi) e il bordone (flauto maschio nar), grazie ad una complessa tecnica di respirazione circolare – ripresa molti secoli dopo dai musicisti jazz -, innalza e sostiene il canto nella costruzione del messaggio d’amore verso il divino.
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