Regia e coreografia Hans Van Den Broeck
Ensemble Les Ballets Contemporains de la Belgique
Interpretata e creata con Carole Bonneau, Kathy Cogill, Palle Dyrvall, Mette Edvardsen, Paul Gazzola, Ellen Meijer, Abdellah Noukrati, Benoît Vivien
Scenografia Charles Goethals, Eric Vermeulen
Musica Nic Roseeuw, Ennio Morricone (L’uomo con l’armonica), Deep Purple (Child in the time), Pëtr I. Ciajkovskij (Dornroschen Suite op. 66A/Pas d’action), Jordi Savall (Anonyme, Rodrigo Martinez), Tom Jones (Thunderball), Bobby Womack (Across 110th Street), D-Vision (Funky), Wolfgang Amadeus Mozart (Marcia dall’Idomeneo)
Consulenza costumi Hilde Schamp
Direzione tecnica Gerd Van Loo
Disegno luci Raphaël Noël
Coodinamento tecnico e suono Eric Vemeulen
Fotografia Chris Van Der Burght, Ilse Joliet
Video Dirk De Hooghe, Paul Gazzola, Hans Van Den Broeck
Produzione e tour management Ilse Joliet, Iris Raspoet
Produzione Les Ballets C. de la B., Herwig Onghena, Linda Suy, Lieven Thyrion, Erna Vanakoleyen, Kate Vos
Co-produzione Pole Sud, Strasburgo; Vooruit Arts Centre, Gent; Cultural Centre, Berchem; Dans in Kortrijk, Courtrai; Théâtre de la Bastille, Parigi; Equinox Chateauroux; Isadora Orléans; Centro di Ricerca per il Teatro, Milano; Romaeuropa Festival
Con il supporto di Ministero della Comunità Fiamminga; La Provincia di East-Flanders; La Città di Ghent; Lotteria Nazionale Les Ballets C. de la B. e Ambasciatore Culturale delle Fiandre
Prima italiana
Cosa succede ad un gruppo di persone chiuso in una stanza e incapace di uscire, fermo nell’attesa di un evento risolutore? Come reagiscono gli uomini in tale ambiente claustrofobico, che tipo di rapporti instaurano tra loro? Queste sembrano le domando che guidano i lavori di Hans Van Den Broeck, fin dall’esordio coreografico nei Ballets C. de la B. con How to approach a dog (1992), in cui una famiglia con numerosi figli vive stipata in una casa minuscola. Se in Eat Eat Eat la convivenza di un gruppo di persone scatena una costante atmosfera di violenza, ne La sortie ci ritroviamo invece in una sala d’aspetto, o forse in un bar, comunque in un luogo di “aggregazione”: ognuno sembra interessato ad intrattenere solo se stesso, a creare un proprio universo mitico, innescando un continuo gioco di ruoli e di travestimenti (da Batman alle dame settecentesche) nella speranza di riscattare una vita mediocre attraverso la finzione scenica. L’atmosfera solipsistica è rotta da pochi momenti a due, in una sorta di vano tentativo di instaurare un dialogo, mentre la soluzione resta apparentemente a portata di mano, indicata sul fondo da un’insegna sempre illuminata che dice “Sortie”: uscita.
Cartellone 1999
LA SORTIE
Teatro Olimpico, 23, 24 ottobre 1999
Evento
Rassegna stampa
Pedroni su Van den Broeck
HANS VAN DEN BROECK
di Francesca Pedroni
Quali sono i riti collettivi della società contemporanea? E se esistono riescono a tradursi in momenti “forti” di partecipazione, aggregazione, unità? Sembra chiedersi questo la gente comune di La sortie, il nuovo spettacolo del regista e coreografo belga Hans Van Den Broeck, co-fondatore con Alain Platel dei Ballets C. de la B. Alle spalle studi di psicologia e di cinema, Hans van den Broeck monta i suoi lavori secondo lo spirito “collettivo” che anima i progetti della compagnia belga. La sua poetica di danza, fortemente teatrale, si nutre di gesti quotidiani, affonda le sue radici nella realtà di tutti i giorni, per poi traslarla in quadri slabbrati, il cui ritmo di composizione, ricco di impennate dinamiche e decelerazioni, si costruisce secondo il processo improvviso delle visioni della mente.
È una danza di azioni, che nella loro sconnessione sono epifania di uno svuotamento di senso. Si gioca a ping-pong, ci si bacia, si cammina con una torta di compleanno in mano, si fa ginnastica, si corre, si cade. Ma per quanto ci si affanni, la relazione “significante” tra un atto e l’altro sfugge magistralmente dalle mani e dai corpi degli interpreti. Tra divani sdruciti e panche, il gruppo consuma il nulla, passando da un’azione all’altra con un’energia fisica rabbiosa, disperatamente non nutrita da alcun credo, da alcuna motivazione. Le domande che lo spettacolo pone sono: “Hai personalità? Hai tempo?”. Ci si interroga su termini come la paura, l’ansietà, l’aggressione, la colpa. Le risposte non ci sono. Le vie d’uscita non si trovano. Per La sortie Broeck pensa all’ambiente di un ospedale da campo, in cui, a guerra finita, si ritrova un gruppo di persone ferite nel corpo e nell’anima, ma ipotizza anche una sala prova dove gli attori vivono un continuo slittamento tra la mediocrità della vita comune e finzioni sceniche, rubate al mondo del cinema e della televisione. C’è chi si sporca il corpo di pittura rossa per dare voce, insanguinati, a un grido di disperazione; c’è chi si traveste da cowboy per essere, almeno un giorno nella vita, un eroe. Ma il gioco non funziona, anche le icone collettive della società contemporanea peccano, in fondo, di mediocrità. E allora non resta che alzare gli occhi verso un altro orizzonte. Accettando con coraggio l’incognita di inventarsi un ruolo al di fuori dei riti “deboli” dell’oggi. Ed è una questione di coscienza e responsabilità che, immancabilmente, si riversa anche sul pubblico.
(in Catalogo Romaeuropa Festival 1999)
Cartellone 1999
LA SORTIE
Teatro Olimpico, 23, 24 ottobre 1999
Evento
Rassegna stampa
Pedroni su Van den Broeck
Rassegna stampa
“Gli otto personaggi danzano la vita come è realmente: a destra c’è un soliloquio al ping pong; al centro un cowboy si allena a estrarre la pistola e a rimetterla nella fondina; a sinistra, su un divano, una coppia si bacia con passione e, sempre baciandosi, percorrerà il palcoscenico per un buon quarto d’ora, strisciando. La violenta irruenza di una danzatrice in canottiera e gonna settecentesca, ma coperta di sangue, altererà il solipsismo della scena. Per poco: il cowboy la prenderà al lazzo e se la porterà via. Lo spettacolo è totale, semplice, mai banale. […] In mezzo a tanta solitudine i “pas-des-deux”, se pur surreali, hanno un posto importante. Esilarante quello tra Batman e una damina del Settecento, quello tra il baciatore e una esile nevrotica ballerina, fino al duetto tra due ragazzi , uno dei quali morto”.
(Laura Putti, Se Batman danza con la damina, la Repubblica, 24 ottobre 1999)
“Se lampi di originalità devono essere riscontrati in Van Den Broeck , allora risiedono nel flusso continuo di eventi che vengono messi in scena, e che finiscono per inglobare anche gli episodi più marcatamente concepiti sotto il segno di una danza jazz “strappata” che, a detta ad esempio della stessa stampa belga, soffre di “mancanza di precisione nell’esecuzione”. Sempre che il nostro coreografo abbia voluto presentare un prodotto pulito. Pare però che il lindore non gli stia così a cuore, interessato com’è alla pittura di situazioni ordinarie, al miraggio di storie minime di quotidiana nevrosi”.
(Francesco Bernardini, Storie di ordinaria nevrosi, La Voce Repubblicana, 26 ottobre 1999)
“Registicamente dominano surrealtà e ironia sfociante in sarcasmo e divertono, pur visti in altre situazioni, l’astruso interminabile bacio quasi da guinness, la lunga tavola che portata in spalla rischia di mietere vittime, suoni e rumori amplificati da un microfono, messaggi scritti su cartelli singolari. Lo spettacolo, dunque, è andato avanti per sequenza di gag che, non avendo il filo logico, sarebbe potuta continuare per altro tempo o cominciare dalla fine o terminare molto prima. Elementi coreutici di rilievo sono mancati. Nel suo complesso però il risultato artistico è più che apprezzabile perché il coreografo è giunto a un prodotto che svela arguzia e intelligenza e che, basato molto sull’improvvisazione, fa scoprire la solida professionalità dei ballerini”.
(Maria Cristina Buttà, Il teatrodanza di Van Den Broeck, Italia Sera, 27 ottobre 1999)