C’è una pulsazione al fondo dell’esistenza? E potrebbe essere quella del bolero? A queste domande sembra voler rispondere Raimund Hoghe trasmettendo l’energia di una danza dalle origini misteriose. In Boléro Variations, i bolero latino americani contaminano l’andamento seducente del celeberrimo brano di Maurice Ravel, in uno spettacolo di teatro danza che esalta le variazioni del vivere fino alle sue oscillazioni più infinitesimali. Scrittore, giornalista, sceneggiatore Hoghe è stato per lungo tempo drammaturgo di Pina Bausch ed è arrivato alla coreografia nel 1984, mettendosi in gioco anche in prima persona sul palcoscenico. Vista la particolarità del suo fisico lontano dai canoni non solo della danza è una vera sfida, curiosamente ispirata all’artista tedesco dal verso di Pier Paolo Pasolini: “gettare il mio corpo nella lotta”. Nasce così una danza particolare, dove la fisicità di ogni danzatore trova il suo universo e dove la ricerca sul movimento, sul rapporto tra i corpi e lo spazio è scandita attraverso velocità molto diverse, anche quella della lentezza funzionale a scavare il significato dei gesti nei risvolti nascosti.
Orientato verso un teatro danza contemporaneo, Hoghe tuttavia volentieri volge la sua attenzione ai classici: così a fianco di coreografie come Sacre – The Rite of spring, Swan Lake, 4 Acts e L’Aprés-midi, spunto per Boléro Variations è la partitura per danza di Ravel osservata con sguardo sottile, sensibile al suo segno senza tempo. La folgorazione avviene dopo aver guardato Jayne Torvill e Christopher Dean nella gara di pattinaggio artistico su ghiaccio alle Olimpiadi invernali di Sarajevo del 1984. L’esibizione di quegli straordinari atleti sulla musica di Ravel, ancora oggi periziabile su youtube, gli appare come una discesa nelle complesse radici di questa danza. Le origini del bolero si fanno risalire al XVIII secolo in Spagna, ma nell’Ottocento a Cuba, allora possedimento spagnolo, appare una danza con lo stesso nome che dilaga nell’America Latina: senonché il ritmo in origine ternario è divenuto binario e ancora oggi si discute se la forma spagnola e quella cubana siano imparentate anche musicalmente oltre che per il nome. Le due facce del bolero, quella europea più colta e quella latinoamericana più popolare, tra loro certo lontane, s’incontrano in uno spettacolo di rara eleganza, percorso da un umorismo a cuor leggero che rende luminoso lo sguardo sul mondo che Hoghe lancia da un’audace prospettiva. Cinque danzatori, compreso Hoghe, e una danzatrice incrociano i loro destini nello spazio scenico delimitato dalla luce, raramente toccandosi e talvolta restandone perfino ai bordi nella penombra. La decantata ricerca sul gesto, dalla dimensione lenta fino al fluido scorrere, intercetta quei rapporti spaziali e psicologici dove la distanza non si tramuta in indifferenza. Così l’immagine di sfrontato e insistito crescendo, così legata al bolero soprattutto grazie a Ravel, si redime attraverso i ritmi latinoamericani in un universo di gesti e sguardi, di presenza e vuoto, dove la ripetitività lascia spazio alle variazioni dell’esistenza.