«Vediamo Mozart che ci guarda con un sorriso beffardo, pronto a prendersi gioco di noi e a coglierci impreparati. Lo abbiamo accolto a braccia aperte, con quell’impudenza che nasconde un profondo amore e rispetto per le cose essenziali che ci ha rivelato». Il ritorno nella capitale di Peter Brook avverrà sotto le insegne del teatro musicale: “Un “Flauto magico” da Mozart è un canto alla giovinezza e, al tempo stesso, un compendio dell’arte di questo decano della regia teatrale, profonda nell’interpretazione, quanto essenziale nella realizzazione scenica. L’interesse di Brook per Wolfgang Amadeus Mozart è di lunga data e questo “Flauto” arriva infatti dopo le messe in scena di “Le nozze di Figaro” e “Don Giovanni”. Stavolta però interpreta e reinventa –come ha già fatto per le sue versioni di “Carmen” e “Pelleas e Melisande”–, adattando sia la musica, assieme al compositore e pianista Franck Krawczyk, sia il testo del libretto ricorrendo a Marie-Hélène Estienne, drammaturga nonché sua fedele collaboratrice. Di qui anche il titolo di “Un “Flauto magico” invece di “Il Flauto magico”: non resta che chiedersi come lo abbia riscritto, «Liberamente!» spiega Brook, che con questo spettacolo ha vinto il Premio Molière 2011 per il teatro musicale.
Ritroviamo così il cuore del lavoro teatrale di Brook: la decantazione del testo, il lavoro con e sull’attore, intrapreso dopo essere stato lungamente associato alla Royal Shakespeare Company –periodo di cui merita ricordare produzioni chiave come “King Lear”, “Marat Sade” e “Midsummer Night’s Dream”–, e via via in seguito, quando agli inizi degli anni Settanta approda al Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi, che dirige dal 1974.
Su di una scenografia quintessenziale, lontana dagli effetti e dalla solennità del teatro d’opera, sette giovani cantanti e due attori narratori vanno alla ricerca di quanto c’è di ineffabile e intimo nell’ultimo lavoro di Mozart: l’incantesimo del passaggio all’età adulta, il gioco dell’amore e della amicizia, l’epica della fratellanza tra esseri umani. L’accompagnamento del solo pianoforte, permette agli interpreti di entrare nelle pieghe del canto, in un gioco di luci, ombre e reciproche complicità, mentre le atmosfere scanzonate si alternano a quelle misteriose, la schiettezza all’aforisma, e gli oggetti magici, tra cui lo stesso flauto, danno adito a incessanti trasformazioni e repentine sorprese.