Supportato da icone della musica indie internazionale come Solange Knowles -la sorella molto hipster di Beyoncé- o Yasiin Bey -un tempo noto come Mos Def- il ventiquattrenne Yannick Ilunga ha costruito intorno al suo nome d’arte Petite Noir un hype fortissimo, che non sembra per niente destinato a sparire. Nato a Bruxelles da padre congolese e madre angolana -famiglia con la quale all’età di sei anni si trasferisce a Cape Town- il giovane “afropolitano” ha alle spalle un percorso quanto mai vario. Se il suo primo approccio alla musica avviene cantando in chiesa, un ironico ossimoro lo vede crescere all’interno di una band Metalcore dal suggestivo nome Fallen Within per poi formarsi come membro della band di Spoek Mathambo. Tra i suoi riferimenti musicali ci sono i Nirvana e i Radiohead, ai quali si aggiungono oggi nomi come The Weekend, Drake e Blood Orange. Ma la vera “redenzione” arriva dopo l’ascolto dell’album “808s & Heartbreak” di Kanye West, artista che maggiormente influenzerà la sua produzione musicale. Prima membro della band electro-pop sudafricana Popskarr, poi parte della crew hipster Capital of Cool, Petite Noir sembra coniugare i Joy Division di “Unknown Pleasures” a quel post-r’n’b dalle atmosfere fosche che caratterizza l’attuale scena britannica. Eppure, non sono solo queste sonorità a definire il suo mood; non a caso l’artista stesso, per parlare della sua musica, preferisce coniare il termine noir-wave, a indicare una new wave dall’estetica africana. Nei live di Petite Noir, infatti, Sudafrica e indie all’inglese divengono l’una il filtro dell’altra, in un tappeto sonoro in cui si mescolano geografie e riferimenti temporali. Assaggio di questo stile è sicuramente l’EP “The King Of Anxiety”, che anticipa l’uscita di un nuovo album prodotto dalla Domino e presentato live per Afropolitan durante Romaeuropa Festival: cinque brani dal piglio sexy di cui “Chess”, con il suo crescendo romantico di suoni abbinato a un videoclip così vintage da sfiorare ironicamente il trash, sembra esserne il perfetto manifesto.
Curatela Mauro Zanda