Con Aldo morto. Tragedia, un monologo ideato, realizzato e interpretato da Daniele Timpano, tornano gli anni di piombo, e il loro apice tragico, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, visti da una delle personalità emergenti della scena italiana in un’ottica idealmente spericolata, ma rispettosa delle persone. Nato nel 1974, nei giorni del sequestro Moro, Timpano aveva appena quattro anni e dunque non poteva vivere coscientemente ed emotivamente uno dei momenti più drammatici della storia italiana. Il suo perciò è lo sguardo di chi ne ha preso conoscenza dopo e lo spettacolo, che nasce da una raccolta di materiali eterogenei ma di ampio respiro, non mira a ricostruire il sequestro e l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana da parte delle Brigate Rosse, ma punta soprattutto a una evocazione degli anni ’70. Un’Italia che non c’è più, fatta comunque di italiani che in molti casi ci sono ancora: un’epoca che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di parole, spesso segnata dalla drammatica lacerazione tra “verità” e “immagine”. E Timpano si avventura in questa lacerazione passando attraverso un corpo, anzi una salma, nello stile di alcuni suoi lavori precedenti come Dux in scatola con Mussolini, e Risorgimento pop con Mazzini e Garibaldi. L’umorismo, spesso un umorismo nero, e l’anticonformismo sono la cifra di Timpano, che come attore ha collaborato con Massimiliano Civica, Francesca Romana Coluzzi, Michelangelo Ricci, per intraprendere poi la strada di drammaturgo con lavori suoi che si inseriscono nel filone del teatro di narrazione. Il suo stile rielabora la dimensione surreale cabarettistica, la trascinante scompostezza del guitto, la verve del mattatore, dando vita a una narrazione che nega sé stessa, procedendo per salti logici con una leggerezza che lascia filtrare argomenti tragici e perfino drammatici. Nel caso di Aldo morto c’è il confronto con un’epoca di cui oggi molto si parla e poco si conosce, e con argomenti spinosi e spesso afflitti da pietismo posticcio, per cogliere il nocciolo umano della vicenda, quello di «Aldo vivo», fino a giungere al confronto con la morte e anche oltre, alla distruzione dell’uomo che diventa immagine e poi icona.