Nella tradizione del Festival, anche questa edizione vede riconquistato al grande schermo un classico del cinema muto, accompagnato da un’orchestra dal vivo. Si tratta di Ben Hur (1925), di Fred Niblo, uno dei più grandi kolossal degli anni venti, targato MGM e destinato a registrare costi ed incassi egualmente epici per l’epoca: affidato inizialmente alla regia di Charles Brabin, dopo le prime (disastrose) riprese in Italia il film fu rilevato da due tycoon del calibro di Louis B. Mayer e Irving Thalberg, per essere quindi riportato a Hollywood e consegnato a Niblo, artigiano di grande professionalità e pronto a dirigere star planetarie come Novarro. Il risultato, in ogni caso fortemente debitore verso il fortunato romanzo originario del generale Lew Wallace, rimane uno dei monumenti della mecca del cinema degli anni d’oro, espressione perfetta di una concezione produttiva che mai più sarebbe giunta a simili livelli.
Ben Hur è tornato dunque sullo schermo in versione restaurata e con una colonna sonora riscritta appositamente da Carl Davis (già autore delle nuove musiche per Napoleon di Gance), che è salito anche sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Monaco di Baviera per dirigere la sua partitura.
BEN HUR
di Luca Antoccia
Con Ben Hur fa il suo ingresso nel grande cinema una delle più potenti “major”, la Metro Goldwin Mayer. Ben Hur infatti, che è il suo più famoso film dell’epoca del muto, segna l’inizio di una ascesa che porterà gli studios della Mgm ad essere gli incontrastati dominatori di Hollywood.
Eppure Ben Hur non era nato sotto i migliori auspici. Louis B. Mayer e Irving Thalberg, i due produttori della MGM che nel 1924 avevano rilevato il progetto, compirono quasi un miracolo nel trasformare un potenziale fiasco in un successo. Cosa era accaduto? La lavorazione del film era iniziata nel 1923 in Italia. La MGM aveva acquistato i diritti sul romanzo di Lew Wallace già all’inizio degli anni Venti e aveva incaricato Charles Brabin di dirigere gli attori. Ben Hur era impersonato da uno degli attori più in voga del momento, George Walsh.
Ma, alle usuali difficoltà delle riprese all’estero, si erano aggiunte le condizioni particolari dell’Italia nel 1923: i disordini e la cruenta lotta politica fra fascisti e antifascisti causarono numerosi rinvii alle riprese. Ci furono anche incidenti alle comparse (alcune cronache parlano anche di due vittime) e la troupe patì il caldo e la sete. Emblematico l’incidente legato all’episodio dell’affondamento della trireme romana. Le comparse erano state avvertite che era necessario saper nuotare, ma le 50 lire della paga facevano gola a tutti. A un certo punto sulla nave si sviluppò un incendio (pare dovuto a un effetto speciale non riuscito) e il legno prese subito fuoco. Come racconta J. Arnold Gillespie “le comparse si gettavano in mare, poi tornavano indietro come api intorno a una zolletta di zucchero, supplicando la Madonna di salvar loro la vita”. Tratte in salvo da un peschereccio, le comparse, che ancora indossavano i costumi da antichi romani, ritoccarono terra solo alcuni giorni dopo, sotto lo sguardo stralunato di alcuni pescatori.
A ciò si aggiunga che il regime fascista non guardava con favore a questo film che gli sembrava presentasse della romanità un’immagine non del tutto lusinghiera. Come se tutto ciò non bastasse, le riprese che Brabin mandò a Hollywood erano tecnicamente disastrose e praticamente inutilizzabili. Era il tracollo.
A questo punto Mayer e Thalberg presero una drastica decisione: licenziarono Brabin, richiamarono la troupe a Hollywood dove si sarebbe girato in studio tutto il film e chiamarono come nuovo regista il collaudatissimo Fred Niblo, già affermato come grande direttore di divi (aveva diretto Douglas Fairbanks e Rodolfo Valentino). Infine Ben Hur avrebbe avuto il fascino e la prestanza di un divo ancora più famoso di Walsh, Ramon Novarro.
Ma tutto lo staff tecnico fu riorganizzato e rigenerato con l’apporto di nuovi validissimi esperti. Per fare solo un esempio della grande perizia tecnica con la quale furono risolti i nuovi problemi di ambientazione in studio della vicenda citiamo il caso senza dubbio più celebre: la spettacolare sequenza della corsa delle bighe (che per molti non ha niente da invidiare al posteriore rifacimento di Wyler; sembra che Niblo si sia ispirato per essa a una sequenza simile contenuta nel film Messalina di Guazzoni, del 1923).
Furono impiegate contemporaneamente ben 42 macchine da presa con i problemi di coordinamento e successivamente di montaggio che si possono facilmente immaginare. Solo questa sequenza costò alla Mgm 250.000 dollari e 15.000 metri di pellicola. Il problema dello spazio, abbastanza vasto da ospitare il set del Circo Massimo, fu risolto ricorrendo all’enorme parcheggio di una grande discoteca situata in una vicina cittadina della Califomia (Culver City) che poteva contenere fino a tremila automobili. Ma anche così il set non riusciva a competere con il vero Circo Massimo. Allora l’esperto di effetti speciali Arnold Gillespie insieme all’art director Cedric Gibbon idearono un modellino dello stadio popolato da migliaia di minuscoli pupazzi che utilizzarono nelle riprese per creare l’illusione di una vasta folla. L’accorgimento permise anche di ampliare prospetticamente (soprattutto in altezza) i limiti dello scenario. Proprio in questa sequenza (diretta non da Niblo ma dal regista della seconda unità, Eason) si distinse un giovane assistente alla regia: William Wyler. Il film utilizzò anche una folta schiera di stunt man e uno stuolo di montatori che ebbero il non facile compito di ridurre gli oltre 60.000 metri di pellicola a circa 2.200 metri. La corsa delle bighe e la battaglia in mare sono per molti storici del cinema tra i più splendidi esempi di pura spettacolarità e di pura azione che l’arte muta abbia offerto.
Dal punto di vista tecnico non è infine da dimenticare l’uso sperimentale in alcune riprese del nuovo procedimento di ripresa in bicolor.
Se c’è una critica da fare al film (a parte l’irrealismo storico comune anche ai migliori film di questo filone, si pensi a Cabiria di Pastrone, a Quo Vadis di Guazzoni o allo stesso Intolerance di Griffith essa riguarda soprattutto la collocazione delle due sequenze chiave della corsa delle bighe e della battaglia. Proprio esse, infatti, che rappresentano i due climax del film giungono troppo presto facendo apparire l’ultima parte, con l’episodio dei lebbrosi e il misticismo che prende il sopravvento sull’azione, troppo debole. Un’ulteriore riserva è stata avanzata a proposito della relazione non sempre convincente tra Ben Hur e Messala che dovrebbe essere l’asse portante del film, e a proposito dei raccordi spesso un po’ artificiosi fra la vicenda umana di Ben Hur e quella del Cristo.
Dunque Mayer e Thalberg risollevarono le sorti del film che all’inizio del 1924 apparivano seriamente compromesse e tuttavia, nonostante il successo che il film avrà in America e poi anche in Europa (dove arrivò in ritardo e in edizione sonorizzata) le entrate non riuscirono a pareggiare le spese.
Il film era costato infatti circa cinque milioni di dollari e ne riuscì a recuperare soltanto quattro. Viste le disavventure iniziali si tratta di un dato comunque abbastanza positivo. Ben Hur fu presentato in prima mondiale il 30 dicembre 1925 al George M. Cohan Theatre di New York, preceduto da una delle più spettacolari campagne pubblicitarie. Fuori del cinema, come riferiscono le cronache dell’epoca, c’erano l’eccitazione e la grande attesa delle prime di Broadway. Sotto i grandi riflettori uscivano dalle limousine i protagonisti Ramon Novarro e Francis X. Bushman insieme al regista Fred Niblo. Era presente tutta la Hollywood che contava, con in prima fila Douglas Fairbanks e Mary Pickford. Il film era accompagnato in sala da una grande e visibile orchestra (com’era tradizione nell’epoca del muto) e rimase in cartellone per ben sei mesi.
Come per il quasi coevo Napoleon (1927) di Abel Gance, cui non a caso identica attenzione è stata recentemente rivolta nell’opera di restauro e riedizione anche musicale, il cinema muto in Ben Hur esplorava i suoi limiti e, facendosi interprete delle nuove esigenze spettacolari, anticipava in un certo senso la sua fine. In Ben Hur, come in Napoleon o ne La corazzata Potëmkin e in tutti i più avanzati risultati del cinema muto, il cinema sonoro e – perché no? – il cinema a colori, facevano la loro prova generale.
MUSICA IN SALA
di Luca Antoccia
“Mia moglie suonava il piano e io il violino. E quando c’erano grandi film come I Nibelunghi o Ben Hur allora era tutta un’altra musica. C’era anche un violoncello e un contrabbasso e un harmonium, a volte anche una batteria e i piatti… Non era facile suonare, sì…”.
Al tempo del muto le cose dovevano andare pressappoco proprio come le racconta il vecchio gestore di un cinema tedesco all’inizio del film di Wenders Nel corso del tempo. Un cinema davvero muto, “silenzioso”, non è mai esistito. Se si eccettua il periodo pionieristico delle proiezioni dei Lumière, il cinema è sempre stato accompagnato in sala dalla musica. Poco importa se era un semplice piano o una vera orchestra. Ma la musica scritta era una eccezione, il più delle volte si creava in sala seguendo il ritmo delle immagini. Ricreare oggi le esecuzioni musicali dell’epoca non è quindi possibile e, forse, non sarebbe nemmeno giusto. Non è possibile recuperare le armonie estemporanee che ogni sera nascevano e si disperdevano. Ma se è vero che il problema della “fedeltà” in termini filologici non si pone neppure (e la versione modernissima che Moroder ha potuto fare di Metropolis lo dimostra ampiamente) si pone però in termini culturali. È giusto fare delle opere vicine alla sensibilità musicale odierna, ma è anche necessario provare a rispettare il contesto culturale, lo spirito e il significato dell’opera cinematografica che si ha davanti e che la nuova partitura in definitiva dovrebbe servire.
Questo è anche l’approccio di Carl Davis, autore e direttore delle musiche di questa riedizione di Ben Hur. Davis ha tenuto conto non solo del carattere di melodramma romantico a sfondo religioso che ha il film, ma anche del periodo e, in particolare, del modo di recitare. Il risultato è uno stile sinfonico, talvolta ispirato a Wagner (ma che talvolta riecheggia anche altri due punti di riferimento di Davis, Beethoven e Bartók) con un forte uso della melodia e che non disdegna motivi della tradizione medievale (come il tema del Cristo) o anche irruzioni più moderne (la sequenza degli schiavi sofferenti).
Ma Ben Hur non è un caso isolato nella produzione di questo compositore-direttore nato a Brooklyn nel 1936, ma da quasi trenta anni in Inghilterra. Dopo il grande successo ottenuto nel 1980 con la composizione originale per il Napoleon di Abel Gance, ha realizzato per la Thames Television di Londra tutta una serie di partiture originali di film muti che con il titolo “Hollywood” sono stati acquistati e trasmessi da 55 televisioni. Oltre a Ben Hur ha così musicato La carne e il diavolo di Clarence Brown, Il ladro di Bagdad con Douglas Fairbanks, Come vinsi la guerra di Buster Keaton, Intolerance di David Wark Griffith.
Fra le numerose incisioni al suo attivo c’è anche una selezione di brani composti per Ben Hur (disponibile, anche in Italia, con l’etichetta Silver Screen).
Rassegna stampa
“Il motivo biblico si intreccia con la vicenda di Ben Hur, costituendone l’aspetto “morale” che tempera la magniloquenza dell’insieme, soprattutto nei due momenti-chiave: la battaglia navale e la corsa delle bighe. Incalzante l’una, meno convincente l’altra (tutto il contrario del remake di Wyler), sorprendono per la grandiosità della messinscena, con il dilagare delle comparse che drammatizzano il quadro. E, di contrasto, la tenerezza dei passaggi legati alla presenza – mai frontale, solo abbozzata – della vita del Nazareno, sempre sottolineata dal viraggio, usato in funzione espressiva (maggiore plasticità alle scene più significative). Il risultato, a considerarlo con il gusto smaliziato di oggi, è un “polpettone” melodrammatico e spettacolare (dietro ci sono le esperienze di Griffith e Ince), da gustare come un fascinoso reperto archeologico.
Ben Hur o del cinema come favola per tutte le stagioni, resa ancora più appetibile dal commento “live” dell’Orchestra Sinfonica di Monaco di Baviera diretta da Carl Davis. Un incedere a tratti quasi mahleriano per una fiaba di lusso”.
(Antonio Mazza, Il cinema come favola per tutte le stagioni, Il Tempo, 13 luglio 1990)
“Davis è riuscito a compiere il grande salto. Messi da parte i pochi accordi della tastiera, ha fatto rivivere le gesta del leggendario Ben Hur attraverso le varie sezioni strumentali. Archi, legni, ottoni e percussioni hanno prestato la loro voce ai protagonisti di questo melodramma romantico che rivive attraverso la storia dell’ebreo Hur, la nascita, la vita e la morte di Gesù di Nazareth. Un tipo di musica, la sua, che risente di varie ascendenza. Il risultato? Una colonna sonora certamente non omogenea ma ricca di spunti interessanti come nella spettacolare sequenza della corsa delle bighe tra Ben Hur e il romano Messala, dove la musica sfrutta tutta la carica esplosiva degli ottoni e delle percussioni per commentare la vittoria del protagonista. Non mancano alcune preziosità timbriche affidate spesso al dolce suono dell’oboe e del corno inglese come nella piccola scena di Gesù che ristora con un sorso d’acqua il protagonista condannato alla schiavitù nelle galere. Frequenti dei piccoli incisi melodici”.
(Giulia Bondolfi, E l’orchestra presta la voce a Ben Hur, Il Messaggero, 14 luglio 1990)
“Il restauro della copia proiettata a Villa Medici è stato realizzato dalla Thames Television e dalla Photoplay Production. “È stata ritrovata una copia al Czech Film Archive di Praga in condizioni eccellenti”, racconta Kevin Brownlow, restauratore dell’opera, “sia per quanto riguarda il bianco e nero che per i monocromi rossi, blu e rosa. Certo l’originale rimane, come sempre succede, insuperabile, ma credo di poter dire che in questo caso siamo riusciti a perdere davvero pochissimo quanto a colore e nitidezza. Il technicolor della MGM si proponeva qui con un film che doveva risultare il più possibile epico e grandioso: paradossalmente, invece, le tinte e la qualità della pellicola sono assai delicate e raffinate; la difficoltà maggiore è consistita in non alterarle””.
(Margherita d’Amico, Ma Ben Hur non piaceva al duce, Corriere della Sera, 12 luglio 1990)
LE MOLTE VERSIONI DI UN CAPOLAVORO
di Luca Antoccia
Prima ancora che un successo cinematografico Ben Hur era stato un grande successo editoriale. Il romanzo, scritto nel 1880 da Lew Wallace, un generale della Guerra Civile, andò ben oltre le aspettative dell’autore che vide in poco tempo moltiplicarsi le edizioni e le traduzioni. Fu il teatro ad accorgersi per primo delle potenzialità spettacolari del romanzo (che tuttavia soltanto il cinema svilupperà appieno). Ecco così che Ben Hur diviene a Broadway un successo teatrale, come altri sfarzosi adattamenti di romanzi popolari (si pensi a Quo Vadis o a Le due orfanelle) di cui Hollywood non tarderà ad accorgersi.
Il Ben Hur di Niblo non fu il primo e non fu l’ultimo film tratto dal romanzo di Wallace. Il primo era stato realizzato addirittura nel 1908. Diretto da Sidney Olcott, un ex attore, il film andò incontro a parecchi problemi perché la Kalem che produceva il film non aveva provveduto ad acquistare i diritti sul romanzo e si trovò così a dover pagare un indennizzo di 25.000 dollari. Molto per un film di due bobine ancora legato alla fase preindustriale del cinema. Anche per questo il Ben Hur del 1908 non ha lasciato una traccia consistente.
Non vi è invece chi non abbia mai visto almeno la sequenza della corsa delle quadrighe del Ben Hur impersonato da Charlton Heston nel 1959. Il film fu uno dei più grandi kolossal mai realizzati: costò una ventina di milioni di dollari ma nel corso di varie riedizioni arriverà a incassarne oltre il triplo. La celebre sequenza costò da sola un milione di dollari e vari mesi di lavorazione. Il regista William Wyler aveva partecipato poco più che ventenne in qualità di assistente al Ben Hur di Niblo. Un altro punto in comune tra i due film è Arnold Gillespie, nel 1925 come nel 1959 a capo degli effetti speciali.
Il film fece incetta di Oscar: raccolse ben undici statuette.
Crediti
Regia Fred Niblo
Musica Carl Davis
Ensemble Orchestra Sinfonica di Monaco di Baviera
Direzione orchestra Carl Davis
Interpreti Ramon Novarro, Francis X. Bushman, May McAcvoy, Betty Bronson, Claire McDowell, Kathleen Kay, Carmel Myers, Nigel de Brulier, Mitchell Lewis, Frank Currier, Leo White, Charles Belcher
Restauro Thames Television, Photoplay Production