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Villa Massimo
4 Luglio 1991
25romaeuropa.net

Ensemble Modern

Tabu di Friedrich W. Murnau


Questa serata del Romaeuropa Festival è dedicata a Tabu di Friedrich Wilhelm Murnau,una pietra miliare nella storia del cinema. Il film del 1931 ha la sua genesi nel desiderio di Irving Thalberg, capo della Paramount, di fondere l’amore per il documentario etnografico di Robert Flaherty con l’abilità per la costruzione di strutture narrative dal forte impatto emotivo di Murnau. Tuttavia la collaborazione artistica fra i due registi – Flaherty prediligeva attori non professionisti, ma immersi nel loro ambiente naturale, in modo da potersi abbandonare alle suggestioni dello scenario, mentre Murnau poneva in sceneggiature fortemente architettate, personaggi in lotta con un fato avverso – si dimostrò impossibile e l’avventura si concluse con un placido abbandono del set da parte di Flaherty, a cui seguì la prematura scomparsa di Murnau.
Il film restò senza commento musicale.
Su questa assenza, Violetta Dinescu ha creato una partitura che si interseca e dialoga, subendone il fascino, con la tessitura drammaturgica dell’immagine cinematografica. L’Ensemble Modern ha completato l’evocativa serata con una di quelle esecuzioni che lo hanno reso famoso in Germania come altrove.

Commento musicale Violetta Dinescu
Interpreti (Ensemble Modern) Dietmar Wiesner (flauto), Catherine Milliken (clarinetto), Noriko Shimada (fagotto), Franck Ollu (corno), Michael Groß (tromba), Uwe Dierksen (trombone), Rumi Ogawa-Helferich, Rainer Römer, Isao Nakamura (percussioni), Ellen Wegner (arpa), Ueli Wiget (pianoforte), Mathias Tacke, Hilary Dickel (violino), Werner Dickel (viola), Michael Stirling (violoncello), Thomas Fichter (contrabbasso),
Direzione musicale Kaspar de Roo

 

RIFLESSIONI SU TABU
di Violetta Dinescu

Il film di Murnau ebbe su di me l’effetto di un brano musicale. Guardando quelle immagini mute scoprivo leitmotiv e linee melodiche da inseguire. Mi affascinava questo effetto “sonoro” del film su di me.
Cercavo di essere all’altezza del compito affidatomi, di comporre cioè la musica per il film, trovando una espressione adeguata al suono doloroso, intrinsecamente poetico, del racconto cinematografico. Per dare un profilo alla differenziata struttura del film, occorreva innanzi tutto mettere insieme una rete di punti sincronici che legassero, in una unità ideale, l’immagine e il suono. D’altra parte, l’aspetto live della rappresentazione imponeva di andare al di là di tali esattezze, creando delle sezioni libere di note, che permettessero al direttore d’orchestra, a sua discrezione, di adeguarsi all’immagine.
La forma della composizione è nata dallo schema dell’azione.
Il materiale musicale, controllato e ordinato in base a diversi parametri, è stato modificato e sviluppato attraverso vari procedimenti, sempre seguendo il senso del racconto, in modo che il commento sonoro parafrasasse, o se necessario, facesse da contrappunto all’azione; gradualmente emergono corrispondenze sonore che ravvisano, esaltano, la valenza quasi mitologica del tema.

 

Rassegna stampa

“Costante dei suoi lavori (Murnau, n.d.r.), oltre alla parte “morale”, la sua “weltanschaung” così cupa, scaturente dall’eterna dicotomia eros- thànatos, quella tecnica, con la “camera” che diventa quasi “un personaggio del dramma”, come notava Marcel Carnè. Tabu è l’apice della sua visione romantica, con l’isola felice dei Mari del Sud dove si consuma la favola impossibile di Reri e Matahi, in un crescendo lirico-drammatico notevole. Anche Flaherty collaborò con Murnau ma il suo taglio narrativo, più etnografico, poco si armonizzava con quello da romanzo alla Conrad del collega. Dunque immagini e musica, una serata da non perdere”.
(Antonio Mazza, Murnau a Villa Massimo, Il Tempo, 4 luglio 1991)

Tabu, che è fra i capolavori del cinema, è stato accompagnato dalla musica dal vivo dell’Ensemble Modern, un gruppo di solisti specializzato in interpretazioni di composizioni contemporanee come quelle di Violetta Dinescu, autrice del commento sonoro. Nata a Bucarest nel 1953, la Dinescu è considerata nel suo paese una delle più importanti compositrici della nuova generazione. Per il film ha scelto – come lei stessa ha affermato – “una composizione che parafrasasse o facesse da contrappunto all’azione del film, sviluppando in senso drammatico la valenza mitologica del tema”.
(Teresa Campi, “Tabù”, il mitico film muto parla attraverso la musica, Paese Sera, 6 luglio 1991)

Tabu resta una sorta di testamento spirituale di Murnau, la definitiva affermazione della sua filosofia disperante, che non prevede salvezza per l’uomo. Il film si chiude con Matahi che, spossato dalla fatica, muore in mare nel vano tentativo di inseguire la barca che porta via Reri. Film raffinatissimo e simbolico, giocato su splendidi immagini, Tabu è uno dei titoli che restano nella storia del cinema […]”.
(“Tabù”, la magia del muto, Trovaroma, 4 luglio 1991)

 

TABU, FRA FLAHERTY E MURNAU
di Guido Cincotti (Conservatore della Cineteca Nazionale, Scuola Nazionale di Cinema – Roma)

Nel 1930 Irving Thalberg, capo della Paramount, propose a Robert Flaherty, reduce con Moana dall’ennesimo insuccesso commerciale, di scrivere un soggetto originale ambientato ancora una volta nei mari del Sud. Ma per premunirsi dal rischio che la propensione per il puro documentarismo etnografico inducesse il regista americano a trascurare gli aspetti narrativi e l’intreccio sentimentale, graditi al pubblico, pensò di affiancargli un cineasta aduso a costruire storie drammatiche di indiscutibile impatto emotivo, e al tempo stesso sufficientemente raffinato per non far pesare il proprio intervento come un’intrusione calcolata della produzione. Credette di trovare l’uomo giusto in Friedrich Wilhelm Murnau, cineasta europeo colto e sensibilissimo, il cui prestigio permaneva intatto malgrado le non esaltanti prove fornite a Hollywood.
L’intesa fra i due artisti sembrò foriera di ottimi risultati. Ma Thalberg non aveva tenuto conto della diversità dei due caratteri, delle due culture, delle due diverse concezioni del cinema che si incarnavano in Flaherty e in Murnau.
Il primo era abituato a lavorare all’aperto, senza attori professionisti, seguendo i suggerimenti che i luoghi, la natura, i personaggi stessi gli offrivano, consentendogli il pieno abbandono al proprio sentimento e al calore umano che pervadeva tutte le sue realizzazioni, pur incentrate su una rigorosa osservazione etnografica e antropologica. Il secondo, temperamento più aristocratico e distaccato, aveva sempre girato in interni, in ambienti claustrofobici in cui personaggi, perfettamente delineati già nelle pagine della sceneggiatura, consumavano i loro rovelli esistenziali ponendosi al centro di situazioni drammatiche dominate da un oscuro senso di fatalità. L’esile spunto narrativo era più che sufficiente a Flaherty per comporre una lirica elegia sulla vita incontaminata degli indigeni polinesiani e sul loro traumatico scontrarsi con un destino avverso. Murnau invece aveva bisogno di personaggi immersi in un dramma, nel chiuso universo di un fato visto impassibile demiurgo.

La sottile contesa fra due temperamenti così diversi non diede luogo a rotture clamorose: i due cineasti erano troppo educati e rispettosi l’uno dell’altro per tentar di prevaricarsi reciprocamente. Poco a poco Flaherty prese signorilmente le distanze, si allontanò dall’isola prima che terminassero le riprese, né partecipò al montaggio del film. “Tabu? – affermerà anni dopo, perentoriamente – È di Murnau”.
E in effetti l’ariosa ed elegiaca vena poetica di Flaherty, pur avvertibile nella concezione generale del film, appare come sovrastata dalla cupa drammaticità che investe la storia nel suo dipanarsi implacabile, tutto giocato sul contrasto tra le ombre e le luci, tra l’innocenza conculcata e il peso di una nemesi inesorabile, che alla fine ha fatalmente la meglio e perviene a un esito tragico, privo di conforto: come era nella concezione e nel gusto di Murnau.

Girato muto, Tabu, venne sonorizzato dopo le prime visioni di prova, con un commento musicale alquanto pletorico, e certo inadeguato, dovuto a Hugo Riesenfeld. Il film non portò fortuna ai due artisti: Flaherty scelse la via di un volontario esilio in Gran Bretagna (dove nel ’34 realizzò Man of Aran: forse il suo capolavoro); in quanto a Murnau, uno stupido incidente stradale troncò la sua vita prima della presentazione “ufficiale” del film.