Roberto Andò non vuole definirlo uno spettacolo, non c’è infatti rappresentazione, come non c’è la costruzione di una vicenda. È la Sicilia ad essere al centro della visione, tra immagini e musica. Su due schermi bianchi, in fondo al palco del Teatro Vascello, è proiettato il film il cui racconto, sui versi del poeta siciliano Lucio Piccolo, segue un viandante attraverso le strade di Palermo: il cinquecentesco palazzo dello Spasimo, un tempo lazzaretto; il santuario di Santa Rosalia ed i penitenti che in ginocchio salgono le scale; il convento di Montevergini, luogo del processo alla banda di Salvatore Giuliano; il Teatro Massimo con i suoi eterni restauri. Mentre scorrono le immagini, dal telone e dall’oscurità emergono le figure dei musicisti – dei lamentatori di Montedoro, dei carrettieri di Villabate, dei tanti suonatori della città – che ne raccontano la grande tradizione e le ferite ancora aperte. A questa musica popolare (Elsa Guggino ne è stata consulente), Roberto Andò aggiunge brani di Luciano Berio e Aldo Bennici creando un'”azione per musica e film in forma di concerto”.
La sabbia del sonno deve il suo titolo ad un verso di Lucio Piccolo, a cui è dedicato lo spettacolo.
Ideazione e regia Roberto Andò
Collaborazione alla drammaturgia Enrico Stassi
Musiche e canti popolari Elsa Guggino, Enrico Stassi, Girolamo Garofalo, con la partecipazione di Sabrina Giuliani (viola)
Musiche per viola sola Aldo Bennici, Luciano Berio, Marco Betta
I suonatori di Palermo Liberto Canino (mandolino), Carmelo Di Gregorio (chitarra), Salvatore Rizzo (violino)
I carrettieri di Villabate Ignazio Dominici, Nino Geraci
I lamentatori di Montedoro Rosario Randazzo (I voce),Calogero Randazzo (II voce),Angelo Randazzo (III voce), Giuseppe Pace, Salvatore Randazzo (basso), Franco La Piana (tromba), Angelo Nobile (tamburo)
Banda Musicale di Ciminna A.c.a.m. “Giuseppe Verdi” (M° Francesco Frangipane, direzione)
Impianto scenico Fabrizio Lupo
Disegno luci Giuseppe Calabrò
Aiuto regista Fiorenza Ippolito
Direzione tecnica Renzo Milan
Consulenza etnomusicologica Elsa Guggino, Girolamo Garofalo
IL FILM
Realizzazione C.L.C.T.
Fotografia Angelo Strano
Organizzazione Giovanni Massa, Sergio Gianfalla
Con Gaspare Cucinella, Fortunato Giordano
Operatori Liberale Garofalo, Renato Galiano
Allestimento Nunzio LaVenuta
Macchinista Raffaele Ajovalasit
Attrezzista Riccardo Sapia
Trucco Lucia Mangiapane
Apparecchiature di proiezione Cinemeccanica Flachi – Palermo
Impianto fonico Trust – Palermo
LA SABBIA DEL SONNO
di Roberto Andò
La sabbia del sonno non è uno spettacolo. Una tale definizione sarebbe impropria.
Per molti dei suoi protagonisti partecipare a questo evento va al di là di qualsiasi idea di rappresentazione. Questa condizione privilegiata (tale io la reputo) ha fatto sì che poi, nella durata dell’evento, nella negazione del valore rappresentazione/teatro, veramente si insinuasse la vibrazione straordinaria e rara del teatro.
Nella necessità di definire e nominare quello che si è fatto, per approssimazione, ho scelto la dizione azione per musica e film in forma di concerto.
Non esiste vicenda, neppure a grandi linee.
La sabbia del sonno è dedicato a Lucio Piccolo.
LA SEDUZIONE SONORA DELLA SICILIA, TERRA DI SONNO
di Roberto Andò
Nell’ora
che su la città è una coltre in caligini
e scende, né la ferma spranga o chiavistello,
e posa a ognuno la sabbia del sonno su le palpebre…
Così recita Lucio Piccolo, straordinario poeta che ha dedicato alla Palermo delle chiese barocche, dei conventi, dei misteri e delle ombre tutta la sua opera, accendendone il fascino e il vizio.
Perché un poeta, per sigillare un “evento” intorno alla musica popolare siciliana? Perché sia subito riconoscibile il tono di voce inconfondibile che si mette in scena: Piccolo nei suoi pochi, bellissimi versi ha raccontato Palermo e le sue oltraggiate memorie. Gli altri debiti tengono conto di una stessa seduzione sonora ed immediato mi è parso l’accostamento Piccolo, Consolo: al di là della vicenda biografica, per la frantumazione barocca – en poète Piccolo, nella materia prosa Consolo – della loro lingua. Tra i mondi poetici diversi di personalità così caratterizzate un dato comune e sicuro è quello di una lingua per l’ascolto, che è già ritmo, suono. Ed è questa una peculiarità mai attenuatasi della poesia di Ignazio Buttitta, tale da, naturalmente, inclinarsi al canto, civile ed umano. Qui devo anche dire che si compongono in queste scelte mie ossessioni che incrociano le ossessioni di questi autori, alcune delle quali esterne, nel senso che le respiriamo nell’aria in questo angolo della terra, e ancora la sedimentazione di anni di conversazione con Francesco Agnello, testimone della civiltà dei Piccolo e dei Lampedusa, e fascinosa incarnazione dei richiami, degli echi, dello stile del loro mondo.
La sabbia del sonno è quella che scende pesante sulle palpebre nell’ora che sulla città incombe una coltre caliginosa che sembra far evaporare le pietre e le persone, è un’immagine chiave perché incatena insieme la polvere di sabbia su cui è difficile lasciare tracce e memorie, e il sonno metafisico dei siciliani colti, quello in cui Lampedusa racchiude una declinazione essenziale dello stare al mondo. Il sonno, sin dall’inizio, mi è sembrato un filo da svolgere per raccontare in uno spettacolo l’altalena di toni della musica popolare siciliana, quella contemplazione della vita e della morte che vi si dischiude con malinconia, con dolcezza, con amarezza, raramente con rabbia. Il vago sentimento iniziale era quello di disegnare un’epopea (deforme solo per via di uno sguardo straniero) della cultura popolare in cui, attraverso la voce di coloro che nell’antropologia militante si chiamavano “informatori”, si schiudesse un mondo sonoro, che ha ancora prestigio e grazia, pur nella marginalità della sua vicenda quotidiana in quel mondo di ectoplasmi che sembra delinearsi per abuso televisivo.
Il mio atteggiamento nei confronti della cultura popolare, delle sue tracce e sopravvivenze, è abbastanza disincantato. Alcune non irrilevanti questioni anagrafiche mi tagliano fuori da nostalgie e struggimenti. Mi sono ritrovato in alcune note di Calvino, di lucida distanza intellettuale, la stessa che gli ha permesso di attendere all’opera di riscrittura delle fiabe popolari, la stessa capacità di ascoltare quel tono di voce e ritradurlo secondo un proprio timbro e una propria lingua di scrittore. Ed è proprio quest’opera di ascolto che volevo intraprendere, un viaggio di un viaggiatore senza implicazioni sentimentali, se non quelle d’essere nato e cresciuto in un luogo di rimemorazioni e assenze, forte di propri contrasti e orgogli. Non c’è storia o vicenda, ed è veramente una seduzione sonora per gli splendidi motivi e litanie e filastrocche e canti e bisbigli di vita e di morte di questa tradizione a segnare e agglutinare le immagini del film e le azioni dei musicisti, come in un sogno, di cui il tempo teatrale è solo una fedele trascrizione.
Sulla scena sarà lo schermo bianco su cui scorreranno le immagini del film: come le ombre della metafora di Platone vedremo la città, le sue reliquie, le sue rovine, i suoi splendidi barocchi, e vedremo il teatro che vi si compie nella vita quotidiana, un teatro che spesso trova alleanza con la morte, col lutto o che curiosamente si addentra nel surreale, nella maschera. Questo lavoro di mise en scène non si sarebbe compiuto senza gli anni di studio di Elsa Guggino e della scuola etnomusicologica che intorno a lei si è raccolta. Ed è straordinaria la tensione verso la ricerca che vi ho riscontrato, e parlo di una ricerca di senso, oltre la filologia e il rispetto. Per questi motivi mi è sembrata una ulteriore chiarezza di segno la presenza di Aldo Bennici, musicista riconosciuto nel mondo musicale “colto”, che da anni si interroga, a partire dal suo strumento, la viola, su quella tensione linguistica particolarissima che si dispiega nella musica popolare siciliana.
Rassegna stampa
“La grande avventura incomincia con un accordo di violino. Il violinista è solo un’ombra che si dissolve sulle immagini del film. E da quel momento il senso della realtà si fa remoto e impalpabile. Le figure di Leonardo Sciascia e di Lucio Piccolo proiettate sullo schermo, sono più vive “dei luoghi che non esistono, quelli che vengono sù dove si è cessato di guardare”; secondo i versi di Gioco a nascondere di Lucio Piccolo. Così le presenze reali si materializzano simili a spot pubblicitari fuori dallo schermo per rientrarvi risucchiate. Inquietanti”.
(Mya Tannenbaum, Nostalgia della Sicilia fra suonatori e carrettieri, Corriere della Sera, 15 luglio 1992)
“[…] dentro il film, avvolta dai due schermi lattei, la musica. Il canto ornato e salmodiante dei carrettieri siciliani, i lamenti politonali della Settimana Santa intonati dai Lamentatori di Montedoro, i “trionfi” dei cantastorie, ciechi cantanti in una bottega di barbiere e infine i suoni e le voci raccolti dalla “passione” etnomusicologica di Elsa Guggino e Girolamo Garofano. Sui quali scende, spentosi l’ultimo canto, la luce sabbiosa della luna”.
(Guido Barbieri, Lamenti di Sicilia tra film e musica, Il Messaggero, 16 luglio 1992)
“”Sonnu sonnu, sonnu veni veni. Veni lu sonnu di ddocu abbana”. Così canta la ninna nanna che una voce di donna (quella di Elsa Guggino), dolce e stanca, scioglie su un tremulo suono di viola. Un’immagine arcaica, mitica, quella del sonno che lenisce le pene, invocato da dei e uomini con la stessa speranza; un suono che viene da lontano e produce un’emozione forte […]”.
(Marco Spada, Una ninna nanna siciliana, l’Unità, 18 luglio 1992)