Tre serate completamente dedicate alla letteratura pianistica ed ai suoi interpreti che, nella splendida cornice di Palazzo Farnese, hanno presentato un repertorio che ha spaziato dal Settecento agli inizi del Novecento, conservando costante, nei tre concerti, l’estro musicale di Debussy: del resto, era il 75° anniversario della morte del compositore (Parigi, 25 marzo 1918).
L’austriaco Rudolf Buchbinderè stato interprete di un programma che ha posto al fianco di Debussy (Pour le piano, 1894) e delle opere di Mozart dal colore e dall’ambientazione francese (Variazioni k. 265 e Sonata k. 333), il Beethoven della Sonata n. 57 (1805), quella ribattezzata dopo la morte dell’autore Appassionata e chiaro spartiacque nell’evoluzione compositiva beethoviana.
Repertorio completamente francese per il raffinato e virtuoso Georges Pludermacher che convergendo sul Novecento ha presentato accanto agli Etudes (1915) di Claude Debussy, ultime creazioni per pianoforte del compositore ormai gravemente malato, Le jeux des contraires e Sur un même accord di Henry Dutilleux, gioco musicale di tecnica e fantasia, per concludere con Gaspard de la nuit di Maurice Ravel, divertita e fantasiosa traduzione musicale di un testo a sua volta traduzione poetica di immagini – si tratta infatti del testo di Aloysius Bertrand, trascrizione in poesia delle incisioni di Rembrandt e Callot.
Infine, come nutrito da una ricerca interiore e dalla costruzione di personali assonanze, è stato il programma interpretato dal pianista di origine tunisina Jean-Marc Luisada che ha offerto un excursus lungo un secolo di musica, da Chopin a Satie, da Beethoven a Granados, per concludere con il Debussy delle Images (1907), forse il terreno più adatto al suo stile pianistico.
RECITAL RUDOLF BUCHBINDER
Musica Wolfgang Amadeus Mozart (Variazioni K265, Sonata K333: Allegro, Andante cantabile, Allegretto grazioso), Claude Debussy (Pour le Piano: Preludio, Sarabanda, Toccata), Ludwig van Beethoven (Sonata op. 57, Appassionata: Allegro assai, Più allegro, Andante con moto, Allegro ma non troppo, Presto)
Pianoforte Rudolf Buchbinder
20 luglio
RECITAL GEORGES PLUDERMACHER
Musica Claude Debussy (12 Etudes), Henry Dutilleux (Le Jeux des contraires, Sur un même accord), Maurice Ravel (Gaspard de la nuit)
Pianoforte Georges Pludermacher
21 Luglio
JEAN- MARC LUISADA
Musica Ludwig van Beethoven (Sonata op. 101: Allegretto; ma non troppo; Vivace alla Marcia; Adagio, ma non troppo, con affetto; Tempo del primo pezzo: tutto il cembalo, ma piano), Fryderyck Chopin (Mazurke op. 41, n. 1,3,4; Op. 50, n.2; Op. 56, n.3; Polonaise fantaisie op. 61), Erik Satie (Trois Gnossiennes), Enrique Granados (El amor y la muerte da Goyescas), Claude Debussy (Images, 2° serie; Cloches à travers les feuilles; Et la lune descend sur le temple qui fût; Poissons d’or)
Pianoforte Jean-Marc Luisada
23 Luglio
Realizzazione in collaborazione con Crédit Foncier de France
MUSICA A PALAZZO
di Erasmo Valente
Avremo un suono prevalentemente francese, nel ciclo dei tre concerti pianistici, avviati da Rudolf Buchbinder il quale chiarisce da subito, già con le Variazioni K. 265 di Mozart, queste intenzioni. Sono dodici, e giocano, eleganti, maliziose, patetiche all’occorrenza, con la canzoncina Ah, vous dire-je maman, ossia Quand trois poulles vont aux champs. Mozart ha una bella fioritura di Variazioni “francesi”, alimentata da arie, ariette, chansons.
Segue la Sonata K. 333, che è proprio parigina. Fu scritta lì, a Parigi, nel 1778. Ampia, fastosa, “parigina”, ha al centro un commosso Andante cantabile, e luccica di un particolare smalto nell’Allegretto grazioso che la conclude.
La Francia, indirettamente rievocata da Mozart, irrompe dalla musica di Debussy che è, poi, il pilastro portante dei tre concerti. Il Debussy di Pour le piano, che afferma (siamo nel 1894) l’originalità che le sue prime composizioni pianistiche avevano messo un po’ in dubbio. Articolata in tre momenti, fu suonata per la prima volta dal pianista spagnolo Ricardo Viñes, perfezionatosi a Parigi, specialista della nuova musica francese. Gli giunga un grato saluto nel cinquantenario della scomparsa (Barcellona, 1943). Pour le piano piacque. Si trovò clavicembalistico e un tantino influenzato da Satie il Prélude, splendida la Sarabanda, meravigliosamente scattante la Toccata.
Sarà formidabile, dopo questo Debussy, il salto all’indietro, tentato da Buchbinder per piombare sull’Appassionata di Beethoven. Dai rivoli luminosi di Mozart e dagli spaziati cieli di Debussy, il suono si fa ora come di pietra, le mani diventano scalpello che affronta la roccia. Buchbinder (non è forse un “legatore di libri”?) che sa ben legare in un concerto le situazioni più diverse, farà suo lo scavo per aprire la nuova strada beethoveniana. L’Appassionata conclude, certo, un ciclo di esperienze, ma costituisce per suo conto una vetta impervia, solitaria. L’indicazione di Appassionata fu suggerita dall’editore August Heinrich Cranz che pubblicò la Sonata nel 1838. Beethoven era scomparso nel 1827 e l’op. 57 (1804-1805) era già oltre la trentina.
Si avvicina alla tastiera adesso (siamo al secondo concerto), Georges Pludermacher , assai più deciso nel prendere nelle sue mani il filo e, anzi, proprio il gomitolo francese. “Le Figaro” parla di lui come di “un immense pianiste”. E Pludermacher dà subito il segno concreto di una immensità, affrontando, ad apertura di concerto, la serie completa degli Etudes di Debussy. Sono dodici studi, in due libri ciascuno di sei brani, composti nel 1915. Si tratta dell’ultima opera pianistica di Debussy. È sempre emozionante ricordare che Debussy dedicò gli Studi alla memoria di Chopin. C’era la guerra in Europa, nel 1915, e c’era una guerra anche nel corpo malato di Debussy. All’esterno e all’interno del musicista incombe la distruzione e in un particolare suo “sentimento del tempo”, Debussy costruisce gli Studi, affidando ad essi quasi un riepilogo della sua vicenda artistica. L’ultima sua stagione si congiunge magicamente alla prima stagione di Chopin che aveva avviato, diciannovenne, gli Studi op. 10 e quelli op. 25, dedicati rispettivamente a Liszt e a Marie d’Agoult, madre, poi, dei tre figli di Liszt.
Ecco la successione dei dodici Studi:
Pour les cinq doigts d’apres Czerny
Pour les tierces
Pour les qua rtes
Pour les sixtes
Pour les octaves
Pour les huit doigts
Pour les degrés chromatiques
Pour les agrémentes
Pour les notes répétées
Pour les sonoritées opposées
Pour les arpeges composés
Pour les accords.
Restando ancora in un clima di alta “didattica”, prima di indugiare su Ravel, il pianista rende un omaggio, doveroso, ad un eccellente compositore, qual è Henri Dutilleux (1916). Si ascolteranno due brani: Le jeux des contraires e Sur un même accord. Dutilleux ha una sua autorevole presenza in Francia e all’estero. Ricordiamo il successo d’una sua pagina sinfonica, qualche anno fa, in un Festival di Mosca. Nel 1938, ventiduenne, ottenne il Prix de Rome e, trent’anni dopo, il Grand Prix de la Musique. Nei due pezzi si riassume il suo gusto (un puntiglio prezioso) per la raffinatezza tecnica e la libertà della fantasia. È autore di balletti, musiche di scena, sinfonie e concerti (quello per violoncello gli fu richiesto da Rostropovic).
Si passa a Ravel con una vertiginosa salita a picco tra le allucinazioni di Gaspard de la nuit. È il titolo di un curioso libro di Aloysius Bertrand (1807-1841), che trasferisce in poemi alcune incisioni di Rembrandt e di Jacques Callot. Maurice Ravel – il libro di Bertrand era apparso in una nuova edizione nel 1895 – trasferì a sua volta in musica i poemi di Bertrand. Tra Ondine, che apre la Suite in uno sfavillio di luce fonica, e Scarbo (un diabolico nano) che la conclude funambolicamente, figura, al centro – lugubre e desolata, puntata su un rintocco insistente – Le Gibet, cioè la forca, il patibolo che, nell’incisione di Callot, è immaginato come un grande albero dai cui rami pendono gli impiccati. Ravel tenne d’occhio il virtuosismo di Liszt e quello del Balakirev di Islamey. Risale invece al 1908 Gaspard de la nuit e la “prima” va ancora a merito del pianista Ricardo Viñes, già ricordato.
Beethoven. Lo abbiamo lasciato sulle vette dell’Appassionata, ma è poi sceso a valle, ha composto altre Sonate, anche di grandi emozioni, ed è poi risalito in alto. Jean-Marc Luisada, un pianista trionfante (ha vinto uno “Chopin” a Varsavia), va ad incontrare Beethoven nella dimora pressoché imprendibile dell’op. 101. La Sonata, compiuta nel corso di due anni (1815-16), lasciò sbalordita, pensiamo, la baronessa Dorothea von Ertmann, dedicataria, splendida pianista. Nella Sonata trova che il suo Beethoven non c’è più, se ne è andato da un’altra parte, in un nuovo pianeta della musica. E in questo nuovo pianeta, Beethoven ci porta soavemente svolgendo un canto (a Wagner sembrò già una “melodia infinita”) misterioso, svolto “con intensissimo sentimento”. Segue un Vivace alla Marcia, che manda tutto all’aria, fatto apposta per spiazzare chi è arrivato fin lassù. Un riflessivo indugio, e via alla conquista di un contrappunto che non dà tregua. La tregua arriva con lo Chopin delle Mazurke, che vive anche lui, in alto, in un cosmo: quello favoloso di Mazur (le pagine scelte sono tra le più incantate). Da Mazur si scende su Parigi, con la “parigina” Polonaise Fantaisie op. 61, che sembrò un delirio a qualcuno, Liszt compreso. Era finito l’idillio con George Sand, e il suono si inoltra nella conquista di un nuovo spazio armonico. Uno di quei momenti magici, che pure nelle mitologie più spietate, si verificano, a volte – e non per caso – per ridare al mondo la vibrazione di un palpito nuovo.
Un po’ di scompiglio arriva da Erik Satie con la sua “musique d’ameublement, qui n’a pas besoin d’être écoutée”, come diceva lo stesso autore, ma che pure aveva tante cose da dire. Ultima nelle tre serie di tre pezzi ciascuna – le prime due sono Sarabandes e Gymnopédies – le Gnossiennes (1890) sublimano la malinconia, la solitudine di Satie, il suo distacco, la sua ironia sottile. A quest’ultima si aggiunge la nostalgia profonda di Granados, quale traspare dal quinto brano delle sei Goyescas: El amor y la muerte, una generosa “ballata” rievocante situazioni di brani precedenti. Dalle Goyescas Granados trasse un’opera e tornando da New York dopo la “prima”, appunto, di Goyesca, morì nel naufragio della nave silurata nello Stretto della Manica (24 marzo 1916). Ancora un richiamo a quella stessa guerra che tanto turbò la coscienza di Debussy. Ritorniamo in sua compagnia.
Il concerto si conclude con una meraviglia di Debussy: la seconda serie delle Images: lo splendore armonico delle Cloches à travers les feuilles; il canto, sospeso tra evanescenti vibrazioni sonore nel brano Et la lune descend sur le temple qui fût; lo sfavillante, abbagliante luccichio che avvolge i Poisson d’or, con dedica al Ricardo Viñes più volte ricordato.
Perché – si dirà – tanto Debussy? Perché è lui che ci conforta nel settantacinquesimo anno dalla sua morte (25 marzo 1918), è lui che può ancora darci “la dolcezza di un tramonto sul mare”, è lui che, con la sua musica, ci toglie dalla nostalgia (fu il suo intimo tormento) di beni non posseduti.
Rassegna stampa
“Il suono avrebbe bisogno di calde pareti e della loro mancanza un po’ di più ha sofferto Rudolf Buchbinderalle prese addirittura con il vento. Dopo Mozart (K. 265 e K. 333) e Debussy (Pour le piano), l’ha spuntata, però attaccando e conducendo magnificamento l’op. 57 (Appassionata) di Beethoven. Non solo Romaeuropa, ma proprio Beethoven ha un asso vincente in Buchbinder che ha concluso il suo recital con uno Schubert fuori programma. Nella solennità di un superasso, è apparso l’altra sera il pianista Georges Pludermacher , […] Ha brillantemente suonato due pagine di Henry Dutilleux (1916) e, stupendamente, a chiusura la straordinaria Suite di Ravel, Gaspard de la nuit. Il tutto, diremmo, all’ombra del maestoso monumento di suoni, scolpito poco prima, nota per nota, con i dodici Studi di Debussy […]. Si avverte dalla stessa esecuzione l’ansia di Debussy, già vicino alla soglia estrema, di farsi trovare, per l’eternità, a fianco di Chopin. E come è con Chopin, così gli Studi di Debussy trascendono le complicate, particolari situazioni tecniche per svolgersi come risultato di geniali slanci fantastici. Pludermacher, svelando una profonda congenialità con l’arte di Debussy […], ha dato a ciascun brano il suo tormento e la sua gioia, la sua luce abbagliante e le ombre più fitte, lacerate spesso con rabbia e dolore. Un grande pianista, questo Pludermacher, applauditissimo e pronto, poi, ai bis”.
(Erasmo Valente, Nel cortile un monumento di suoni, l’Unità, 23 luglio 1993)
“Certo Luisada ne ha fatta di strada rispetto al suo concerto romano di qualche anno fa all’Accademia Filarmonica. Eppure, ancora non convince appieno il suo Beethoven, sebbene suonato con un’attenzione al “segno”, all’agogica, a un fluire della frase di rara perfezione. Il suo è un pianismo brillante, leggero, perlaceo. E le note che vi sgorgano sono spontanee, brillano di luce tersa, cristallina. Ci si aspetterebbe però un maggiore, più sentito accostamento a quell’evidente espressività drammatica che segna, proprio in questa Sonata, l’inizio del “terzo stile” beethoveniano. Nondimeno Luisada regala momenti di grande suggestione come nel vibrante ritmare del secondo movimento, il Vivace alla Marcia dal chiaro andamento contrappuntistico o, ancora, nella lucida esposizione della grande Fuga dell’Allegro finale. Funziona meglio lo Chopin delle mazurke, il “suo” Chopin con una preferenza per quello epico e drammatico della grande Mazurka op. 41 n. 4 e della grande fantasia armonica della Polacca – Fantasia op. 61 rispetto alla struggente mestizia della Mazurka in mi min. op. 41 n. 1 e delle altre Mazurke chopiniane in programma. Ma scorrono via con eleganza garbata anche le Trois Gnessiennes di Erik Satie, l’accattivante l’Amour et la Mort (da Goyescas) di Enrique Granados, così come l’aereo e fascinoso timbro di alcune Images debussyane. Un vero e proprio trionfo, con bis finale, quello che al termine del concerto un pubblico delle grandi occasioni ha tributato al pianista francese. Un concerto che chiude nel migliore dei modi Roma Europa ’93”.
(Michele Francolino, Un piano romantico. Il trionfo di Luisada, Paese Sera, 25 luglio 1993)
“Pludermacher è riuscito in questo intento suonando un Debussy austero rispetto alla formulazione stilistica dell’opera (che restano degli studi, dunque una ricerca musicale e strumentale) e tuttavia sentito, vivo: l’analisi si è continuamente convertita in efficaci soluzioni cromatiche, in immagini dissonanti eppure significative. Ci è sembrato che Pludermacher abbia assegnato agli Studi una densità temporale pari a quella che troviamo nei Preludi, scritti poco prima, e che già preannunciavano nelle scelte tecniche sulla base del tempo il distacco dalla stagione simbolista. Nel segno della continuità il pianista francese ha eseguito due pezzi del compositore contemporaneo Henri Dutilleux. Brevi e vivaci, essi sono stati preludio della suite raveliana Gaspard de la nuit. […] Pludermacher ne ha analizzato i rapporti con gli Studi debussyani regalandoci un Ravel in cui sentire e vedere spesso prendevano l’uno il posto dell’altro, sempre all’interno di una tensione che si è liberata solo nel terzo momento della suite”.
(Leonardo Di Stasio, Un pianista problematico, Il Tempo, 26 luglio 1993)
“Lavori diversissimi nei quali Luisada aveva modo di far conoscere ogni sfaccettatura della sua arte pianistica. E ne sono emersi il tocco straordinario e leggerissimo ottenuto con molta semplicità e grande economia di movimenti, la bellezza del fraseggio, la chiarezza, la pulizia dell’esecuzione in cui non si è avvertita la minima sbavatura. Insomma, una tecnica ineccepibile. Dove Luisada ha invece lasciato perplessi è stato nelle sue capacità di approfondire le ragioni dell’autore, di far capire le differenze di personalità tra un autore e l’altro, le differenze di stile tra un’epoca e l’altra, soprattutto trattandosi, in questo caso, di un secolo intero (da Beethoven a Granados); e che secolo per il pianoforte. Tutto è parso molto fluido ma uniforme e minima è stata l’attenzione alla dinamica. Eppure Beethoven è ben lontano da Chopin, e lo Chopin delle tenere, melodiose mazurke ha poco a che fare con quello della Polacca fantasia op. 61 con il suo alternare tristezza e ribellione. E dov’era l’esotismo delle Trois Gnossiennes? E la drammaticità della Ballata di Granados? Bene invece il Debussy che ci sembra l’autore più congeniale all’elegante e tecnicamente perfetto pianismo di Luisada”.
(Landa Ketoff, L’arte lieve di Luisada, La Repubblica, 27 luglio 1993)