In due serate viene riproposta, per la prima volta integralmente, l’opera elettroacustica su nastro magnetico di Luigi Nono. Fu estenuante la ricerca sul suono e la sua percezione, nell’accezione di tecnica compositiva dell’ascolto, condotta dal compositore veneziano e principiata con Omaggio a Emilio Vedova, del 1960.
Nella sua musica, o meglio nell’esecuzione stessa, è proprio il regista del suono che, considerando la musica su nastro quale uno spartito, può interpretarla e rileggerla attraverso la strumentazione tecnologica ed agire così sulla fruizione: la consolle di mixaggio audio gli rende possibile mescolare ed elaborare, ricostruire e modificare i suoni, sostanzialmente quindi creare uno spazio musicale diverso in ogni nuova performance, secondo il luogo ospite, il contenitore. Ma la musica di Nono non è gioco tecnologico o fascinazione per una prassi formale nuova – altrimenti non sarebbe certo stato uno dei grandi musicisti del XX secolo -, quanto traduzione in linguaggio moderno della cultura sociale, politica, umana contemporanea: essa lascia sempre emergere il reale oltre al mai abdicato impegno ideologico del compositore.
Musica Luigi Nono (Intergrale dell’opera elettronica)
Regia del suono Alvise Vidolin
A cura di Nicola Sani
Assistente Patricia Fogli Iseppe
OMAGGIO A EMILIO VEDEVA (1960)
RICORDA COSA TI HANNO FATTO IN AUSCHWITZ (1966)
CONTRAPPUNTO DIALETTICO ALLA MENTE (1967/68)
OMAGGIO A EMILIO VEDEVA (1966)
RICORDA COSA TI HANNO FATTO IN AUSCHWITZ (1966)
MUSICHE PER MANZÙ (1969)
FÜR PAUL DESSAU (1974)
ESECUZIONE DELLE MUSICHE ELETTROACUSTICHE DI LUIGI NONO
di Alvise Vidolin
Per Luigi Nono la musica elettroacustica memorizzata su nastro magnetico non era un prodotto finito e immutabile, destinato alla semplice riproduzione in sede di concerto, al contrario egli utilizzava il nastro come una sorta di partitura sonora che doveva essere interpretata al pari dello spartito tradizionale, ovvero, un contenitore di materiali musicali precomposti che dovevano essere proiettati nello spazio secondo la logica della performance, in dipendenza dall’ambiente architettonico, dal pubblico e dalla sensibilità dell’interprete.
A partire dagli anni sessanta, Nono ha iniziato a sviluppare una particolare tecnica d’esecuzione delle sue musiche elettroacustiche per rendere più duttile il supporto magnetico e piegarlo alle esigenze espressive del concerto. Secondo la sua ottica, l’azione svolta dal regista del suono può essere paragonata a quella del direttore d’orchestra, anche se, ovviamente, i gradi di libertà concessi dal nastro sono inferiori a quelli tradizionali, ma comunque sufficienti per trasformare la riproduzione in una interpretazione. Tale tecnica si basa sul controllo dinamico e spaziale dei suoni agendo dal vivo sul tavolo di missaggio.
Lo “strumento da suonare”, quindi, è un gruppo di potenziometri che determinano sia il livello sonoro globale che la collocazione spaziale degli eventi musicali. In particolare l’esecuzione si basa su un sistema di amplificazione multicanale che è composto in media da quattro a otto altoparlanti, secondo le caratteristiche acustiche della sala. Questi sono disposti in modo da avvolgere il pubblico con i suoni sfruttando sia la diffusione diretta che quella riflessa e privilegiando di norma le soluzioni asimmetriche. La musica memorizzata su nastro viene inviata a tutti gli altoparlanti, ed il regista ne dosa il livello mediante i potenziometri del tavolo di missaggio. Ogni potenziometro stabilisce il volume di un solo altoparlante e muovendo nel tempo i singoli livelli in modo sincronizzato è possibile tracciare vari percorsi sonori nello spazio a diverse velocità. Dinamica, spazio e movimento sono quindi i parametri controllati dalla regia del suono e grazie ad una gestualità unica è possibile trasformare un diminuendo in un allontanamento e viceversa, moltiplicare un segnale monofonico in una pluralità di sorgenti che circondano l’ascoltatore, alternare spostamenti vorticosi a stasi improvvise, seguendo la logica del discorso musicale impresso sul nastro.
LA MUSICA ELETTRONICA DI LUIGI NONO
di Luigi Pestalozza
L’uso che a cominciare da Io, frammento dal Prometeo del 1981 Nono fa in quasi tutti i suoi lavori della sua ultima fase compositiva (in dieci su dodici) del “live electronic”, riguarda la questione che in realtà fin dagli anni Sessanta sta al centro della sua musica. La questione dell’ascolto, o dell’ascolto come momento di definizione della forma musicale, compositiva, che dunque viene definita nel momento in cui la musica suona, cioè dal fatto/atto sociale dell’ascoltare. Ma allora è la stessa tecnica compositiva a entrare in rapporto con l’ascolto, col suo preciso ruolo formativo in quanto complesso interlocutore culturale, cioè sociale, della musica; e di fatti è a partire da questo ruolo dell’ascolto che la tecnica musicale in e di Nono fino all’elettroacustica, fino al “live electronics”, partecipa, ma ovviamente in quanto parte della tecnica in generale, a quello stare di tutto reciprocamente dentro tutto, in relazione a tutto, secondo il modo principale di vedere le cose non solo musicali del compositore veneziano, per cui invece di finire risucchiata in una qualche oggettiva esercitazione tecnologica relativa soltanto a se stessa, la musica trova nella tecnica il mezzo, lo strumento indispensabile di partecipazione soggettiva ma tutta dialogica, ai rapporti di cui appunto è parte, primo fra tutti quello con l’ascolto che agisce sulla sua forma mentre suona, mentre suonando ne provoca la funzione. Insomma il “live electronics” di Nono è lo strumento del rapporto, il mezzo di immediata interrelazione fra la musica che suona e l’ascolto nella situazione compositiva dunque immediatamente capace di agire sulla forma, sulla comunicazione musicale, come fra l’altro è stato in maniera vistosa e significativa nel caso di Quando stanno morendo. Diario polacco n.2 con il diverso trattamento di suono “live electronics” alla prima veneziana del 3 ottobre 1992, e alla sua ripresa di alcuni mesi dopo a Firenze, ma appunto a seconda della diversa, perfino opposta fisionomia politica (diversi erano i pubblici, i loro modi di pensare) delle due situazioni di ascolto.
Se dunque cambiare l’ascolto, rompere le abitudini, dare forma a un nuovo ascolto, è stato il progetto principale di Nono, il suo modo più vero, più musicale di rompere e cambiare con la musica il rapporto sociale di cui era prigioniera, è al varco degli anni Sessanta quando egli stesso critica Intolleranza 1960 perché musicalmente, acusticamente (anzi) chiusa nello spazio preordinato in cui l’ascolto è indotto ad agire in modo abituale, inertemente, che si verifica una coincidenza non casuale fra alcune messe a punto teoriche di Nono e il suo accostamento alla tecnica elettronica, con i cinque minuti di Omaggio a Vedova del 1960, e poi in maniera ben più significativa nel 1964, con La fabbrica illuminata per mezzosoprano e nastro magnetico. Ma già l’ Omaggio a Vedova per nastro magnetico a 4 tracce, o piste, proviene dalla scoperta di Nono della steoreofonia, della possibile circolazione del materiale sonoro nello spazio acustico, per cui prima, nell’idea musicale di Nono verso la pratica elettronica, viene la forma stereofonica del pezzo, il cambiamento stesso della forma dell’ascolto, e poi appunto il nastro magnetico a 4 tracce, coi suoi materiali sonori funzionali alla mobilità dell’ascolto, alla stereofonia. Né d’altra parte l’omaggio all’amico pittore è casuale, se è quello il periodo dei plurimi di Vedova, delle sue pitture definite spaziali, o se la sua stessa scenografia per Intolleranza interrompe la tradizione delle scene costruite sul testo, sul fatto drammatico, per entrare nello spazio e dargli una forma essa sì principalmente drammatica, nel senso di indurre anche scenicamente a un ascolto, ovvero a un suono, drammaticamente fuori dall’abituale. Ossia in questo contesto mirato a un preciso cambiamento infine musicale, nasce Omaggio a Vedova, il pezzo noniano dell’approccio all’elettronica, al mezzo quantomai disponibile a quel cambiamento nella forma dell’ascolto, cioè del suono. Salvo che ciò prepara la Fabbrica illuminata, il primo lavoro elettroacustico di Nono, ma anche quello in cui più che mai la manipolazione elettronica del suono, dei materiali sonori reperiti direttamente fra gli operai e gli altiforni dell’Ansaldo di Sampierdarena, fa del suono lo strumento del conflitto sociale, anzi della sua comprensione, dell’entrare in esso per incidere musicalmente su di esso. Ossia la musica entra nel conflitto, si schiera in esso ma infine soprattutto perché, di nuovo, è l’ascolto musicale, e quindi di ciò che la Fabbrica illuminata comunica, che cambia forma o dunque modo di pensare la musica anche in generale, se infatti prima di portare a ragionare sull’Ansaldo e i suoi operai, sul lavoro sfruttato ovunque sia, la forma elettroacustica del pezzo nello spazio, il suo muoversi in esso in modo non abitualmente praticato, porta appunto ad ascoltare, o quindi a pensare le cose della musica, ma quindi non solo della musica, in maniera diversa, nuova, rispetto alla maniera abituale di pensarle, cioè di ascoltarle.
Ben inteso, al fondo di tutto questo c’è sempre la concezione noniana della tecnica musicale, compositiva, diversa da quella di chi continuava a ricondurla a una concezione tecnologica di tutto e dunque della musica stessa; per cui però si può allora davvero dire che per Nono la tecnica è stata sempre marxianamente, nel rapporto con il suono, cioè con la natura sonora, la “mediazione passiva”, laddove il lavoro del musicista è quella “attiva”, così che come essa in generale non può diventare “il motore della storia sociale degli uomini”, meno che mai lo può diventare di quella musicale. L’incontro di Nono con Sartre, con il Sartre che a sua volta incontra Marx, è evidentemente vicino. Ma ritorniamo alla Fabbrica illuminata, al suo uso del nastro magnetico, non puramente elettronico, che provocò, nella musica nuova europea, risentimento anche ideologico. In realtà la diversità elettroacustica di Nono nella Fabbrica illuminata, riguardava in primo luogo la compresenza nel pezzo di tre materiali effettivamente diversi, quello concreto (i rumori della fabbrica, del lavoro in fabbrica, della produzione, registrati ed elaborati), quello elettronico, la voce umana (del mezzosoprano su versi di Pavese, dei lavoratori dell’Italsider di Sanpierdarena nei colloqui registrati da Giuliano Scabia e montati nelle prime due delle tre parti del lavoro). Salvo che poi Nono ha compiuto, in questo suo pezzo davvero di svolta, proprio a partire da quei materiali, un’operazione che lo distinse proprio ideologicamente; contaminò materiali finora tenuti separati dalla pratica della purezza elettronica con cui si perpetuava nella neoavanguardia la teoria conservatrice della musica pura, ma contaminandoli perché sono nel medesimo tempo i materiali che per la loro provenienza, per come sono rielaborati nel nastro, per la stessa elaborazione elettronica, infine per la forma che continua a venirgli dallo stesso ascolto mobilitato dal loro stare dialettico in uno spazio acustico del tutto inedito, consentono di illuminare davvero i luoghi del lavoro alienato, la fabbrica del lavoro sfruttato. Ossia la musica, quantomai marxianiamente, “disvela”, disvela infine il rapporto di sfruttamento nella società capitalista, in cui la musica (il musicista) opera, salvo disvelarlo forse soprattutto per la sua forma di ascolto che rompe l’abituale schema acustico della sala, che dunque ipotizza uno spazio di ascolto proprio, nel senso che mentre la Fabbrica illuminata suona, si ascolta un altro spazio di quello della sala in cui stiamo, ovvero non si ascolta l’abituale forma del concerto, bensì un rapporto acustico, con la musica, fondamentalmente cambiato, tale dunque da indurre a pensare il cambiamento di ogni rapporto come cosa praticabile, fattibile.
Con La Fabbrica illuminata, insomma, Nono mette musicalmente in pratica la critica che lui stesso aveva mosso alla staticità spaziale, acustica, di Intolleranza 1960, nella lezione “Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale” (Venezia 27 Settembre 1962). Del 1962, dunque agli inizi del cammino che porterà al Prometeo, la lezione si riferiva in realtà a uno spettacolo rimasto allo stato di progetto per il divieto politico che l’impedì, che l’impedì per la solidarietà che avrebbe espresso all’antifranchismo spagnolo in un rapporto di ascolto “pericolosamente” pubblico, di massa, mobilitante. Lo spettacolo, infatti, avrebbe dovuto svolgersi all’aperto, nel grande spazio di campo S. Angelo a Venezia, fra la gente liberamente circolante in esso mentre si svolgeva l’azione teatrale a sua volta implicante, e cito Nono, “la partecipazione diretta e simultanea, nell’interdipendenza, di individualità tecnico-umane differenti (musicista-pittore, poeta-regista)”. In realtà Nono aveva davanti a sé, nell’ideare il suo spettacolo proibito, l’Assalto al Palazzo d’Inverno di Ejzenstejn, il teatro di movimento, di piazza, di massa, dell’Ottobre teatrale sovietico. Qui sta fra l’altro l’intreccio fra tecnologia, infine elettronica, in Nono e secondo Nono, e (suo) impegno. Il suo stesso guardare esplicitamente a Ejzenstejn, gli serviva per dire come e quanto fosse cosa sua, ma a partire appunto non a caso, dall’Ejzenstejn dell’Ottobre sovietico, l’intreccio fra invenzione di nuove forme e tecniche di teatro musicale, e destinazione rivoluzionaria della musica, teatrale o no, fra l’altro. In altre parole, la stessa stereofonia Nono l’ha vista, l’ha presa, l’ha riconcepita e usata come strumento, mezzo , della sua comunicazione rivoluzionaria, che dunque riguarda ora e d’ora in avanti, la forma stessa della sua comunicazione stereofonica. Ossia la stereofonia non è (si capisce) un’invenzione di Nono, ma è stata una sua invenzione farne la protagonista della sua musica, concepirla e praticarla come principale soggetto della comunicazione musicale, per cui lo spazio sonoro di volta in volta da essa e con essa determinato, diventa il luogo della dialettica sonora che contemporaneamente consente, nel modo particolare di Nono di comunicare al di fuori e contro le vecchie forme di ascolto. Ma appunto Nono comunica così un pensiero non solo musicale antagonistico, ovvero elabora il modo di comunicazione adatto alla comunicazione di questo pensiero; e del resto appena tre anni dopo il mancato progetto veneziano, ci sarà la verifica del Palazzetto dello Sport di Pavia, con la musica per l’Istruttoria di Peter Weiss, ovvero Muzik zu Die Ermittlung’, per nastro magnetico diffuso nello spazio enorme e a forma ovoidale di quell’impianto sportivo (nel quale fra l’altro trovarono posto oltre cinquemila spettatori). Sono in realtà undici “canti” per coro registrato e ricomposto musicalmente sul nastro magnetico, che si ritrovano nella versione, sempre per nastro magnetico, di Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, Cori dall’Ermittlung. Ma anche in questa versione da concerto, se così può dirsi, risalta soprattutto ciò che in quella per il grande spazio di Pavia era stata la forma drammatica dell’ascolto, musicalmente e idealmente unica nella secolare vicenda della drammatizzazione acustica (compositiva) del suono, proprio perché dovuto alla stereofonia trattata per l’ascolto di una polifonia sonora vertiginosamente informale, come forse soltanto i Gabrieli, infatti al centro dell’attenzione storica, musicale, di Nono, l’avevano intuita (Nono ignorava gli esperimenti stereofonici del giovanissimo Musorgskij). Intendo dire che ci fu a Pavia, in quel Palazzetto dello Sport, nel suo spazio immenso, una dinamizzazione stereofonica di quei “canti” corali, di quei cori su nastro magnetico, che gli impresse un moto per così dire centrifugo, proiettati come apparvero all’ascolto senza precedenti, in uno spazio ancora più grande, senza limiti, dove li si sentiva appunto formare una polifonia senza ordine e quindi fantasticamente fuori dall’ordine di cui dunque denunciava l’orrore, fantasticamente capace di cantare l’opposto disordine dell’emancipazione umana, del dolore patito per conquistarla.
S’è detto che questa, della musica per l’Istruttoria, della Fabbrica, è la strada che porta al Nono degli anni Ottanta, del Prometeo, dei Caminantes, dei lavori nei quali il trattamento del suono “live. electronic” (si badi), vuol dire non secondariamente (anche) formazione del suono “in tempo reale”. Ma anche questo comincia molto prima, almeno per quanto riguarda la cultura musicale che sta dietro questa procedura formale, formativa, cui Nono ha cominciato a guardare proprio negli anni Sessanta: la cultura popolare della trasmissione orale della musica. In realtà gli anni Sessanta erano gli anni in cui attorno e attraverso i Canzonieri, l’opera di ricerca e di divulgazione dell’Istituto De Martino, gli stessi Dischi del Sole, si andava formando in Italia un movimento di idee, di studi e di iniziative fra la gente segnati da una forte critica alla cultura dominante della divisione dei generi musicali, della loro gerarchizzazione o quindi inconciliabilità culturale, che ha riguardato tutta la musica italiana del cambiamento, che ha interessato direttamente Nono. E Nono destinerà del resto esplicitamente, significativamente, nel 1969, ai Dischi del Sole, Non consumiamo Marx per voci e nastro magnetico; e non per caso Nono e quella musica italiana stavano idealmente, politicamente, a sinistra, dalla parte della lotta nel mondo, non solo in Italia, del cambiamento, appunto, di tutti i rapporti. Ma appunto prima c’era stato un lavoro, anzi un capolavoro come A floresta è jovem e cheja de vida per tre voci recitanti, soprano, clarinetto, lastre di rame, nastro magnetico, del 1966, su testi e fonti di operai italiani e americani, di Fidel Castro, di combattenti vietnamiti o delle guerriglie latino-americane, di un guerrigliero angolano, eccetera, nel quale il modo di lavorare di Nono su e con gli strumenti, su e con le voci, su e con i mezzi elettronici di produzione e di diffusione del suono, inventa, inaugura davvero una forma di comunicazione particolarmente adatta a ciò che va comunicato. Per esempio tutto il mondo in lotta antimperialista e per la rivoluzione sociale, è presente nella Floresta, che se però non ascoltiamo come una testimonianza statica del conflitto nel mondo, nei diversi paesi del mondo, bensì come una su attiva, dinamica parte, è non da ultimo perché Nono ha composto direttamente sulle voci, sul clarinetto, sulle lastre di rame, come sul nastro magnetico, ovvero ha lavorato insieme agli esecutori (tecnico del suono compreso), così che ogni materiale impiegato, elettronico o concreto, strumentale e vocale, è il frutto diretto della sua ricerca sul fenomeno acustico e sulla sua organizzazione nello spazio: di cui dunque casse a soprattutto microfoni diventano gli strumenti essenziali, essenziali infine alla formazione di un linguaggio che Nono ha dunque progettato e creato con gli esecutori, istruendoli, imparando dalle loro possibilità, realizzando tutto il “possibile” acustico “necessario” al suo progetto compositivo o meglio comunicativo, che alla fine solo l’esecutore era in grado di realizzare. L’esecutore, così, si riferiva più al lavoro in comune con il compositore, che non ai pochi segni convenzionali di una inesistente scrittura, o grafia particolare, del pezzo; che d’altra parte in esecuzione prevedeva l’ulteriore intervento del compositore, di Nono, che regolava dalla consolle la diffusione nello spazio del suono, dunque a diretto contatto, interattivo, con l’ascolto. Ma allora vale davvero il richiamo al comporre “in tempo reale”, con alle spalle (molto chiaramente) la cultura della trasmissione orale, dell’affidamento principale all’ascolto del vivere e del modo di vivere unicamente sociale, poiché del resto è comunque con e nella Floresta, nella sua prassi creativa, che Nono si pone il problema perfettamente organico al suo impegno ideologico ma destinato a diventare strutturale nel suo pensiero e nella sua prassi musicali negli anni `80, di formare, mentre la musica suona, la sua forma acustica, la sua prassi sonora, insomma di definire la prassi e la forma comunicativa del pezzo, in ultima analisi il suo diverso ascolto.
(da Luigi Pestalozza, La musica-elettronica di Luigi Nono, ora in Catalogo Romaeuropa Festival ’94)
Rassegna stampa
“Si provi ad ascoltare il cuore del Canto di arrivo a Auschwitz, lo strazio del coro, il modo con cui penetra dentro l’anima. Si provi ancora a seguire il Canto di Lili Tofler, ci si ritroverà nudi di fronte alla grande tragedia. L’opera elettronica di Luigi Nono dimostra come la musica può esprimere idee. Il portato filosofico, la riflessione sui temi dell’uomo, l’intera capacità dell’arte musicale di narrare in alternativa al discorso verbale, al pensiero espresso attraverso la parola. […] In Omaggio a Emilio Vedova (del 1960), Nono onorava l’amico pittore, inaugurando la ricerca elettronica, che proseguirà negli anni successivi. Qui Nono ha tentato di colorare il suono, seguendo il principio che lo accompagnerà in tutta la sua produzione: pensare l’ascolto della musica mentre la si sta creando. Dando al tecnico del suono, che lavora su piste magnetiche contemporaneamente in funzione, i compiti di direzione, assecondando lo spazio scenico in cui la musica è eseguita. Spazio tempo e suono diventano un’unità dinamica in movimento e la musica diventa discorso là dove la parola non può arrivare. In Contrappunto dialettico alla mente, del 1967, Nono ha fatto uso delle voci umane del mercato di Rialto a Venezia. Voci trasfigurate, stravolte, responsabili allo stesso modo del suono. Nel Contrappunto la ricerca di Nono si è fatta matura, la lettura è più complessa, gli spazi sono più densi, le contrazioni più lucide ma più compatte. In tutto ciò si apre il gioco dialettico delle sonorità, pieno di utopia, carico della domanda sul senso dell’ascolto. E poi c’è la denuncia politica, il contenuto della musica. La natura che viene cantata è perfettamente integrata dalla cultura che la legge, dell’elettronica che la domina”.
(Leonardo V. Distaso, Luigi Nono “canta” con l’elettronica, Il Tempo, 24 luglio 1994)
IL SUONO DI UN MONDO CHE HA CAMBIATO SPAZIO
di Nicola Sani
La programmazione di arte elettronica e di musica d’oggi si incontrano quest’anno per dare vita ad uno straordinario omaggio a due tra gli autori più significativi del nostro tempo. Iannis Xenakis e Luigi Nono sono due artisti assai diversi, che tuttavia hanno posto al centro della loro ricerca i problemi del suono e dello spazio attraverso le grandi metafore della poesia e della storia. Per entrambi il rapporto con la sonorità elettronica è stato un modo per aprire nuovi spazi e nuovi campi ad una ricerca espressiva rivolta per sua stessa definizione verso le illimitate aperture cosmiche teorizzate da Xenakis o verso quegli infiniti possibili che hanno fortemente caratterizzato la ricerca espressiva dell’ultimo Nono. Due compositori che nel periodo in cui nel mondo dell’avanguardia musicale imperavano lo strutturalismo e l’accademismo post-weberniano hanno preso con decisione le distanze da essi, per guardare verso strade diverse. Entrambi ponendo con forza la questione dello spazio. Se la ricerca di Xenakis, più ancorata al campo scientifico, tende verso la creazione di spazi pensati in funzione e in analogia con la costruzione della struttura sonora, per Nono lo spazio è il luogo della trasformazione del suono. Dalle fabbriche degli anni Sessanta, ai palasport degli anni Settanta, alla chiesa di S. Lorenzo in cui fu eseguito per la prima volta il Prometeo, fino alla moderna Philarmonia di Berlino, Nono ha sempre cercato spazi da trasformare attraverso un ascolto cosciente del suono che in esso veniva diffuso. Un ascolto carico di tensione, sia che porti con sé il canto delle lotte operaie o gli slogan delle manifestazioni degli studenti, sia che arrivi attraverso i lembi estremi di una poesia filtrata dalle lusinghe del mito. Ed è l’approdo al mito un altro elemento di congiunzione/disgiunzione tra questi due autori. Se per Xenakis il mito coincide con la necessità di dare un ordine a una serie di eventi che altrimenti sarebbero affidati al caos, per Nono il mito è l’elemento che scardina l’ordine umano dei valori precostituiti e getta un ponte tra la presa di coscienza da parte dell’individuo della propria condizione e le diverse forme del proprio riscatto. Questi concerti, la cui straordinarietà risiede nell’unicità della loro proposta (mai prima d’ora si era potuto ascoltare la produzione praticamente integrale di musica elettronica di questi due grandi autori), consentono di seguire il percorso di Nono e Xenakis, attraverso la loro progressiva scoperta delle molteplici possibilità del suono, che attraverso l’elettronica diventa materia plasmabile e al tempo stesso elemento centrale della trasformazione dello spazio e del tempo in cui esso si manifesta. Ascoltare queste composizioni, attraverso le architetture luminose ideate per questa occasione da Xenakis, o seguendo le mappe di movimento sonore che Nono ci ha lasciato, significa conoscere e approfondire due tra i percorsi più affascinanti, coinvolgenti e innovativi della musica e dell’arte del nostro tempo.
(in Catalogo Romaeuropa Festival 1994)