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Teatro Nazionale
dal 16 al 18 ottobre 2000
25romaeuropa.net

Un nioc paradis


Photo © Piero Tauro
Un nioc paradis

Il Centre Chorégraphique National de Créteil et du Val-de-Marne/Compagnie Montalvo-Hervieu è sovvenzionato dal Ministère de la Culture et de la Communication DRAC Ile-de-France, dal Conseil Général du Val-de-Marne et la Ville de Crèteil. Riceve il sostegno dell’AFAA – Association Française d’Action Artistique – Ministére des Affaires Etrangères per le sue tournée all’estero.

Un universo sospeso tra sogno e realtà, dove esseri antropomorfi si trasformano in piante o giocano e interagiscono con i danzatori, provocando effetti esilaranti: una teatralità ludica e cosmopolita, nutrita di visioni e giochi tecnologici. Un nioc paradis, nuova e folgorante creazione di José Montalvo e Dominique Hervieu, nasce con il dichiarato desiderio di far divertire grandi e bambini, ricreando un attimo, un frammento di leggerezza e spensieratezza, una ventata di ottimismo. Già nel titolo è l’essenza ed il prologo: nioc nel gergo della periferia parigina sta per coin letto al contrario, cioè “angolo”, quasi a dire che dietro ogni aspetto della vita si nasconde il paradiso, la felicità (o un breve momento di essa). Punto di riferimento letterario per questo piccolo paradiso – “Nessun giorno passa senza che viviamo un istante di paradiso”, diceva Borges – è il francese Robert Desnos, maestro della poesia onirica, ma il materiale fondamentale rimane la multietnica compagnia protagonista, su cui Montalvo opera con la stessa libertà con cui lavora sulle immagini, non uniformando le molte espressività in un unico linguaggio ma evidenziando, al contrario, la qualità e la magica ed individuale presenza dei singoli danzatori.
Il risultato è un mondo festoso di forme, che spazia dall’hip hop al tip tap, dal flamenco alla danza classica, e che mescola stili e radici culturali senza mai celare e nascondere una forte adesione alla realtà contemporanea: “un omaggio”, dice Montalvo, “a tutti quelli che anche nell’inferno sanno dare di se stessi la parte più luminosa”.

A conferma dell’anima giocosa di questo Paradiso, la compagnia ha invitato i bambini (dai sei ai nove anni) a prendere parte ad un balletto-gioco-laboratorio in un luogo-non luogo, ma suggestivo di immagini e racconti come può essere l’ambiente abitato da molti libri e storie, una libreria.

Ideazione video José Montalvo
Coreografa associata Dominique Hervieu
Ensemble Compagnie Montalvo – Hervieu
Luci Christophe Pitoiset
Direttore tecnico Yves Favier
Immagini Pascal Minet
Regia video e palcoscenico Bertrand Thouzelier
Regia luci Emmanuel Gary, Vincent Paoli
Regia suono Fabien Lefort, Thierry Placet
Costumi Alexandra Bertaut
Amministrazione Anne Sauvage
Logistica di tournée Pricilla Ayorisejo
Interpreti Laurent Cedri, Emeline Colonna, Joëlle Iffrig, Tiranké Camara, Mokthar Niati, Brice Oulai, Olga Plaza Villen
Produzione Théâtre National de Bretagna, Centre Chorégraphique National de Créteil et du Val-de-Marne, Compagnie Montalvo-Hervieu

ENIGMA PARADISO
di Jacqueline Risset

“Il paradiso in questo secolo non esiste più”, diceva Joyce. Contro Joyce (al quale tuttavia sono stati sempre fortemente legati), José Montalvo e Dominique Hervieu giocano Borges: “Nessun giorno passa senza che viviamo un istante di paradiso”.
Un istante. Non è la felicità piena, eterna, che la parola paradiso comporta, dovrebbe comportare, ma un frammento, una scheggia, un bagliore intravisto di felicità. Non si tratta di regredire alla credenza – all’illusione – del possesso definitivo. Ma proprio l’aspetto frammentario di questo paradiso paradossale lo rende capace di generare forme nuove, inedite, d’esperienza.
E a sua volta la novità delle forme provoca la felicità, una nuova felicità di energia, o da energia. Lo spettatore si trova quasi sollevato dalla sedia, non soltanto, come accade, per desiderio di seguire il ritmo, muovendosi “in miniatura” alla maniera dei danzatori sul palcoscenico, ma per uno slancio di sorpresa e di giubilazione.

Balanchine, quando preparava la coreografia di Apollon Musagète di Stravinskij, scriveva: “Studiando la partitura, ho capito come i movimenti, allo stesso modo delle tonalità nella musica e delle ombre nella pittura, stabiliscono tra loro delle relazioni familiari. Impongono le loro leggi. E più un artista è consapevole di queste leggi, più riesce a capirle e ad assecondarle”.
La chiave della bellezza particolare degli spettacoli di Montalvo-Hervieu tiene forse a questo, alla doppia capacità di ritrovare i “rapporti familiari” tra i movimenti, nel senso di Balanchine – di comprendere e far comprendere la loro logica segreta -, e allo stesso tempo di trasgredire, in maniera del tutto inattesa, questa logica, questi rapporti.

Ricordo una rappresentazione del balletto Il Pirata all’opera di Roma con Nurejev e Margot Fontain. Rappresentazione memorabile, interpreti ugualmente perfetti e meravigliosamente diversi l’uno dall’altra.
A un certo punto, Nurejev balzava in aria e sostava nell’aria qualche frazione di secondo in più – così sembrava – di quel che le leggi della gravità consentono; sfidando quindi queste leggi, in modo entusiasmante.
Nessuna sfida apparente, nel balletti di Montalvo-Hervieu; tuttavia avviene qualcosa che provoca lo stesso entusiasmo da sorpresa radicale del salto fuori norma di Nurejev. Lo spettatore, senza nemmeno avvertire chiaramente, mormora a se stesso “Ah, è così?… si può fare?”.

Contaminazione e métissage, fattori entrambi di allargamento e di sovvertimento degli spazi mentali, sono due elementi essenziali degli spettacoli dl Montalvo-Hervieu. Elementi tuttavia non cercati, non voluti dall’esterno, politicamente (come spesso avviene), ma trovati poeticamente. Un fascino di questi balletti di Montalvo-Hervieu consiste precisamente in questo: che la loro modernità non è voluta, ma raggiunta in più, con un balzo. Contaminazione e métissage sono in effetti concetti attuali, e politici; ma non sono lo scopo di questi balletti, non corrispondono alla loro intenzione. Semplicemente sono lì, sulla scena, quasi come ballerini, o animali, o immagini in mezzo agli atri, trasformati, come gli altri, in “fiamme”, nel senso che Valéry dava a questa parola ne L’Ame et la danse: “Cos’è una fiamma, o amici, se non il momento stesso? Ciò che c’è di folle, e di gioioso, e di formidabile nell’istante stesso!”.

Ma non è a Valéry, né al Mallarmé di Crayonné au théâtre che Montalvo-Hervieu si sentono vicini, piuttosto ai grandi inventori di linguaggi, di linguaggi ibridi e vitali: Rabelais, Joyce, Cervantes, Picasso. E anche al surrealismo, nelle sue figure più inventive; a Robert Desnos di cui si sa che era stato, nel 1922, il più fervente adepto dei “sonni ipnotici” – esercizi dell’immaginazione messa in comunicazione con ‘inconscio, in situazione di sperimentazione diretta, mentale e corporale. Era questa fiducia nell’immaginazione, nella “fata immaginazione”, che rendeva Desnos capace, scriverà André Breton più tardi, di darsi a tali esperimenti “sperdutamente”, “a testa bassa in tutte le vie del meraviglioso”; in tal modo che “quelli che assistevano alle sue immersioni quotidiane in ciò che era davvero l’ignoto venivano trasportati anch’essi in una sorta di vertigine”, grazie a quel potere che quel geniale dormiente possedeva, di passare a volontà, istantaneamente, “dalle mediocrità della vita corrente in piena zona d’illuminazione e di effusione poetica”.

José Montalvo racconta spesso come, alla fine dell’adolescenza, fu profondamente commosso da un atro episodio della vita di Desnos, quando, dopo essersi arruolato nella Resistenza, egli fu arrestato, nell’aprile del 1944, poi deportato nel campo di Floha, dove leggeva le linee della mano ai suoi compagni di sfortuna, predicendo a ciascuno stravaganti avventure.
Potere d’illuminazione più stupefacente ancora di quel che era già nelle sedute surrealiste. E Paradis potrebbe essere, dice Montalvo, “un omaggio a tutti quelli che anche in inferno sanno dare di se stessi la parte più luminosa”.
Ma non è in gioco soltanto Paradis e non si tratta solo di un “omaggio”. La scommessa paradisiaca forma in realtà la sostanza dell’operazione di metamorfosi e di trasfigurazione che la danza secondo Montalvo-Hervieu compie ogni volta davanti agli occhi, nell’istante: energia, intensità, “bell’enigma”.

UNITED COLORS OF MONTALVO
di Vittoria Ottolenghi

Madame Hervieu, che significa Un nioc de Paradis?
La parola “nioc” appartiene a un codice linguistico “all’incontrario”: il “revnel”, e cioè, foneticamente, “l’envers”. I ragazzi della periferia parigina parlano questa lingua con magistrale disinvoltura. “Nioc” significa semplicemente “coin”, “angolo”, e il titolo racconta “Un angolo di Paradiso”.

Qual è il punto di vista sulla danza contemporanea?
Che il patrimonio di cui la danza dispone è ricco, vario e costantemente in crescita. Una sorta di spirale grande e vorticosa, che dà le vertigini. E poi, pensiamo che la danza non abbia passato. Noi manipoliamo il patrimonio che abbiamo ereditato, che però non ha rapporti reali con quanto ci sta alle spalle. La danza è nel presente ed è già, in sé, proiettata verso il futuro.

Perché avete deciso di lavorare anche con ballerini dilettanti?
È una scelta estetica, che può essere malintesa, certo. Ma il fatto è che il corpo non ha, nemmeno in palcoscenico, un uso esclusivo – quello professionale. E poi, soltanto pochi mesi fa abbiamo lavorato, invece, con danzatori del più alto livello professionale, le “stelle” dell’Opéra di Parigi, in un balletto nuovo: Le rive de la lyre.

Lei e Montalvo definireste il vostro lavoro un “manifesto per un’Estetica dell’impurità”?
Si. Almeno se questo vuol dire evitare ogni tipo di dogmatismo a favore di una festosa ambiguità; colloquiare con ogni possibile cultura diversa dalla nostra e costruire una nuova, ordinata Torre di Babele. E se implica la sostituzione del criterio di “purezza” con l’abitudine al dubbio.

Siete arrivati subito alla Compagnia Montalvo-Hervieu e al successo?
No. Prima di fondare la compagnia e creare spettacoli nuovi siamo stati quasi quattro anni a studiare un nostro modo di lavorare e di fare danza. José Montalvo, con il suo passato di studioso di architettura e di arti decorative, il suo gusto per l’espressionismo tedesco, la sua esperienza di danza in ambiente psichiatrico, la sua vocazione libertaria e ironica. Io, con il mio passato di ballerina classica, la mia esperienza di insegnante, il mio presente di danzatrice e di coreografa curiosa.

L’aggettivo eclettico, che ogni tanto vi è attribuito, lo sentite come denigratorio?
Lo sarebbe se noi, nei nostri spettacoli, ci proponessimo di mettere insieme una specie di supermercato della danza. No: ci può anche essere estrema coerenza nella diversità.

Come lavora José Montalvo, e lei, Dominique, accanto a lui?
José non ha un dogma, un sistema unico, una frontiera. Il suo è sempre un incontro con un artista – con ogni danzatore. Poi c’è il momento dell’improvvisazione. Ma non nel senso di lasciare all’artista l’invenzione coreografica. Gli si dà la libertà d’interpretazione di questa invenzione. Insomma il grande gioco sull’espressione dei singoli artisti. Per il resto è tutto scritto.

Nelle coreografie di Montalvo, e sue, si ha l’impressione che non ci sia mai un accenno al sesso. È esatto?
Si. Almeno nel senso che non ci sono riferimenti espliciti. Noi pensiamo che nel teatro di danza ci sia un diffuso piacere carnale ed epidermico che sublima ogni idea diretta del sesso. E il pubblico lo avverte benissimo.

(Vittoria Ottolenghi, United colors of Montalvo, L’espresso, 5 ottobre 2000)

Rassegna stampa

“Nessun giorno passa senza che viviamo un istante di paradiso, diceva Borges. Un istante. Non è la felicità piena “eterna” che la parola paradiso dovrebbe comportare, ma un frammento, un bagliore intravisto di felicità. E Piccolo Paradiso […] suscita questo istante di stupore felice, carico di energia. Un’energia che dilata la forza creativa dello spettatore e lo trasporta in una sorta di vertigine, grazie al potere della “fata immaginazione” di passare dalle mediocrità della vita corrente in piena zona di luce e di effusione poetica. Lo spettacolo di Montalvo-HervieuHervieu è un balletto gioco dove danzatori reali e virtuali si confondono in un mondo multirazziale spiritoso, sfavillante di colori e di musiche diverse, dall’hip hop alla danza contemporanea, dalla danza classica a quella africana, la parola d’ordine è fantasia per questo gioco sospeso tra realtà e sogno, tra danzatori che sbucano dallo schermo gigante, cagnolini e elefanti”.
(Rossella Fabiani, Spettacolo per pubblico giovane, La Stampa, 17 ottobre 2000)

“Un nioc paradis […] ha una forte e coinvolgente dimensione teatrale che lo arricchisce di una vitalità e calore umani molto rari nel panorama della danza contemporanea. […] Ed è successo qualcosa che è quasi magico: i ragazzi, eccitati e coinvolti dalla gaiezza e dalla potente e suggestiva energia dei danzatori, hanno trovato spontaneamente in un brano di Vivaldi la cadenza ritmica da accompagnare tutti insieme col battito delle mani, come fosse un brano rock, creando senza forzature un ponte emotivo tra elementi culturali distanti secoli. […] Uno spettacolo che, senza patetismi e leziosità, dà un’immagine confortante e gioiosa dell’incontro e dello scambio tra culture e diversità, di un possibile mondo multiculturale e multietnico più umano e ricco di quello che purtroppo si sta delineando in questa Europa che si chiude su se stessa nella paura infondata dell’altro”.
(José Luis Sànchez-Martin, Il Branco e il piccolo Paradiso, caffeeuropa.it, 26 ottobre 2000)