Eco

Light

Eco

Light

Torna su
Cerca ovunque |
Escludi l'Archivio |
Cerca in Archivio

Teatro India
11 novembre 2001
25romaeuropa.net

Compagnia Montalvo - Hervieu

Gran Ballo – Danze da vedere e da danzare


Lo spettacolo della Compagnia Montalvo-Hervieu avrebbe dovuto inaugurare il Festival il 12 settembre 2001, ma, in segno di lutto per l’attentato alle Twin Towers avvenuto il giorno precedente, l’apertura è slittata al 19 con La tribù IOta di Francesca Lattuada. Il Gran Ballo diventa dunque l’evento di chiusura di questa edizione, ospitato in via eccezionale dal Teatro India: uno spettacolo che nelle intenzioni di José Montalvo e di Dominique Hervieu (che insieme dirigono dal 1998 il Centre Chorégraphique National de Créteil et du Vla-de-Marne) vuole restituire al pubblico il piacere puro della danza, attraverso una scrittura coreografica semplice e coinvolgente al tempo stesso, capace di mescolare stili e linguaggi diversi lavorando, come puntualizza Montalvo, su un “barocco senza tempo, che supera il barocco storico, ossia sull’arte della differenza”, e secondo i dettami di un “processo creativo [che] ricorda quello dei dadaisti: il gusto per l’eterogeneo, per le frontiere instabili, per la poesia e la letteratura, per l’ironia e la percezione critica” (José Montalvo).
Ne nata una festa trascinante in cui a trionfare è stato l’eterno linguaggio del corpo, capace di comunicare oltre ogni frontiera ed estetica.

DOMINIQUE HERVIEU: IL MÉTISSAGE FELICE DEL BALLO
a cura di Andrea Porcheddu

La Compagnia Montalvo-Hervieu si è affermata in breve tempo nella nuova danza francese ed internazionale, grazie a spettacoli che uniscono linguaggi e culture. Sarebbe interessante sapere come create le vostre coreografie…
La cosa molto importante nella nostra estetica è che esistono diversi approcci e diversi rimandi alla complessità del mondo. I diversi stili, i diversi punti di vista riflettono il nostro sguardo alla vita, alla sua complessità. Con José Montalvo dirigiamo il Centro Coreografico di Créteil, in una città fatta di diverse etnie, di grande complessità, di tante diversità. Dunque per noi è naturale confrontarci con questa realtà, ma, anziché mostrare la diversità attraverso la lotta, l’antagonismo, il conflitto, cerchiamo, attraverso l’arte, un métissage felice. Ossia, le differenze tra gli uomini diventano un modo d’oggi di arrivare alla creazione artistica, un modo per vedere e vivere la città contemporanea di un’arte che tiene conto della complessità e dei cambiamenti del presente. Affrontare il métissage, la diversità, la complessità della nostra epoca non vuol dire solo rapportarsi al caos, all’incoerenza, al frammento: il frammento rimane nel nostro lavoro, ma in una composizione globale basata sull’armonia dei rapporti. Naturalmente questo non è un approccio banalmente “poetico”, naif, alla realtà: non sosteniamo certo che tutto vada bene, che tutto sia armonico, che tutti gli uomini si amano… Non ci sono solo Paradisi o Giardini, come si intitolavano due nostri spettacoli… Non inseguiamo utopie: ma l’arte può e deve rispondere al bisogno di meraviglioso, di leggerezza. E dunque, nel nostro approccio alla complessità privilegiamo questo aspetto, una leggerezza che non è certo ignara della tragedia. La tragedia, la malinconia sono comunque presenti nell’arte: si tratta, allora, di non aggiungere dolore a dolore. Spetta a noi il compito di creare, attraverso l’arte, dei momenti che siano al di sopra delle cose: momenti di leggerezza, appunto…

Questo métissage culturale, questa leggerezza abbracciano anche la vostra tecnica compositiva. Nei vostri lavori si mescolano sapientemente balletto classico e danze afro, hip-hop e modern dance…
Il nostro primo desiderio è che questo métissage non sia, assolutamente, una omologazione culturale. Il nostro non è un “teatro-Benetton”… È invece molto importante che ciascuno porti nel lavoro comune la propria esperienza, la propria cultura, la propria identità personale, il proprio immaginario corporale. Cerchiamo, quindi, di preservare le differenze, le asperità, i contrasti tra culture per portarli, però, verso un dialogo possibile, un confronto. È un metodo di lavoro che stimola la creatività dei danzatori. Non si tratta, cioè, di essere semplicemente se stessi o di salvaguardare il proprio immaginario corporale, ma di mettersi in gioco in un progetto collettivo. Vivere insieme una fantasia estetica. I nostri danzatori si trasformano, si contaminano. Non c’è un metodo preciso, non ci dedichiamo un giorno all’hip-hop e il giorno seguente all’afro: ciascuno è libero nel proprio lavoro sul corpo e liberamente si accosta agli altri, ai diversi stili, animato dalla curiosità. Ecco: posso dire che per la nostra compagnia un elemento fondamentale è la curiosità. Curiosità del pubblico e dell’artista: il che vuol dire essere capaci di cercare nell’altro qualcosa che possa arricchire la propria visione dell’arte. Insomma: il nostro approccio al métissage è basato sul desiderio e sul principio di associazione libera.

Lavorate stabilmente con lo stesso gruppo di danzatori?
Sì, abbiamo gli stessi ballerini da circa sei anni. È una compagnia fedele, un gruppo che fa assieme un cammino, approfondendo sistematicamente i temi, gli aspetti di una ricerca comune…

Un altro elemento interessante del vostro lavoro è il cotè immaginifico e immaginario affidato al video. Ogni spettacolo gioca sistematicamente con immagini ludiche, che spesso scaturiscono dal corpo del danzatore. Cosa rappresenta per voi, allora, il video e come lavorate alla creazione delle immagini?
Partiamo da una domanda precisa: come oggi si possono moltiplicare gli approcci all’arte mantenendo la realtà fisica del corpo del danzatore? Ossia: come moltiplicare i punti di vista? Se pensiamo all’immaginario barocco – fatto di diversi piani visuali, di scene, di macchinerie – vediamo che il reale e il fantastico, il vero e il falso, il corpo e la rappresentazione del corpo erano continuamente mescolati tra loro. Cerchiamo, dunque, di riprendere questa estetica dello “specchio”, di portare all’oggi l’estetica barocca. Il mondo onirico: “la vita è sogno” è stato scritto… Ecco, per quel che ci riguarda tentiamo di domandarci come la danza possa farci “decollare” dalla realtà e arrivare a questa sorta di dialogo con tutto ciò che è poetico, ambiguo, immaginifico…
Dal punto di vista tecnico, poi, è José che lavora ai video. Crea le immagini e poi le realizza lavorando con i danzatori. Ad esempio, un approccio possibile nella nostra creazione è quello di chiedere al ballerino di confrontarsi con il proprio doppio immaginario, di pensare una relazione – in situazioni diverse, dalle più quotidiane e banali ad altre più particolari – con se stesso: come si comporta, cosa fa nell’incontro con sé? È un metodo molto divertente, ma anche molto profondo, perché attiene al confronto con la propria identità. Questo è un punto di partenza nella creazione coreografiche, che vuole essere al corrente della modernità e rispondere a domande antiche, eterne. Un critico americano ha paragonato il nostro lavoro a quello di Paul Klee: ovvero, qualcosa di estremamente contemporaneo, che mantiene elementi ludici che potrebbero appartenere ai sogni di un bambino.

Nei vostri video sono evidenti anche riferimenti al mondo cantato da Federico Fellini: suggestioni circensi, giochi, esseri giganti…
Lo scorso anno abbiamo avuto il compito di pensare all’apertura del Festival di Cannes ed è stata un’esperienza molto bella. Per il video José ha usato spezzoni di vecchi film: Cocteau, Tati, Godard e, naturalmente, Fellini. Ed è stato molto emozionante…

Una critica che potrebbe essere fatta al vostro lavoro, è che avete trovato una formula bella, efficace, e divertente, e la applicate ad ogni vostro spettacolo. Che ne pensa?
In parte è vero. Però, se andiamo a vedere l’approccio di molti artisti al proprio lavoro, scopriamo due filoni principali: ci sono quelli che cambiano di volta in volta approccio ed altri che sono ossessionati da un immagine, da un’idea, da un’estetica. Gli esempi, ovviamente, non mancano. Per noi, allora, il métissage è un aspetto fondamentale, un approccio filosofico, etico ed estetico al mondo, una questione profonda. Inoltre, se noi pensiamo ad un affresco barocco, alle tessere che compongono un mosaico, vediamo che tutti i frammenti compongono il disegno globale, una visione unica. I nostri spettacoli sono come le singole parti di un affresco, ciascun lavoro è compiuto, completo, ma entra a far parte di un progetto ampio, unico. Stiamo pensando ad un progetto, per il Festival di Avignone del 2003, alla Cour d’Honeur, dove mostreremo l’insieme dell’affresco: la fine della storia, 4 ore di spettacolo, composte da tutte le nostre creazioni di questi anni. Poi, magari, potremo cambiare, tentare altre strade, tornare agli assolo, o a piccoli lavori…
Per noi, allora, il melange è una variazione infinita, un gioco costantemente aperto, ma anche un approccio rischioso. Quando iniziamo un lavoro non sappiamo ancora bene dove andremo a finire: ogni volta la creazione scaturisce da un terreno vergine dove si incontrano artisti diversi. È un gioco in cui ogni danzatore difende i propri territori, la propria identità, ma poi subentra il disegno coreografico, e dalla confusione si crea un senso. Tagli, assemblaggi, scelte, composizione di frammenti, lentamente costruiscono lo spettacolo. Dal lavoro degli interpreti, dunque, e dalla scelta dell’autore, emerge l’etica e l’estetica dell’artista.

Il progetto che presentate al Romaeuropa Festival si chiama Gran Ballo: vuole parlarcene?
Con Josè Montalvo lavoriamo assieme da quindici anni, e oltre ad affrontare insieme la creazione coreografica, abbiamo anche cercato di riflettere continuamente sul ruolo dell’artista nella società. La domanda che ci siamo posti è se è possibile far entrare l’arte nella vita delle persone, e con quali mezzi farlo. L’artista ha questa alta responsabilità, che attiene alla democratizzazione dell’arte contemporanea: ossia portare l’arte laddove questa non c’è. Da tempo, ad esempio, lavoriamo negli ospedali, nelle scuole, con i bambini… Dunque è un approccio molto concreto: tentiamo di fare il “regalo” dell’arte, in modo diretto, immediato, semplice, facendo provare e vivere il piacere di essere in rapporto con l’arte attraverso il proprio corpo. Per questo, la danza è una forma d’arte è particolarmente congeniale. Pensiamo alla “danza sociale”: tutto può essere espresso attraverso il corpo. Il ballo, ad esempio, da sempre accompagna molti momenti della nostra vita. A fronte di questa tradizione, si può tentare un confronto con la contemporaneità, tentare cioè di coniugare l’idea di “Ballo” storico, di ricreare un “Ballo” tradizionale, ma rivisto dagli occhi dell’artista, che sposta la prospettiva verso la creazione attuale. Per le persone coinvolte nel Gran Ballo, dunque, si tratterà di liberarsi dalle condizioni abituali, di vivere emozioni particolari: non si tratta di “pedagogia”, ma di muovere, attraverso l’arte, nel mondo dell’insolito, dello sconosciuto. Attraverso il corpo, portiamo le persone a vivere un nuovo rapporto con la propria sensibilità, alla relazione con se stessi e con gli altri. L’artista autorizza la trasgressione…
Dunque il Gran Ballo è fatto di danze semplici, ma che comportano una messa in gioco tattile, sensibile, che implica attenzione per la musica, per l’altro, in una “gratuità” ludica generale, tranne che per l’artista, il quale dà a tutto ciò il senso di un progetto, di un percorso creativo.

In questo contesto di “danza sociale” si colloca anche il “Progetto IUSM” che realizzerà con Romaeuropa Promozione Danza: progetto di formazione alla danza presso l’Istituto Universitario di Scienze Motorie per 2000 studenti universitari e 1000 allievi delle scuole secondarie pubbliche. Un progetto che si rivolge non solo agli studenti, ma anche al corpo docente dello IUSM di Roma, con l’obiettivo di approfondire, ampliare e rendere molto più variegato l’insegnamento dell’arte coreografica. Ce ne vuole parlare?
Il progetto IUSM è una unione di arte e pedagogia: alla base c’è il senso della percezione dell’arte. Credo che quando l’artista ha la convinzione che l’arte possa essere trasmessa, comunicata, deve fare qualsiasi cosa per ottenere un simile risultato. Il desiderio di comunicare diventa il dovere di attivarsi per ottenere le condizioni di comunicare agli altri l’arte. È un rapporto politico: nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo c’è scritto che ogni uomo ha il diritto di godere dell’arte… Dunque diventa molto importante fornire questa possibilità: ed è necessario, per far ciò, “formare i formatori”, far incontrare la pratica della danza non solo in un contesto scientifico di “scienze motorie”, ma anche in un ambito simbolico ed immaginario. Quel che mi interessa è far affrontare la danza come unione di “fisico” e “simbolico”. Oggi la danza ha ritrovato un senso profondo nella società. Ad esempio, in Francia, grazie all’hip hop, i ragazzi hanno ripreso a danzare per comunicare i propri stati d’animo e nelle scuole, durante la ricreazione, si danza. E questo è un fenomeno estremamente importante: alla fine del secolo la danza è diventata davvero popolare infrangendo definitivamente il tabù dell’espressione del corpo. Ed è questo che voglio insegnare allo IUSM: insegnare una danza democratica, in un contesto di collaborazione tra pedagogo e artista. La pratica, insomma, è fondamentale per fruire l’arte.

MONTALVO: CITTADINO-COREOGRAFO DEL MONDO…
di Anouk Aspisi

La voce giovanile e il suo brillante accento rendono ancora più coinvolgente il racconto della sua attività: la prossima creazione della Compagnia Montalvo-Hervieu , “un affresco barocco, vicino alla vertigine e autosufficiente”, e il suo ruolo di direttore del settore danza, accanto ad Ariel Goldenberg, al Théâtre National de Chaillot di Parigi: “Lavorare a Chaillot mi permette di dare impulso a nuovi progetti, di sentirmi parte di quella catena che inizia con Vilar e Vitez e che spinge a fare un teatro d’élite per tutti”.
Il naturale proseguimento di un cammino che José Montalvo ha intrapreso sin dagli esordi: ripensare il ruolo della danza e delle emozioni che provoca nella vita quotidiana degli individui, far danzare i suoi contemporanei partendo da strutture coreografiche semplici e sorprendenti.
Il Gran Ballo è nato da queste riflessioni: “è una bella sfida quella di creare “spazi di felicità”. La mia scrittura coreografica è sempre legata al piacere. Si tratta di fare qualche piccolo passo lontano dalla irragionevolezza del mondo… Si potrebbe parlare di profondità della leggerezza”. Montalvo riflette sull’intrecciarsi degli stili: “Lavoro su un barocco senza tempo, che supera il barocco storico, ossia sull’arte della differenza. E il mio processo creativo ricorda quello dei dadaisti: il gusto per l’eterogeneo, per le frontiere instabili, per la poesia e la letteratura, per l’ironia e la percezione critica”.

I suoi spettacoli, che miscelano linguaggi e culture, hanno fatto della Compagnia Montalvo-Hervieu uno dei punti di riferimento della danza francese ed internazionale. “I lavori che abbiamo realizzato ricordano un museo immaginario di Malraux: le nostre vite di oggi, fatte di complessità del mondo e di multiculturalità, in un’analisi al telescopio di tante culture. Culture che si confrontano, che dialogano per inventare un altro immaginario. Concretamente, il mio lavoro si struttura in quattro fasi. Come prima tappa scelgo le linee portanti del video. È, per me, uno strumento da utilizzare non solo a fini poetici, ma al servizio dello spettacolo dal vivo. Le mie sinossi funzionano come un collage in cui il video consente la creazione di sorprese semantiche (il doppio, la creazione di esseri per metà animali e per metà uomini, gli ibridi). Dopo questa fase, Dominique Hervieu (che con me co-dirige il Centro di Créteil) raccoglie la documentazione sul soggetto del lavoro e sceglie i danzatori. Ogni danzatore è coautore della propria parte, fa delle proposte, improvvisa durante le prove. L’idea è quella di riprendere le loro suggestioni e, successivamente, elaborare un progetto comune. Tutti i tipi di danza – africana, hip-hop, classica… – sono stilizzati, ma diventano intertestuali. È un campo incredibile, che ci rende eredi della pratica corporea del mondo. È questo che mi interessa, entrare in relazione con il mondo che ci circonda”.

Crediti

Ideazione José Montalvo, Dominique Hervieu
Assistenti Carlo Diaconale, Chantal Loïal, Sabine Novel
Ensemble Compagnia Montalvo-Hervieu (con la partecipazione della Compagnia Dife-Kako)
Direzione tecnica Yves Favier
Regia generale Vincent Paoli
Regia luci Patrice Goigoux
Regia palcoscenico Jean Paul Bonnefond, Karine Fourniols
Regia suono Patrick Arnault
Produzione Fondazione Romaeuropa – Romaeuropa Promozione Danza, in collaborazione con IUSM (Istituto Universitario di Scienza Motorie), Centre Chorégraphique National de Créteil et du Vla-de-Marne e con il sostegno di AFAA e dell’Ambasciata di Francia in Italia