Le esecuzioni dell’Electric Phoenix hanno un carattere rivoluzionario rispetto a quelle dei gruppi vocali tradizionali: grazie ad un complesso apparato tecnologico per il trattamento delle voci, affidato soprattutto ai sintetizzatori progettati da Ian Mackintosh, il quartetto inglese affronta in modo assolutamente originale alcuni dei brani più significativi del repertorio contemporaneo. Anche per merito di queste prerogative, alcuni dei più importanti compositori della scena internazionale hanno scritto appositamente per loro, come dimostra l’esibizione per questa edizione del festival: opere di William Brooks, Giacinto Scelsi, Luciano Berio, Costin Miereanu ed Olivier Messiaen hanno trovato, nel gruppo, sensibilissimi interpreti nel valorizzare la loro complessità e novità.
Oltre che alla codifica del suono, l’impatto sul pubblico dell’Electric Phoenix è dovuto anche ad un particolare sistema di amplificazione, l’Ambisonic a 4 altoparlanti, una invenzione inglese capace di produrre un campo sonoro la cui stabilità permette un bilanciamento corretto anche per l’ascoltatore che non si trovi in una posizione centrale.
LE TEMPS HASARDEUX
di Costin Miereanu
Le Temps Hasardeux ha la dialettica suscettibile. Le negazioni della negazione vi si inseriscono in una prospettiva abissale.
Nel suo volgimento, la forma musicale troverà, cosparse, un po’ a caso: trappole, insidie, rotture, accidenti, cancellature, superfici ghiacciate od elastiche, armonie vagheggiante, campane di cristallo…
Il punto di mira e il contesto cambiano senza posa: disegnano i grafismi immaginari d’un temps hasardeux.
In seguito ad uno strutturale tamponamento a catena, due poemi di Emily Brontë s’incastrano reciprocamente, sfociando in una ambiguità quasi permanente; ne risulterà un fondale poetico intrecciato, una finzione poetica in cui la musica viaggia pericolosamente. Toccherà alla forma temporale assumere questo stesso aspetto ambiguo, ugualmente opaco e traslucido, come la narrazione segreta e fiorita d’un discorso amoroso.
Nove movimenti si susseguono senza fermarsi:
1. L’inizio annuncia un discorso spigoloso, non lineare, come una tela bucata, contenente in abbondanza interruzioni e lacerazioni; questi “scogli” non tessono che non-evoluzioni costruite di spaccature e di catastrofi elementari.
2. Questo discorso ricomincia per tre volte, differentemente, disperatamente, partendo dallo stesso punto, con l’ostinazione di un processo afasico. Questo è il punto di mira. Non di meno, il contesto è ogni volta altro. A partire dalla seconda enunciazione, un tessuto continuo, sospeso, ghiacciato e cristallino si aggiunge; il vuoto è già riempito da una presenza lontana che gli si incolla alla superficie.
3. Alla terza enunciazione, ci si avvicina all’immobile. In un ingrandimento fotografico, certi dettagli incominciano a sorgere. La trama si anima poco a poco, oscilla appena, diventa una superficie elastica, instabile, che pulsa in un rubato perpetuo – come delle “isole molli”.
4. Ormai ci siano completamente immersi nel contesto, talmente all’interno da non poter più percepire il punto di mira. Gli scogli di prima sono momentaneamente inghiottiti; tutto è immerso in un acquario leggero, trasparente, attraversato nella sua profondità da moltitudini sinuose di accelerazioni e di decelerazioni.
5. Brusco spostamento dell’obiettivo fotografico, salto all’indietro, anti-zoom, di nuovo il quadro generale. Il punto di mira e il contesto si sono stranamente fusi; cavalcate di unisoni in una eterofonia appassionata si sono sostituiti all’iceberg spigoloso dell’inizio. La trama, stessa, si è messa ineluttabilmente in marcia; e tende ora, ad un movimento perpetuo di sovrapposizioni sincroniche o decalate, di getti continui/discontinui; un inizio di tratteggi costituito di pulsazioni regolari attraverso una polifonia di accenti casualmente irregolare.
6. Il meccanismo degli incatenamenti è infine in moto, i getti si moltiplicano in cascate, in specchi, in relais. Gli accordi reiterati divengono qui modulazioni a sorpresa. Il contesto è diventato il punto di mira; illusione della prospettiva: ci troviamo allo stesso tempo nel quadro generale e nel dettaglio. Il testo originale inglese sparisce del tutto, la traduzione francese lo sostituisce d’ora in avanti. Indefinito all’inizio, il testo si scopre poco a poco a favore dell’intelligibilità.
7. Il motore si scalda sempre più, le armonie erranti corrono in tutti i sensi. L’enunciazione del testo si avvolge su se stessa moltiplicandosi attraverso la ripetizione ad eco delle vocali.
8. Rampa di lancio, l’accelerazione aumenta a spirale, senza più testo, ma solo residui di fonemi turbinanti in un carosello sfrenante. Nell’intensità della stretta, i dettagli svaniscono. Questo climax prolungato diventa missile del temps hasardeux.
9. Infine, il decollo, immergendo verso l’imponderabilità, conclude il viaggio in un’aritmia e in una risonanza di campane di cristallo, vicine all’estasi. Il temps hasardeux è ormai lontano, dietro a noi. Il punto di mira, senza averci lasciato per un attimo, raggiunge infine la catarsi per il suo desiderio in questo tempo sospeso, breve momento dell’eterno raggiunto, un tempo musicale al di là del presente – il vero tempo di un discorso amoroso.
Crediti
Direzione Terry Edwards
Musica Henry Purcell, Marcel Landowski, Luciano Berio, Olivier Messiaen, Giacinto Scelsi, Trevor Wishart, Costin Miereanu, William Brooks