Londra multiculturale
Fin dagli anni Sessanta, Londra è stata città d’avanguardia nella creazione artistica e nel generare nuove tendenze, specialmente musicali, divenendo sinonimo di spregiudicatezza e libertà espressiva. Giovani non solo europei trovano nella città inglese un ambiente ricettivo e propizio per gli scambi, soprattutto grazie a quella natura multietnica fortemente accentuatasi negli ultimi anni: Londra, crocevia di culture e quindi fertile luogo di scambio, contribuisce a creare una vivace scena artistica che trova la sua marca distintiva nella contaminazione tra tradizione ed innovazione.
In concomitanza con la visita a Roma della regina Elisabetta II, Romaeuropa organizza una tre giorni dedicati alla creatività residente a Londra, offrendo una panoramica che include musica, danza, videoarte. E se la musica si muove liberamente dal jazz e i suoi derivati (lo skazz, nato dalla fusione con sonorità ska al cosiddetto caribbean black jazz) al reggae, dalla musica tradizionale (il celebre suonatore di sitar Shalil Shankar) all’asian underground, miscela di techno e campionatura di strumenti indiani proposta dall’etichetta discografica Outcaste; sul fronte della danza, la coreografa Carol Brown realizza, in collaborazione con la tecnologica artista visiva Esther Rolinson, l’installazione-performance Shelf life, mentre, a promuovere un approccio più articolato e meditato alla tradizione rivisitata ed assimilata dal linguaggio contemporaneo, sono i coreografi Akram Khan (la famiglia è originaria del Bangladesh) e Bode Lawal, proveniente dalla Nigeria. Ad amplificare le serate, raccontando la vita artistica di questa multietnica città europea, si aggiungono un documentario presentato da RaiSat, Acetate, che mostra al lavoro i maghi della scena dance inglese (Chemical Brothers, Gus Gus, Todd Terry, Roger Sanchez, Fat Boy Slim), ed alcuni happening multimediali ospitati al Brancaleone.
LONDRA MULTIETNICA
di Mario Fortunato (Direttore Istituto Italiano di Cultura di Londra)
Da generazioni, Londra non fa che attrarre le persone giovani di tutto il mondo, quelle che hanno più energia, o più ambizioni, o più fantasie. Prima è stata la città letteraria, colta, cosmopolita di Henry James e T.S. Eliot, amata e frequentata dal giovane Arbasino, negli anni Cinquanta.
Poi è stata quella beat e pop che ha attirato i cosiddetti babyboomer. Adesso è la Londra dei nuovi arrabbiati (pensate al cinema di Loach o al teatro di Sarah Kane), ma anche del design più nuovo, di artisti come Anish Kapoor, Julian Opie e Mark Quinn, di band musicali come i Blur e gli Oasis, è la metropoli “Shopping & Fucking”, la Cool Britannia di Tony Blair, fantastici ristoranti carissimi, la megalomania del Millennium Bridge, il Dome, la Tate Modern.
D’altra parte, se vogliamo, la città non è più una città.
È casomai una regione, vasta e ramificata. Divisa in quartieri grandi come Firenze o Torino, ognuno dei quali custodisce una propria vita, abitudini, storie, e un proprio centro.
Si vive passando da un quartiere all’altro, da un centro all’altro. Questo suo essere anche topograficamente multipla, discontinua, mobile, restituisce alla metropoli un crisma di modernità. Che è forse quello che poi attira i giovani di ogni generazione.
Se guardate una cartina di Londra, pensateci bene, avete davanti una rete. O, come piace dire adesso: un net.
Ho parlato di energia, ambizione, fantasie. Ma Londra è una città anche dura. Non violenta: proprio dura, faticosa. Forse ci si va da giovani perché in certo modo si sa che bisogna avere molta forza, molta resistenza fisica, per poterci vivere. Il lavoro, ogni genere di lavoro, ha un ritmo serrato, veloce, privo di soste. Ci si alza presto, al mattino, e la sera non può che essere tirata fino a tardi, fra mostre da vedere, nuovi ristoranti, concerti, spettacoli. Ogni giorno si coprono decine e decine di chilometri. Non c’è tempo da perdere.
Walkman, e-mail, telefonini, internet. Da un’occupazione a un’altra. Tutto pulsa e preme. La new economy va veloce come un fulmine. Difficile starle dietro. Si corre, si corre di continuo. D’altronde, guardatevi intorno mentre camminate per i lunghi, interminabili corridoi sottoterra, mentre scendete e salite sull’ennesima scala mobile, mentre ve ne state pigiati dentro a un vagone della metropolitana – guardatevi intorno: vedete inglesi e italiani e orientali e africani, vedete tutte le razze del mondo mescolate insieme. Vedete tante persone che leggono un libro, tante che pensano ai fatti loro e altre (ma rare) che chiacchierano un poco. Vedete facce, corpi, individui d’ogni genere e tipo. Però, fateci caso: non ci sono anziani, niente bambini.
In questa città fatta di tante città, parlare di multietnia è quasi un pleonasma. Se prendete la Black Line della metropolitana (qui la chiamano anche Misery Line), se andate verso il nord est di Londra, sarà come attraversare in poche decine di minuti l’intero Mediterraneo – la Grecia, Cipro, la Turchia – e poi giù incontro al Medio Oriente – Libano, Iran, Iraq. Per le strade, i colori sono quelli. Quelli i vestiti. E i profumi e le spezie, nei mercati. Senza soluzione di continuità, vi ritroverete in una sorta di fantastico universo supergeografico, in cui razze e linguaggi e abitudini differenti di vita si sovrappongono freneticamente.
C’è razzismo, in questo immenso alveare in cui ogni giorno sono chiamate a convivere popolazioni di immigrati italiani, indiani, pakistani, neozelandesi, turchi, e chi più ne ha più ne metta? Certo che c’è. Le minoranze attraggono e fanno paura. È sempre così. Ovunque. Se ascoltate le canzoni dei giovani rapper britannici, cariche di odio e violenza e terrore, capite per esempio quanto i ragazzi inglesi delle classi povere possano detestare il proprio vicino di casa bengalese fino a volergli dar fuoco, fino a volerlo sbudellare, in un venerdì notte di sbronze e frustrazione. C’è razzismo, del resto, in ogni comportamento degli hooligans, o degli skinheads.
Ma per fortuna, si tratta di sentimenti e di azioni onestamente marginali. Londra, secondo un dato recentissimo, ha ormai una popolazione che, per un terzo, è di cultura non anglosassone. Pensate agli scrittori (da Kureishi a Ishiguro a Rushdie a Vikram Seth). Ma pensate anche agli artisti più rinomati, ai musicisti più interessanti. Pensate alla gente comune che affolla le strade e i quartieri. Londra non è più Inghilterra. Londra è il mondo intero.
cinema
ACETATE
Produzione RaiSat
Foyer Teatro Nazionale, 20, 21, 22 ottobre 2000
Installazione-performance
SHELF LIFE
Ideazione Esther Rolinson, Carol Brown
Disegno digitale Esther Rolinson con Red Eye
Coreografia e interpretazione Carol Brown
Consulente architetto Stewart Dodd, Satellite Design
Suono Russell Skoons
Disegno luci Ross Cameron
Costumi Roisin O’Donnell
Foyer Teatro Nazionale , 20, 21, 22 ottobre 2000
letteratura
SCRITTORIMONDO
Incontro su Londra multiculturale
Interventi Mario Fortunato, Elena Stancanelli, Carol Brown, Denys Baptiste, Gary Crosby
A cura di Brendan Griggs
Casa delle Letterature, 20 ottobre 2000
musica
NU TROOP
Interpreti Gary Crosby (contrabbasso), Robert Mitchell (pianoforte), Soweto Kinch (sassofono contralto), Sean Corby (tromba), Daniel Crosby (percussioni)
DENYS BAPTISTE BAND
Interpreti Denys Baptiste (sassofono tenore), Andrew McCormack (pianoforte), Larry Bartley (contrabbasso), Tom Skinner (percussioni), Juliet Roberts (voce)
JAZZ JAMAICA ALL STARS
Interpreti Gary Crosby (contrabbasso), Denys Baptiste (sassofono tenore), Michael Rose (sassofono tenore e contralto, flauto), Soweto Kinch (sassofono contralto), Ray Carless (sassofono baritono), Andy Sheppard (sassofono soprano e tenore), Edward Thorton, Claude Deppa, Guy Barker, Kevin Robinson (tromba), Winston Rollins, Annie Whitehead, Dennis Rollins (trombone), Harry Brown (trombone basso), Kenrick Rowe (batteria), Clifton Morrison (pianoforte e tastiera), Alain Weekens (chitarra), Tony Uter (percussioni), Orphy Robinson (vibrafono), Juliet Roberts (voce)
Teatro Nazionale, 20 ottobre 2000
Happening – musica
MAPPE SONORE: SPAZIO INTERATTIVO PER MIGRAZIONI SONORE
Ideazione e progettazione Stalker, Brancaleone e Consuelo Catucci
Produzione Romaeuropa Festival e Brancaleone
WORLDWIDEWEB
Produzione Romaeuropa Festival e Brancaleone
ASIAN UNDERGROUND OUTCASTE ALL STARS
Live set Ges-F + Jitin, Aref Durvesh + JC 001 mc
Chill out dj Brancaphonic & Marco Boccitto
Dj Resident R. Petitti e A. Lai (Agatha)
In collaborazione con Freeform Jazz Production
Brancaleone, 20 ottobre 2000
musica
SHALIL SHANKAR TRIO
Interpreti Shalil Shankar (sitar), Pitram Singh (tabla), Tomas Kratinger (tampura)
BADMARSH & SHRI
Interpreti Shirikanth Spiram, Mohammed Akber Ali, Michele Drees, Abdul Wahab, Miles Ashton
Teatro Nazionale, 21 ottobre 2000
happening – musica
MAPPE SONORE: SPAZIO INTERATTIVO PER MIGRAZIONI SONORE
WORLDWIDEWEB
ATTICA BLUES
Interpreti Roba El-Essawy, Tony Nwachukwu, Charlie Williams, James Yard, Elan Carebeu, Peter Adjaye
Brancaleone, 21 ottobre 2000
danza
SEAN TUAN JOHN
Coreografia e interpretazione Sean Tuan John
Produzione CCA, Dance 4 e Yorkshire Dance Centre, con il supporto di Charter e con il sostegno di Arts Council of wales.
FIX
Coreografia e interpretazione Akram Khan
Musica Nitin Sawhney
Luci Michael Hulls
Produzione lavoro creato grazie al Jerwood Choreography Award (1999), con il supporto di Greenwich Dance Agency e The Jerwood Space. Akram Khan beneficia del Lisa Ullmann Travelling Scholarship Grant 2000.
RUSH
Coreografia Akram Khan
Interpreti Akram Khan, Moya Michael, Imberton Gwyn
Musica Andy Cowton
Disegno luci Michael Hulls
Direttore tecnico Claire Malleson
Curatore programma Gregory Nash per The British Council
Produzione Sufflolk Dance, Birmingham Dance Exchange, Dance Umbrella, Sampad, Yorkshire Dance Centre e the European CoDaCo Fund. Con il supporto di The Arts Council of England.
È stato coprodotto da P.A.R.T.S. (performance art research training studios) in Bruxelles e ha ricevuto il supporto da Charleloi Danse in Belgio.
CREATION MYTH
Coreografia e musica Bode Lawal
Ensemble Sakoba Dance Theatre
Collage suono Darren Bourne
Costumi Jenni Jackson
Interpreti (danzatori) Bode Lawal, Everton Wood, Doreen Bailey, Julia lawrence, Sharon Campbell
Interpreti (musicisti)Richard Baker, Kosimo Keita
Teatro Nazionale, 22 ottobre 2000
“Il quartetto [di Denys Baptiste, ndr] ha sfoggiato un fraseggio possente e caldo sulla scia del miglior Sonny Rollins su brani che proponevano elaborate linee melodiche e vertiginosi sviluppi solistici su pedali (Rollinstone, State of flux, Parallax). In modo programmatico e creativo Nu Troop intreccia vari rami della musica afroamericana ed africana, connettendo il jazz con i Caraibi ed il Senegal. In Gorée island, ad esempio, si ricorda l’isola dove erano tenuti prigionieri gli schiavi prima di salpare per le Americhe con temi ricchissimi, un impasto sonoro dai vividi colori, assoli brillanti e ritmi incalzanti. La loro filosofia [dei Jazz Jamaica All Stars, ndr] è quella di unire mento, ska, reggae e jazz suonando sia brani jazzistici che canzoni popolari giamaicane così che, su base ritmica costantemente e morbidamente reggata, si poggiano sontuosi e fluorescenti arrangiamenti. Ottima la combinazione tra i due universi nel conclusivo Confucius, dimostrazione ulteriore di come le musiche della diaspora nera possano dialogare ed artisti esuli riescano a rivitalizzare ambienti sonori e culture”.
(Luigi Onori, I Caraibi di Londra, il manifesto, 25 ottobre 2000)