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Giardini di Villa Medici
22 giugno 1986
25romaeuropa.net

Studio Azzurro, Giorgio Barberio Corsetti

Correva come un lungo segno bianco


La nuova collaborazione tra Studio Azzurro e Giorgio Barberio Corsetti, dopo l’esperienza del Prologo a Diario segreto contraffatto, rappresentato nel dicembre 1985, conferma le potenzialità espressive dell’intreccio tra video e teatro, amplificate in questa occasione dallo scenario di Villa Medici: l’installazione si snoda infatti in un boschetto di bambù dei Giardini, catturando l’attenzione dei visitatori con un percorso attraverso quaranta monitor e facendo rivivere per immagini il mito di Orfeo. L’inseguimento del centauro, la caduta, la morte di Euridice, la disperazione e infine la discesa agli inferi di Orfeo, sono le tappe tradizionali di un dramma che riecheggia di riferimenti classici a Rilke, a Monteverdi, a Cocteau, ma dove tutto è sottoposto al filtro delle telecamere e ad una dialettica inesausta tra realtà e simulazione, come avviene in tutte le video-ambientazioni delle prime opere di Studio Azzurro. “La base di tutti questi lavori è nello scambio tra l’immediatezza della presenza fisica, la presenza stessa riprodotta in diretta – e magari spezzata dall’inscatolamento in diversi televisori – e la trasmissione di un nastro preesistente, per lo più portatore di tracce inanimate che falsano la natura circostante con elementi estranei”, scrive Franco Quadri, “L’ambientazione contribuirà quindi a esaltare il contrasto espressivo mimetizzando i monitor con funzioni sceniche, mentre i monitor in movimento doppieranno gli attori in carne e ossa, alimentando il gioco di verità e illusione” (in Catalogo del Festival di Villa Medici, 1986).

Rassegna stampa

“Il “segno bianco” del titolo è così un percorso luminoso, in cui le immagini scorrono velocissime, generalmente inafferrabili, da un video all’altro, come acqua d’un torrente e con gran suggestione di colori e luci. Una didascalia […] chiarisce che si tratta della storia di Orfeo […]. In realtà tutto questo è inafferrabile e siamo davanti a un teatro astratto di fenomeni e suggestioni, ricco di fascino pittorico e evocativo, grazie anche a musiche che passano dall’ossessivo ritmo elettronico a brani per soli fiati, con citazioni da Monteverdi che sole potrebbero rimandare al mito ispiratore”.
(Paolo Petroni, I bambù di Mondrian, Corriere della Sera, 26 giugno 1986)

TENDENZE, VIDEO, GIARDINI DI VILLA MEDICI
di Franco Quadri

Bisognerebbe cominciare con la storia del video in teatro. O almeno con quella ricchezza di riferimenti al video che costella e in parte determina da noi gli anni della post-avanguardia, quando il Nuovo Teatro flirta con le arti visive, svuota o degrada il luogo scenico, pone l’accento sulla concettualizzazione analizzando le modalità del far teatro, nella riscoperta degli elementi specifici, ripartendo da zero. Dopo la sagomatura delle luci, che presto si computerizzano, dopo l’utilizzazione delle diapositive di citazione autobiografica o pittorico-storica come sfondo all’azione, il video vive sulla ribalta la breve e intensa stagione in cui il teatro sogna la tecnologia, cui presto si perverrà da altre strade, come con l’applicazione dell’elettronica al succedersi automatico delle diverse scenografie in Cuori strappati della Gaia Scienza.

Bruciando alla fiamma di una fantascienza quotidiana, i Magazzini Criminali sono il gruppo che, a cavallo degli anni ottanta, meglio rispecchia nella sua febbre di rincorsa in avanti anche l’avventura dell’immissione tv dentro lo spettacolo, nelle sue varie valenze: in Punto di rottura il nastro elettronico fa sfilare labbra, mani, gambe, pezzi di corpi con una coloratissima messa a fuoco alla Schifano, da alternare con le riprese in diretta dal vivo di primi piani dell’azione in svolgimento; nelle due edizioni di Ebdomero il corredo dei monitor, accumulati frontalmente o sospesi sulla pista scenica, che figura nel quadro vista dall’alto o di lato già costituisce un elemento di decorazione, o coi suoi occhi riflettenti funge da sostitutivo delle stesse luci; in Crollo nervoso finalmente il video diventa personaggio, identificandosi col calcolatore impazzito che dialoga con la protagonista, sulla scia di 2001 Odissea nello spazio, oltre a assumere all’occorrenza una connotazione funzionale, col trasmettere i titoli delle diverse sezioni o comunicare immagini di repertorio, per esempio la discesa del primo uomo sulla Luna.

Ci si è soffermati su questo lavoro anche per evidenziare la gamma di diverse possibilità assunte dalla presenza elettronica nell’evolversi del trittico, ribadita dalla graduazione dei verbi usati nella schematica descrizione. Come spesso accade nella ricerca, la sperimentazione di un modo espressivo equivale alla conoscenza e all’appropriazione dello stesso, svuotato quindi d’interesse e escluso per esaurimento da successive fruizioni. Descritta la suddetta parabola, per i Magazzini il video esce così di scena. Altri gruppi, come Falso Movimento, non se n’erano mai serviti: la Gaia Scienza vi s’era affidata per dei trompe-l’oeil spaziali, dei primi segnali che ne avrebbero sortito un diverso sfruttamento. I gruppi più avanzati e rigorosi infatti superano ben presto la contaminazione dei linguaggi sulla scena e assumono il video in modo più evoluto e totalizzante in apposite performance, mostre, installazioni. Un gruppo, quello di Simone Carella al Beat 72, rinuncia addirittura a far teatro, per trasformarsi per qualche tempo in canale televisivo. Per converso, chi continuerà a credere all’incontro del luogo dell’espressione immediata e delle nuove tecnologie, come Krypton in Italia o Hans Peter Cloos in Francia, darà luogo a un teatro-clip, a uno spettacolo espanso in cui l’immagine elettronica si fa protagonista.

A determinare questo chiarimento è intervenuto lo sviluppo sempre più autorevole della video-arte, lo sfruttamento per se stesso, anche a livello di mercato, del mezzo, che rivela e impone l’autosufficienza del suo specifico, sempre più allergico alle strumentalizzazioni da parte di altri mezzi espressivi. Così il teatro stesso è passibile di trasformazioni in video dopo e al di fuori della rappresentazione, dando luogo a nastri che non sono però solo documenti ma fissano edizioni girate e montate appositamente, come è ormai normale da Wilson in poi, citando oltre alle elaborazioni dei Magazzini quelle in particolare di Falso Movimento.
Ecco ora quindi l’idea intelligente di chiedere a tre gruppi-guida del Nuovo Teatro di misurarsi col video d’artista e di riversare la sensibilità di una esperienza in uno spazio aperto, dove agire simultaneamente, prescindendo dalle connessioni col loro lavoro scenico. Ma ciò non implica l’ignoranza della loro storia, arrivata ormai a un punto di maturità che sottende la reciproca divaricazione, e tale da condurre ciascuno di loro a un’esercitazione stilisticamente differenziata, sempre comunque nel campo della fiction.

In principio dunque era il racconto, in tutti e tre i casi manieristico per il tipico omaggio artistico e il riporto ad altre discipline, letterarie, cinematografiche, pittoriche: un ritorno di Orfeo dagli Inferi, mutuato per Giorgio Barberio Corsetti dall’opera di Monteverdi e dalla poesia di Rilke, ma anche o forse soprattutto dal film di Cocteau, nello spirito degli spettacoli da lui montati nel dopo-Gaia Scienza, edificando fantastiche città dove una nuova arcadia si coniuga con lo studio delle avanguardie storiche; l’avvicinamento a un pianeta alieno per Falso Movimento, perché la nuova Alphaville di Mario Martone implica una conquista di linguaggio, trattandosi di una cittadella meta-fantascientifica, da ritrovare con dei cambi di segni nel cinema di Godard, con un prosecuzione di quel citazionismo cinematografico già evidente in Desiderio preso per la coda e in Coltelli nel cuore; una serie di ritratti di pittori veri chiamati a rappresentarsi davanti al video per i Magazzini, che inaugurano una galleria di biografie visive dal vero di personaggi di diversi campi artistici, ma proseguono al tempo stesso la galleria di “vite immaginarie” da loro già sviluppate nell’ultima trilogia teatrale, affidandone però il plot al personaggio, ripreso con modalità rubate al Bronzino o al Pontormo, piuttosto che a Piero o a Boccioni.
Se qui il richiamo all’opera scenica di Federico Tiezzi scatta attraverso la serialità dei soggetti, negli altri due casi la funzionalità è più diretta: Falso Movimento anticipa infatti in qualche modo con Missione da compiere la scena introduttiva del suo prossimo Ritorno a Alphaville, mentre Barberio Corsetti applica la tecnica già utilizzata nel prologo a Diario segreto, contraffatto, sempre in quell’intima collaborazione creativa con Studio Azzurro, che è già stato all’origine di altri video sperimentali di estremo interesse. La base di tutti questi lavori è nello scambio tra l’immediatezza della presenza fisica, la presenza stessa riprodotta in diretta – e magari spezzata dall’inscatolamento in diversi televisori – e la trasmissione di un nastro preesistente, per lo più portatore di tracce inanimate che falsano la natura circostante con elementi estranei. L’ambientazione contribuirà quindi a esaltare il contrasto espressivo mimetizzando i monitor con funzioni sceniche, mentre i monitor in movimento doppieranno gli attori in carne e ossa, alimentando il gioco di verità e illusione.

Questa duplicità di rapporti ritorna, anche se non proprio in modo omologo, nell’installazione di Falso Movimento, dove il dialogo vede due personaggi, l’agente segreto che sostituisce Lemmy Caution e il capo del sistema autoritario che lo condiziona, in impari confronto, l’uno in natura, l’altro in riproduzione meccanica, come accade agli astronauti di 2001 o di Alien; ma nelle repliche la sostituzione di un registrato alla persona viva, innesterà un dialogo tra due monitor divenuti personaggi, uno visto a camera fissa l’altro con nervosismo di montaggio, trasferendo però l’alternanza di campi e controcampi e un’integrazione di tecniche espanse dall’interno del mezzo alla dualità della composizione. Anche nel piano dei Magazzini i singoli ritratti, proiettati contemporaneamente, sono destinati a dialogare, incarnandosi ciascuno col suo video, con la messa in opera di un montaggio fattuale sottratto alle regole della moviola.
È chiaro quindi che ci troviamo davanti a tre installazioni-rappresentazioni di diversa natura, assimilabili se proprio si vuol categorizzare, l’una piuttosto alla performance, la seconda al dialogo teatrale, l’altra al video vero e proprio, col precedente illustre di Joan Logue o – nel 16 mm – di Gregory Markopoulos. Questo diverso uso è esaltato dalla diversa destinazione dell’interno della stanza dove Falso Movimento ha disposto i suoi ordigni-personaggi, lasciando gli spettatori a spiare dalle finestre, possiamo all’esterno del giardino di Villa Medici: al tappeto verde tra le erme come nel Torquato Tasso goethiano diretto da Stein, erme colorate dalla luce di video tra le quali si drizzano statuari altri monitor, monumenti a pittori elevati dai Magazzini; al canneto dove Barberio Corsetti e lo Studio Azzurro hanno voluto che si perdesse la strada elettronica di Orfeo, un lungo segno bianco dentro una selva oscura.

E se ognuna delle tre installazioni è autosufficiente, allo stesso tempo si inserisce in un prima e in un dopo ben precisati all’interno del discorso dei loro creatori; e tutt’e tre si collegano tra loro nella simultaneità composita di un’unica opera animata dalla dialettica dei contrasti. Visto che s’è parlato d’una “selva oscura”, il trittico potrà attingere a un’unità dantesca, che decolla dalla discesa agli Inferi d’Orfeo, per guadagnare il Purgatorio delle attese e dell’addestramento necessario a entrare a Alphaville, prima dell’ingresso al Paradiso dell’empireo pittorico, dove i personaggi dell’arte dialogano tra loro inconsapevoli e senza comunicare, inglobati in questa umana commedia elettronica.

Crediti

Progetto Studio Azzurro e Giorgio Barberio Corsetti
Interpreti Annapaola Bacalov, Sandro Bittuleri, Philippe Barbut, Benedetto Fanna, Irene Grazioli, Giovanna Nazzaro
Installazione video Paolo Rosa, Fabio Cirifino, Leonardo Sangiorgi
Musica Piero Milesi
Realizzazione Tape Connection
Organizzazione Maia Borelli
Durata 40 minuti (ripetizione ciclica)