Eco

Light

Eco

Light

Torna su
Cerca ovunque |
Escludi l'Archivio |
Cerca in Archivio

Palazzo Farnese
18, 21 e 22 Luglio 1994
25romaeuropa.net

Roberto Cominati / Rosa Torres Pardo / Jean Claude Pennetier

Solisti a Palazzo Farnese


Il pianoforte è il protagonista del secondo appuntamento con i Solisti a Romaeuropa, dopo la precedente serata a Villa Medici che aveva visto esibirsi Roman Vlad e Michiko Hirayama, Hélène Mercier e Ana Maria Vera, Anne Gastinel e Roger Muraro.
Il giovane e già molto apprezzato pianista italiano Roberto Cominati (Napoli, 1969) ha proposto una selezione di compositori (tutti operanti fra Ottocento e Novecento) in un programma caratterizzato, allo stesso tempo, da una vena di nostalgia per il passato e da una ricerca attraverso le tradizioni musicali. E così accanto al Debussy che scrive Suite Bergamasque (1890) ispirandosi ai versi di Verlaine Clair de lune ed alla musica per clavicembalo del Seicento e Settecento, il pianista ha interpretato la scrittura virtuosistica di Iberia (1906) di Albéniz che vive dei ricordi dell’Andalusia e delle sue canzoni popolari. E mentre gli studi sui canti ungheresi e la tradizione araba sono sensibilmente presenti in Suite op. 14 (1916) di Bartók, Le Tombeau de Couperin (1917), omaggio di Ravel agli amici morti in guerra, presenta una rivisitazione in chiave moderna della forma strumentale francese “tombeau” del XVII secolo.
La rivoluzione tonale che sconvolse le regole musicali all’inizio del Novecento è al centro del recital pianistico di Rosa Torres Pardo. Anche nelle musiche di cui essa si fa interprete emergono i riferimenti alla tradizione come principio di evoluzione: Claude Debussy e la cultura orientale, con Estampes (1903); Enrique Granados, la pittura di Goya ed i concerti pianistici dell’Ottocento con Goyescas (1909-13); Federico Mompou e le melodie iberiche con Cants Magics (1919); Igor Stravinskij e gli spettacoli di marionette con Petruschka.
Jean-Claude Pennetier esegue invece le composizioni della grande tradizione romantica: Robert Schumann, per il quale il pianoforte diventa mezzo di espressione di un’intimità sofferta, e Frederic (o Fryderyk) Chopin, il più solitario (e per questo le sue conquiste dovettero essere nuovamente ripercorse dai posteri) ed il più consapevole dei compositori per pianoforte, il quale creò i suoi brani con la coscienza che un breve preludio pianistico di poche battute potesse valere più di una macchinosa sinfonia per grande orchestra.

RECITAL DI ROBERTO COMINATI (pianoforte)
Musica Claude Debussy (Suite Bergamasque: Prélude, Menuet, Clair de Lune, Passepied), Isaac Albéniz (Iberia – 2° Libro: Rondeña, Almería, Tirana), Bela Bartók (Suite op. 14: Allegro, Scherzo, Allegro molto, Sostenuto), Maurice Ravel (Le Tombeau de Couperin: Prélude, Fugue, Forlane, Riguadon, Menuet, Toccata)
18 luglio

RECITAL DI ROSA TORRES PARDO (pianoforte)
Musica Claude Debussy (Estampes: Pagodes, La soirée dans Grenade, Jardins sous la pluie), Enrique Granados (La Maja y el Ruiseñor, El Amor y la Muerte), Federico Mompou (Cants Magics), Igor Stravinskij (Tre movimenti da Petruschka: Danse russe, Chez Petruschka, Semaine grasse)
In collaborazione con Ambasciata di Spagna
21 luglio

RECITAL DI JEAN CLAUDE PENNETIER (pianoforte)
Musica Robert Schumann (Papillons, 3 Phantasiestücke op. 111, Kinderszenen op. 15), Frederic Chopin (Barcarola op. 60, 3 Notturni op. 15, Polacca – Fantasia op. 61)
In collaborazione con Ambasciata di Francia
22 luglio

 

SCHUMANN, CHOPIN
di Andrea Scazzola

L’atmosfera del più tipico Romanticismo pervade il concerto di Jean Claude Pennetier.
“Tutta la musica di Schumann, dai Papillons al Manfred, non è se non un lungo e disperato desiderio”. Così scrive Alberto Savinio, cogliendo la cifra inconfondibilmente romantica di Robert Schumann (1810-1856), di cui Pennetier eseguirà appunto i Papillons op. 2, i Drei Phantasiestücke op.111 e le Kinderszenen op.15.
Come farfalle notturne che appaiono e scompaiono, si muovono le maschere, protagoniste dei Papillons, nella notte di carnevale fino a che l’orologio della torre batte le sei del mattino. Sono le pagine finali dei Flegeljahre (Anni acerbi), dello scrittore tedesco Jean Paul, quelle che Schumann mette in musica tra il 1829 e il 1831, entusiasta della malinconica bellezza del romanzo e conquistato dai suoi protagonisti, Wult e Walt, da cui trarrà ispirazione per i due immaginari personaggi nei quali simbolicamente scinde la propria personalità di artista: l’introverso e sognatore Eusebio e l’entusiastico e passionale Florestano. Opera molto più tarda i Drei Phantasiestücke, composti nel 1851 dopo il trasferimento a Düsseldorf dove Schumann aveva accettato la carica di direttore dei concerti. I “Tre pezzi fantastici” non recano alcun titolo e riportano l’indicazione, davvero rara in Schumann, dell'”attacca”: quasi li considerasse un unico pezzo di musica assoluta da eseguire tutto di seguito.

Si torna indietro nella vita del musicista, al 1838, per ritrovare la genesi delle Kinderszenen. Sono gli anni del contrastato fidanzamento con la giovane e celebre pianista Clara Wieck, che diverrà sua moglie solo nel 1840, dopo che una sentenza del tribunale avrà permesso di scavalcare l’intransigente opposizione del padre di lei. Clara, in una lettera, scrive che Robert le fa l’effetto di un grande bambino; a lui quelle parole si imprimono nella mente: “mi sembrava di essere proprio un bambino” ha scritto “e composi allora circa trenta brevi e graziosi pezzi; ne ho poi selezionati una dozzina e li ho chiamati ‘Scene infantili'”. Nostalgia romantica del paradiso perduto dell’infanzia, dunque, ricreato e stilizzato con un linguaggio volutamente semplice, lontano da ogni virtuosismo.
“Nessuna musica è tanto solitaria quanto la musica di Chopin”, ha scritto sempre Alberto Savinio. Ed è con Frederic Chopin (1810-1849) che si conclude il concerto.

La Barcarolle op.60 venne composta da Chopin nel 1846, durante il suo ultimo soggiorno a Nohant, residenza di campagna di George Sand, la scrittrice con la quale per otto anni il musicista intrattenne un’appassionata relazione. Ma la loro unione, che nel bene e nel male tanto aveva contato nella sua vita di artista, si sarebbe conclusa l’anno dopo; e per Chopin, malato di tubercolosi, il colpo fu mortale: la salute si deteriorò ulteriormente, l’arte si inaridì. Tenne, il 16 febbraio 1848, alla Sala Pleyel il suo ultimo concerto parigino, nel quale eseguì per la prima volta in pubblico la Barcarolle: il dolce moto dondolante ricorda le origini della “barcarola” come canto tipico dei gondolieri veneziani, ma viene rivisitato da Chopin con grande sapienza stilistica e genialità nell’invenzione armonica.

Luogo per eccellenza dell’arte di Chopin, i Notturni sono una forma musicale la cui paternità si deve al pianista e compositore irlandese John Field. Ma l’anima romantica di Chopin non tardò ad impadronirsi di quella nuova forma sino a farne, come ha scritto Massimo Mila, “il miglior veicolo d’espressione di quel suo trepido lirismo soggettivo, dove il senso del dolore non si amplia a risonanze universali, ma rimane strettamente personale”. In questo mondo instabile e sfuggente si muovono anche i Notturni op. 15 eseguiti questa sera: n°1 Andante cantabile, n°2 Larghetto e n°3 Lento. Composti tra il 1830 e il 1833, culminano nel terzo, enigmatico e “amletico”, secondo un accostamento shakespeariano attribuito allo stesso Chopin.

 

DEBUSSY, GRANADOS, MOMPOU, STRAVINSKIJ
di Andrea Scazzola

È ancora Claude Debussy, con le Estampes del 1903, ad aprire il concerto di Rosa Torres Pardo. “Ho scritto tre pezzi per pianoforte dei quali amo soprattutto i titoli, eccoli: Pagode, La Sera a Granada, Giardini sotto la pioggia. Quando non v’è modo di pagarsi dei viaggi, è necessario supplire con 1’immaginazione”. Così scrive Debussy, che non era mai stato in Oriente per vedere di persona le pagode, ma grande impressione aveva ricevuto dal padiglione giavanese dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889.
Debussy non conosceva neppure la Spagna, che pure evocava magnificamente, come riconosceva un musicista così genuinamente iberico come Manuel de Falla. Estampesi, comunque, non è certo riducibile a pura musica descrittiva, anzi è in quest’opera, posteriore al Pelléas et Mélisande, che Debussy raggiunge una piena originalità creativa anche dal punto di vista dello stile pianistico.

“II ritmo, il colore e la vita tipicamente spagnoli”, insieme ai sentimenti “amorosi e passionali, drammatici e tragici come appaiono in tutta l’opera di Goya”, sono, a detta dello stesso compositore, i motivi da cui trae ispirazione il ciclo pianistico Goyescas di Enrique Granados (1867-1916). Dipinti e disegni di Francisco Goya, pittore prediletto da Granados, vengono riprodotti in questa sorta di affresco sonoro, composto tra il 1909 e il 1913. Due soltanto i brani oggi in programma: Quejas o La maja y el Ruiseñor (Lamenti ovvero La ragazza e l’usignolo), nel quale una giovinetta confida le sue pene d’amore ad un usignolo, e El amor y la muerte, il pezzo più lungo della raccolta, una ballata drammatica che si chiude con la morte del ragazzo innamorato.

Seguono i Cants magics opera del compositore catalano Federico Mompou (1893-1987). Terminati nel 1919, sono il primo lavoro che Mompou riuscì a vedere stampato, ottenendo riconoscimenti anche in Francia, dove aveva concluso gli studi musicali nel 1913. Con la Francia Mompou intratterrà sempre solidi rapporti, entrando in contatto soprattutto con gli autori del gruppo dei “Sei”, durante i vent’anni che trascorrerà a Parigi tra il 1921 e il 1941, prima di rientrare definitivamente in patria. Un’atmosfera magica ed esoterica anima i cinque pezzi di questa raccolta, caratterizzati da indicazioni come: misterioso, inquieto, profondo e lento come un corteo funebre.

Concludono il concerto i Tre movimenti da Petrushka, trascrizione pianistica di alcune pagine del suo famoso balletto, che Igor Stravinskij (1882-1971) realizzò nel 1921 per Arthur Rubinstein. Delle avventure dello sfortunato .burattino Petrushka, che aveva messo in musica tra il 1910 e il 1911 per i Balletti Russi di Diaghilev, Stravinskij riportò sulla tastiera proprio quei brani che nella versione orchestrale non si possono immaginare senza l’apporto del pianoforte: la Danse russe, nella quale ballano, rigide e legnose, le tre marionette protagoniste; la pantomima Chez Petrushka; e la Semaine grasse, sezione conclusiva del balletto, che va dalla festante baraonda carnevalesca fino all’ultima delle danze popolari, escludendo soltanto la morte e la riapparizione finale della marionetta.

(in Catalogo Romaeuropa Festival 1994)